Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 10/02/2015, a pag. III, con il titolo "Nel cuore della banlieue", l'analisi di Mauro Zanon.
Mauro Zanon
La banlieue di Clichy, presso Parigi
Fino al 2007, a Clichy-sous-Bois, andavano tutti al “be-ka-em”, al Beurger King Muslim, il primo fast food halal di Francia, inaugurato nell’estate del 2005, pochi mesi prima delle rivolte che tormentarono le banlieue. Durante il fine settimana era un passaggio quasi obbligato per tutte le famiglie musulmane che abitavano nei dintorni e andavano al Bkm per farsi servire da donne velate, e nel pieno rispetto delle norme islamiche in materia alimentare, un “beurger” (gioco di parole tra il termine “beur”, che identifica gli immigrati di seconda generazione, nati in Francia da genitori maghrebini, e “burger”).
All’interno del locale, oltre a essere garantita la vendita di prodotti 100 per cento halal, era presente anche uno spazio per pregare. C’era tutto, insomma, per soddisfare le esigenze di una persona di confessione musulmana. Il Bkm era il diversivo colorato alla grisaglia dei casermoni asettici nei quali i clichois dei quartieri sensibili abitavano, rappresentava una rupture rispetto alla monotonia quotidiana di questi territori così lontani dalla République, pur trovandosi a soli quindici chilometri da Parigi. I giovani musulmani trascorrevano lì i loro sabati e le loro domeniche pomeriggio, quando la pigrizia prendeva il sopravvento, e un’ora e mezza di treno per raggiungere la capitale era un’opzione che non veniva nemmeno presa in considerazione.
Dieudonné, comico antisemita francese
Durante il periodo del Ramadan, giungevano in massa dalla vicina Montfermeil e dalle altre banlieue del Seine- Saint-Denis, tanto che il gestore avviò le discussioni con il comune di Clichy-sous- Bois per assicurare un’apertura notturna, al fine di soddisfare i clienti. L’autorizzazione non ci fu, e nel 2007, in seguito a ripetuti episodi di vandalismo, il Bkm chiuse le sue porte. “Aveva un’aura mitica, era un’istituzione a Clichy-sous-Bois per noi musulmani, non solo perché si trattava del primo fast food halal di Francia ed era stato protagonista di una grande copertura mediatica che aveva in qualche modo riscattato l’immagine della città, ma anche perché in un certo senso ‘sfidava’ il McDonald’s, era il suo principale concorrente ed era soprattutto un luogo identitario”, ci racconta Amir, oggi trentacinquenne, dipendente in un negozio di telefonia Bouygues a Parigi. Islam e occidente, anche nel fast food.
Poco importa ai giovani come Amir che in realtà la formula ristorativa così come l’estetica del Beurger King Muslim era quanto di più americano potesse esistere: “On glandait tout le temps et c’était beau”, si cazzeggiava ed era bello, e non era più necessario attraversare il “périphérique”, la cintura autostradale che separa Parigi dalle banlieue, il beau monde dall’arrancare quotidiano, per trovare lo svago, seppur minimo, e allo stesso tempo un luogo dove ci si potesse sentire a casa, tra musulmani.
Nel 2008, i locali che ospitavano il Bkm hanno lasciato spazio a un altro concetto simile, il Wesh Burger (da “Wesh”, il saluto tipico dei giovani delle periferie), anche soprannominato “king of halal”, che ha resistito fino al 2011. Una creperia halal ha provato, invano, a raccoglierne l’eredità, e oggi al 13, allée de Grigny, rimane solo l’insegna sbiadita del Wesh Burger che fu e un cartello: “à louer”, affitasi. La scorsa settimana, sull’asse Clichy-sous-Bois, Montfermeil, Livry-Gargan e Bagnolet, i quattro punti caldi del Seine-Saint-Denis, epicentro nel 2005 dell’insurrezione delle periferie, si è svolta una delle più importanti retate anti jihad dopo il maxi blitz che ha permesso di smantellare a Lunel, nel sud della Francia, una delle più importanti filiere jihadiste del paese.
