Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 06/02/2015, a pag. 1-8, con il titolo "Re Abdullah si mette la divisa: 'Colpiremo l'Isis senza sosta' ", la cronaca di Maurizio Molinari; dal CORRIERE della SERA, a pag. 15, con il titolo "Il re pilota alla guerra dell'Isis si gioca la faccia (e il trono)", la cronaca e commento di Lorenzo Cremonesi.
Abdallah, re di Giordania
LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Re Abdullah si mette la divisa: 'Colpiremo l'Isis senza sosta' "
Maurizio Molinari
Sostenitori dello Stato islamico in Giordania
Seduto per otto ore assieme ai suoi generali nella sala operativa del comando delle forze armate, re Abdullah ha varato il pugno di ferro contro lo Stato Islamico (Isis) e si è trasformato nel sovrano di una nazione in guerra.
Trenta F-16 dell’aviazione reale, decollati dalla base re Hussein di Mafraq, hanno bersagliato Raqqa in Siria, capitale del Califfo Abu Bakr al-Baghdadi, meno di 24 ore dopo il raid notturno su sette posti di comando di Isis a Mosul, nel Nord dell’Iraq. Raqqa e Mosul sono i pilastri territoriali del Califfato: re Abdullah li ha investiti di fuoco.
Il re ha fatto volare i jet al ritorno su Ayy-AlKarek - il villaggio del pilota Muath Kasasbeh arso vivo dai jihadisti - e poi ha chiamato il padre, Safi-Youssef, ripetendo la frase «la nazione intera è in te». Sono le azioni che descrivono la trasformazione del re: salito al trono per una decisione a sorpresa del padre Hussein, incarnazione dell’Occidente, a suo agio a Washington, Davos e Londra, nonché convinto sostenitore di pace regionale ed economia globalizzata, da tre giorni è diventato il leader determinato di una nazione beduina in cerca di vendetta dopo l’onta subita.
La vendetta
Basta accendere la tv giordana al mattino per scoprire cosa ha in mente: immagini di guerra, con aerei, tank e obici che bersagliano posizioni avversarie sullo sfondo di inni patriottici che terminato solo quando il fedelissimo portavoce Mohammed al-Momani promette che «la risposta contro Isis sarà forte e decisiva, saranno puniti». Chi ha incontrato il re dopo il ritorno da Washington lo descrive «teso, determinato, aspro, duro». D’altra parte lui stesso ha descritto il proprio stato d’animo ad un gruppo di deputati americani evocando il film «Unforgiven» di Clint Eastwood ovvero un Western incentrato sul personaggio del sindaco Bill Munny che difende una cittadina del Wyoming dai banditi applicando la più spietata versione dell’«occhio per occhio». «Se qualche figlio di puttana mi spara addosso - dice Munny-Eastwood nel film - non ammazzo soltanto lui, gli ammazzo anche la moglie, tutti gli amici e poi gli brucio la casa». Per l’ex generale Mamoun Abu Nuwar, stratega militare giordano sensibile agli umori di corte, la svolta bellica porterà il re a «usare più i raid aerei» ed anche a «possibili operazioni di truppe speciali» contro «obiettivi selezionati». Ovvero per eliminare i leader del Califfato. D’altra parte l’intelligence giordana si vanta di aver contribuito nel 2006 ad eliminare Abu Musab Al-Zarqawi, leader di Al Qaeda in Iraq, in risposta agli attacchi kamikaze che aveva ordinato l’anno precedente contro gli hotel Amman. In una recente conversazione con il Raiss egiziano Abdel Fattah al-Sisi, Abdullah ha illustrato la «strategia su tre fronti» che ha in mente per distruggere Isis.
La strategia
Primo: più attività militari in Iraq e Siria. Secondo: più sicurezza interna per scongiurare attentati. Terzo: una «risposta ideologica» ai jihadisti con un «grande evento del pensiero musulmano» all’ateneo di Al-Azhar del Cairo, roccaforte della fede sunnita, per innescare una «rivoluzione religiosa». Anche se Abu Nuwar precisa che «non sono maturi ancora i tempi dell’intervento di terra», Abdullah veste i panni hascemiti del legittimo discendente di Maometto e vuole chiudere la partita col Califfo impostore. Per salvare il proprio regno e rigenerare l’Islam. D’altra parte le notizie che provengono dallo Stato Islamico descrivono un’escalation di orribili violenze destinate a rafforzare la coesione internazionale anti-Isis. Il rapporto Onu di «Save the Children», basato su testimonianze dirette, parla di bambini «crocefissi, decapitati, venduti come schiavi e sepolti vivi» sulla base di editti del «Principe dei Credenti» intenzionato a eliminare le minoranze «infedeli» - cristiani, curdi, yazidi ed altri - distruggendone i figli con ogni mezzo. Incluse la trasformazione dei bambini in bambini soldato e kamikaze.
