Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 05/02/2015, a pag. 1-15, con il titolo "Il nuovo medioevo dei barbari islamici", l'analisi di Fiamma Nirenstein; dalla STAMPA, a pag. 3-7, con il titolo "La Giordania scatena la vendetta: 'Morte ai cannibali dell'Isis' ", cronaca e commento di Maurizio Molinari.
A destra: I molti volti del terrorismo islamico
Ecco gli articoli:
IL GIORNALE - Fiamma Nirenstein: "Il nuovo medioevo dei barbari islamici"
Fiamma Nirenstein
Al Qaeda e Stato islamico
Si balbetta, ci si arrovella, l'anima rifiuta il dolore profondo. Ma no, non è possibile, è solo un film storico quello che vediamo, non la realtà. L'Isis fa di tutto per confermare questa sensazione, fornendoci la cronaca con leziosi primi piani sul volto disperato del condannato, lunghi stacchi su imperterriti armati, boia circonfusi di jihadismo che accendono come a una festa il fuoco che arderà l'infedele. I mostri sono scesi dallo schermo, il Medio Evo è tornato da noi: per la gloria di Dio. La storia ci ha mostrato atrocità religiose di molte specie. Papa Innocenzo promulgò nel 1252 la bolla "ad estirpanda" che da quel momento consentiva le torture più mostruose per costringere a improbabili confessioni, delazioni, conversioni... Si bruciarono le streghe e gli eretici, ma tutto questo grazie al cielo si è allontano, si è rivelato nella sua dimensione mostruosa, è stato emendato. L'Isis ce lo ripresenta oggi in technicolor, ma vero.
Decapitazioni, crocifissioni, taglio della testa con bambini contenti che vogliono provare anche loro a fare la gloria di Dio, omosessuali lanciati dalle torri (in Iran impiccati in piazza), il pilota bruciato vivo. E non è finita: l'Isis si è avventurata nella crudeltà in maniera sostitutiva rispetto alla possibilità di formare un esercito avanzato, la sua espansione territoriale si è fermata specie in Iraq, la sconfitta di Kobane e alcune vittorie sciite vicino a Mosul e nella provincia di Dyala hanno spinto l'Isis a usare la paura spinta al massimo. Quanto più i soldati giordani temeranno di fare la fine di Moaz, tanto più se la daranno a gambe levate. Chi ha voglia di farsi fare a pezzi, bruciare, tagliare la testa... E a volte funziona: gli Emirati intanto hanno sospeso i raid. Sanno bene che queste pene possono moltiplicarsi e peggiorare, le armate di Maometto si dettero a una conquista vittoriosa che fece milioni di morti e feriti e dominò col pugno di ferro. Questo ogni buon musulmano lo ricorda. Ebrei e cristiani sono dubitosi e pentiti, ma per l'Islam la rivendicazione storica è onnipresente, indispensabile, il passato chiede di esistere ancora.
Tuttavia anche il mondo musulmano ha anime che possono combattersi a morte. Re Abdullah non lascerà la coalizione. E' apparso, mentre partiva dagli Stati Uniti in visita ad Obama deciso a seguire l'indicazione del padre del pilota ucciso: tremenda vendetta. Ancora a Washington ,ha accolto le richieste di vendetta della famiglia e del clan del pilota ucciso e ha fatto, intanto, giustiziare la jihadista che l'Isis voleva in cambio di Moaz al Kasabeh, Sajida al Rishawi e un altro terrorista collaboratore di al Zarqawi, Ziad al Karbouli. Intanto il grande imam dell'università di Al Azhar al Cairo, Ahmed Al Tayyeb, mentre dichiarava anche lui come Abdullah che l'Islam non ha nulla a che fare con i mostri dell'Isis, indicava la sua strada: i terroristi "devono essere uccisi, crocifissi, bisogna tagliare loro le mani e i piedi", anche questa una citazione coranica in gara con le citazioni di quella che ha definito "un'organizzazione terrorista satanica" facendo appello alla comunità internazionale perché la distrugga.