Otto persone sospettate di far parte di una vasta rete jihadista dell’Ile-de-France che recluta candidati per la Siria, sono state fermate dalla polizia antiterroristica. Cinque degli otto sospetti sono ora accusati di “associazione per delinquere collegata a un’impresa terroristica”, di cui uno di appena ventitré anni. La notizia è giunta a pochi giorni dalle cifre esplosive del jihad diramate dal prefetto del Seine-Saint-Denis, Philippe Galli: sessanta abitanti del 93, numero identificativo del dipartimento situato a nord-est di Parigi, sarebbero partiti per fare il jihad in Siria e in Iraq, e sei di loro avrebbero perso la vita durante i combattimenti.
Come riportato dall’emittente radiofonica Rtl, nel mese di gennaio, il numero verde antijihad messo a disposizione delle famiglie dal ministero dell’Interno ha registrato 1.163 segnalazioni, concernenti 697 uomini e 466 donne, pari al doppio delle segnalazioni ricevute a dicembre 2014. L’impennata è chiaramente riconducibile allo choc provocato dagli attentati di Charlie Hebdo e del supermercato Hyper Cacher, sottolinea il ministero dell’Interno, che ha inoltre reso noti i risultati dell’ultimo studio dell’International Centre for the Study of Radicalisation (Icsr) di Londra, circa il numero dei francesi che hanno abbandonato il paese per raggiungere lo Stato islamico: 1.200 individui partiti a combattere, pari a un aumento del 191,2 per cento rispetto al 2013. “Sempre più giovani si avvicinano alla religione e purtroppo la radicalizzazione è più frequente di quanto si possa pensare”, testimonia una professoressa del liceo polivalente Alfred-Nobel di Clichy-sous- Bois, che preferisce mantenere l’anonimato. “Qui è l’islam a regnare, è ad Allah che si rivolgono i giovani. Della République, dei suoi valori e delle riforme del ministro Belkacem per promuovere la laïcité, ai miei studenti non importa nulla”.
All’Alfred-Nobel, che in molti definiscono un “liceo ghetto”, la quasi totalità degli allievi e di confessione musulmana, proviene dalle cité e da situazioni familiari tutt’altro che rosee. I figli della borghesia di Clichy e dei comuni limitrofi, come ci spiega la professoressa, frequentano tutti il Lycée Albert-Schweitzer di Le Raincy, istituto considerato come il “Neuilly del Seine-Saint-Denis”, cioè l’élite del dipartimento più sensibile della “piccola corona” che avvolge Parigi. “Molti degli studenti con cui ho a che fare quotidianamente si sentono profondamente svantaggiati, in condizioni di inferiorità rispetto a quelli che con disprezzo chiamano i ‘bourges’.
C’è un forte risentimento, un rancore sociale che è palpabile e che da dopo gli attentati è ancora più concreto”. Anche all’Alfred-Nobel, come in molti altri istituti delle periferie francesi, si sono registrati episodi di ribellione al minuto di silenzio in onore delle vittime degli attentati di gennaio. Numerosi studenti hanno dichiarato di non sentirsi affatto Charlie e che i vignettisti del giornale satirico se la sono cercata “perché il Profeta non si tocca”. Ma il peggio, come recentemente testimoniato da un altro professore dell’Alfred-Nobel al Parisien, è che la tesi imperante tra gli allievi e quella del complotto. Classi intere, non casi isolati come si dice per la maggiore nei media, sono convinte che ci sia una mano invisibile all’origine degli attentati: quella dello stato francese, del presidente François Hollande che, in collaborazione col Mossad e gli Stati Uniti, ha organizzato le stragi per discriminare i musulmani.