CORRIERE della SERA - Lorenzo Cremonesi: "Il re pilota alla guerra dell'Isis si gioca la faccia (e il trono)"
Lorenzo Cremonesi
È il momento della verità per re Abdallah II di Giordania. Da leader un poco grigio, per nulla carismatico e, dalla sua ascesa al trono nel Duemila, platealmente considerato «il figlio scelto da papà Hussein», potrebbe uscire da questa crisi come la vera guida della nazione, temprato dall’esperienza e capace di assumere decisioni coraggiose. A segnare la differenza potranno essere le scelte che compirà nei prossimi giorni nei confronti dello Stato Islamico (Isis). Il Paese chiede vendetta dopo la diffusione quattro giorni fa da parte dei jihadisti di Raqqa (in Siria) del video dell’esecuzione del giovane pilota Mouath al-Kasasbeh. «Bruciato vivo! E in una gabbia, come un animale» gridano rabbiose le folle in manifestazione. È difficile trovare nella storia della Giordania momenti di tale unitaria mobilitazione popolare a favore della guerra.
Le prime mosse del re sembrano in sintonia con gli umori della piazza. Ieri gli F16 dell’aviazione hanno sorvolato a bassa quota i cieli di Amman e Kerak, la città natale della tribù Kasasbeh, di cui è parte importante la famiglia dell’«eroe-martire», come si legge sui manifesti appesi nelle vie della capitale. «Sono gli stessi tipi di aerei su cui volava Mouath e tornano da missioni di bombardamento sulle regioni controllate da Isis in Siria» annunciavano nel frattempo i media controllati dal regime, senza fornire altri dettagli. In quello stesso momento re Abdallah era ripreso in tv mentre incontrava il padre del pilota nella tenda della veglia funebre, che, nel pieno rispetto della tradizione beduina, è stata eretta di fronte all’abitazione della famiglia.
L’agenzia stampa nazionale «Petra» nelle ultime ore ribatte le dichiarazioni più importanti del monarca: «Daremo la caccia a questi criminali, li colpiremo nelle loro stesse case. Combattiamo questa guerra per proteggere i nostri valori, la nostra fede, i nostri principi umanitari». Uno dei compiti più difficili del re sarà però quello di non compiere il passo più lungo della gamba. Un conto è riprendere i raid aerei (erano stati interrotti il 24 dicembre nella speranza di negoziare con Isis la liberazione del pilota) in coordinamento con la coalizione guidata dagli americani che dall’estate scorsa bombarda Isis in Iraq e Siria (non è escluso che quelli giordani siano aumentati). Un altro è mandare truppe di terra a operare oltre confine. Un passo maldestro, un eventuale massacro di truppe speciali, potrebbe trasformare il consenso in rivolta aperta.
Non sarebbe la prima volta. Gli osservatori locali fanno notare le fragilità storiche della Giordania: tradizionalmente Stato cuscinetto nel cuore di una regione costellata di crisi endemiche. Le tribù sunnite della «sponda orientale» del Giordano sono da sempre le strutture portanti della corona Hashemita. Eppure il loro status dal 1948 è costantemente minacciato dalle masse di profughi palestinesi. Anche la struttura demografica del Paese desta inquietudini. Ancora nel 1971 i giordani sfioravano a malapena il milione e mezzo. Oggi sono quasi otto milioni e mezzo, in grande maggioranza giovani o giovanissimi, tanti in cerca di lavoro, tanti vittime della crisi economica globale. La grande preoccupazione per Abdallah sarà quella di conservare la nuova, e ancora fragile, immagine di leader interessato al suo popolo più che di gregario pronto a soddisfare le richieste Usa. Non a caso la propaganda di Isis mira a disegnarlo come un burattino al soldo di Washington.
Oggi il suo nuovo carisma deriva dall’autogoal di Isis che, diffondendo il video del «martirio» del pilota, si è attirato le ire anche delle tribù sunnite giordane più conservatrici e legate a filo doppio a quelle irachene. Sua preoccupazione sarà dunque quella di rafforzarsi come difensore della patria minacciata dalla barbarie del nemico alle porte.
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