“Purtroppo è così – dice sconsolata la professoressa – Sono sempre lì piegati sui loro smartphone a scambiarsi video e ad autoconvincersi che si sia trattato di una montatura, dicono che gli attentatori avevano gli occhi azzurri, mentre i fratelli Kouachi avevano gli occhi marroni, che non si è vista alcuna goccia di sangue quando il poliziotto musulmano Ahmed è stato freddato da una scarica di Ak-47, e inneggiano costantemente a Dieudonné che considerano il loro eroe”. A quasi dieci anni da quella notte tragica del 27 ottobre 2005, in cui Zyed Benna, di diciassette anni, e Bouna Traoré, di quindici, morirono fulminati da un trasformatore all’interno di una cabina elettrica, scintilla che scatenò la più grande rivolta vissuta dalla Francia negli ultimi cinquant’anni, Clichy-sous-Bois è ancora una delle banlieue più povere e tumultuose del paese (l’agglomerato urbano Clichy- Montfermeil ha fatto parte del primo gruppo di territori classificati Zep, Zone di educazione prioritaria, istituite nel 1981 dall’allora ministro dell’Istruzione nazionale socialista Alain Savary).
Il grand ensemble residenziale di Clichy-Montfermeil fu concepito negli anni Sessanta dall’architetto francese Grand-Prix de Rome Bernard Zehrfruss, che trasformò il piccolo villaggio di Clichy, popolato per la maggior parte da agricoltori, in una città dormitorio che ospitò col passare degli anni un numero sempre più elevato di immigrati, provenienti soprattutto dalle ex colonie. Oggi, con i suoi trentamila abitanti, di cui il 33 per cento di origine straniera, Clichy è una città-mondo (più di novanta nazionalità sono state censite) che però soffre di una totale mancanza di dinamismo a livello economico.
Non ha una storia industriale alle spalle, come le limitrofe Aulnaysous- Bois, che fino al 2014 vantava la presenza di una delle più importanti fabbriche del gruppo Psa Peugeot Citroën, e Sevran, dove l’americana Kodak installò la sua prima fabbrica-laboratorio di Francia. Il tasso di disoccupazione tocca il 40 per cento in alcuni quartieri e sempre più giovani (più della metà della popolazione ha meno di venticinque anni) preferiscono stare a casa e istruirsi su YouTube e sui social network, invece di andare a scuola, e guadagnarsi da vivere con metodi, diciamo così, più rapidi e remunerativi, che fare il cameriere per pochi spiccioli all’ora.
La République è lontana, Parigi e le aspirazioni di chi abita “là-bas”, al di là del “périph”, sono lontane anni luce da quelle dei clichois e di chi con le asperità della banlieue si confronta tutti i giorni. Il divorzio tra la popolazione di Clichy, a forte maggioranza arabo-musulmana, e la polizia, divenne definitivo in quella celebre domenica di fine ottobre, nel 2005, quando la moschea di Bilal fu raggiunta da una granata di gas lacrimogeno della polizia, nel bel mezzo della preghiera per il Ramadan, con una sala gremita di fedeli. Fu quello il punto di non ritorno. Fu in quel momento che i due mondi hanno cessato di capirsi, e la “haine”, l’odio per la République, ha iniziato a divampare (“nique la France”, fotti la Francia, era il ritornello dei riottosi maghrebini).
La convenzione relativa all’attuazione del piano di rinnovamento urbano (Pru) del quartiere dei Bosquets a Montfermeil e dell’Haut-Clichy a Clichy-sous-Bois, è stata firmata nel 2004. I seicento milioni sbloccati dalla legge Borloo hanno sicuramente cambiato le cose in questi dieci anni, ma solo in superficie. La maggior parte delle vecchie torri di cemento, costruite tra gli anni Sessanta e Ottanta, è stata sostituita da villette a schiera, più moderne e colorate, dotate di un mini-giardino e financo di un sistema di accesso con il codice di sicurezza. Ma la riverniciatura per rendere più presentabile esteticamente alcuni quartieri, pur sbandierata come un successo dai due sindaci socialisti che si sono succeduti al comune, Claude Dilain (1995-2011) e Olivier Klein (dal 2011), non ha certo cancellato quella malinconia di fondo e quel senso di frustrazione che prova la gente di Clichy. Il Chêne Pointu e le sue torri, nel Bas- Clichy, rappresentavano alla fine degli anni Sessanta il sogno dell’accesso alla proprietà per le classi medie.
Oggi è una delle cité più degradate e alienanti di Francia, cumuli di spazzatura, elettrodomestici rotti, vetri frantumati e auto bruciate spuntano dappertutto, negli immobili, alveari di solitudini, gli ascensori non funzionano ma le antenne paraboliche pullulano, il 70 per cento dei suoi abitanti vive al di sotto della soglia di povertà e le bande di “racaille” controllano il perimetro, passando al setaccio ogni nuovo visitatore del posto. Quando entriamo al Café “Le Chat Noir”, uno dei pochi caffè esistenti nei pressi del Chêne Pointu, le discussioni ruotano attorno alla coppa d’Africa e il volume delle voci che si accavallano è appunto da stadio. In breve tempo, capiamo che la quasi totalità dei presenti è di origine algerina.
E’ giovedì e si discute animatamente su come “les Fennecs”, così come vengono soprannominati i giocatori dell’Algeria, abbiano potuto perdere quattro giorni prima contro la Costa d’Avorio. Colui che poco dopo scopriremo chiamarsi Omar, cerca di contenere gli ardori, lanciandosi in una profezia contestata veementemente da tutti gli astanti: “Siamo stati battuti da quelli che domenica vinceranno la Coppa d’Africa”. Profezia poi rivelatasi esatta. Omar guarda subito dopo nella nostra direzione, si alza e ci dice che è meglio per la nostra tranquillità se abbandoniamo il caffè. Ci accompagna fuori, ma accetta di parlare con noi. Omar ha strappato con fatica una laurea triennale in Informatica ed è ora disoccupato. Vive con la madre e il fratello più piccolo in uno degli appartamenti dell’Etoile du Chêne-Pointu, consulta quotidianamente Pôle Emploi (l’agenzia di collocamento francese), e per il momento confessa di mantenersi grazie all’assegno di stato. Ci dice che non legge più i “media del sistema”, ma s’informa quotidianamente sui “siti alternativi” (tra i vari nomi c’è anche Quenel Plus, la piattaforma di informazione online di Dieudonné).
Dopo averlo ascoltato per più di dieci minuti mentre ci spiegava perché condanna gli attacchi terroristici ma non si sente Charlie, gli chiediamo cosa ne pensa di quanto dichiarato dal primo ministro, Manuel Valls, a proposito della “relegazione periurbana”, dei “ghetti”, dell’“esistenza di un apartheid territoriale, etnico e sociale” in Francia e delle “misure forti” che lo stesso Valls propone per risolvere il problema della “ghettizzazione urbana” (“non solo politiche abitative, ma politiche di popolamento per rompere le logiche di segregazione e rafforzare la mescolanza sociale”). “E’ da dieci anni che i ‘politicard’ ci rifilano lo stesso discorso. Tutte chiacchiere. Dove sono i fatti? Dove sono i progetti a lungo termine per rilanciare le periferie? Sono loro che hanno creato questi due mondi, questi due blocchi contrapposti. Sono loro che hanno fatto di tutto per produrre due realtà sociali agli antipodi, Parigi e le banlieue”. Nel frattempo i suoi amici escono dal caffè: “Allez Omar, on y va”.
Per Omar e i suoi “copains” è l’ora della seconda delle cinque preghiere rituali dell’islam, la preghiera di mezzodì. La direzione è quella della moschea Hamza, situata al piano terra di uno degli immobili fatiscenti del Chêne Pointu, una delle tante sale di preghiera improvvisate presenti negli appartamenti di Clichy-sous-Bois: “E’ il nostro rifugio”.
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