Tutto può succedere adesso. L'appello alla vendetta è salito dalla piazza di Amman che chiede di bruciare chi ha bruciato il pilota, ovunque rappresentato nel corso della visita alla Mecca, col lenzuolo bianco. Lo scontro a base di citazioni è quanto di più orribilmente consono all'Isis: esso sostiene che il Corano suggerisce di usare contro il nemico la medesima arma con cui esso ti ha attaccato e nel caso di al Kasasbeh, è il fuoco del bombardamento aereo con cui avrebbe attaccato i villaggi. Di queste citazioni ce ne sono per il soldato, per chi resta a casa, per l'adultera, per il ladro, per il traditore, forse per il bambino disubbidiente. L'ordine del Cielo ci può bruciare, decapitare, mutilare, fare a pezzi, scuoiare, impalare, incenerire... che altro? In una visita guidata al medioevo. Dall'Isis.
LA STAMPA - Maurizio Molinari: "La Giordania scatena la vendetta: 'Morte ai cannibali dell'Isis' "
Maurizio Molinari Il pilota giordano bruciato vivo
La vendetta del re arriva dal cielo. I jet giordani hanno lanciato un massiccio attacco contro le basi dello Stato Islamico (Isis) nella città di Mosul per ritorsione contro la brutale esecuzione dei pilota Muath Kaseasbeh, arso vivo. È stato Abdullah a dare l’ordine del blitz poco dopo il ritorno da Washington. Appena atterrato, il sovrano ha chiamato il padre del pilota, Safi Youssef Kaseasbeh, dicendogli: «Tuo figlio è come mio figlio» l’erede al trono Hussein.
Poco dopo gli F-16 con la stella hashemita hanno sorvolato il villaggio di Ayy-Alkarek, dove la famiglia del pilota è in lutto, e da lì hanno fatto rotta verso la roccaforte del Califfo Abu Bakr al-Baghdadi nel Nord dell’Iraq. Abdullah promette alla nazione una «risposta severa contro Isis» e, secondo fonti irachene, a Mosul sarebbero morti 55 jihadisti incluso un comandante locale denominato il «Principe di Ninive».
L’omaggio al padre
Ma è solo l’inizio. Ad invocare la «vendetta contro Isis» è il padre del pilota secondo cui «sono dei cannibali, si diffondono sotto il terreno come il Diavolo e l’unica maniera per distruggerli è restare uniti, il mondo intero deve combatterli». Sotto la tenda del lutto della famiglia Kaseasbeh nel villaggio beduino di Ayy-Alkarek, Safi Youssef esprime la voglia di un Paese intero di reagire all’orrendo crimine. Davanti a lui si presentano, in fila indiana, dozzine di generali, ufficiali e semplici soldati di ogni unità dell’esercito. Ognuno di loro, in alta uniforme, si toglie il berretto, si inchina, lo bacia sulle guance o sulle mani offrendo condoglianze personali, famigliari, di clan. Davanti a una folla di sceicchi e leader della tribù Bararsheh che assistono in religioso silenzio all’esternazione della solidarietà per il pilota morto in una gabbia di fiamme. Dentro la compostezza del lutto cova la rabbia, dovuta anche alla cremazione che è proibita nell’Islam. Fiumi di adolescenti corrono nelle strade adiacenti alla casa della vittima ritmando «Viva il re, morte a Daesh», acronimo arabo di Isis.
Voglia di combattere
Ad imperniare l’aria è la voglia di «combattere, andarli a cercare, ucciderli ovunque» come dice Maher, 27 anni, giordano residente in Gran Bretagna, secondo il quale «il popolo è unito, pronto a fare quanto il re ci chiederà». A due ore di auto dalle montagne di Ayy-Alkarek, davanti all’entrata dell’aeroporto internazionale Regina Alia, sono in migliaia a radunarsi per accogliere re Abdullah al ritorno dagli Usa, chiamato a rispondere alla sfida del Califfo dello Stato Islamico. Giovani di Amman avvolti nel drappo hascemita sfilano dietro striscioni che sovrappongono l’immagine del sovrano al pilota dato alle fiamme. «Abdullah, nostro re - cantano in coro - aprici i confini con Siria e Iraq, vogliamo andarli a cercare, portargli la morte». A fianco, un gruppo di donne velate canta «bruciamo Daesh, bruciamoli tutti».
È una folla che rispecchia le diverse anime del regno. Sheik Mohammed di Maan, con la jalabya bordata d’oro, descrive gli «assassini del pilota» come «maledetti da Dio e dagli uomini». Siam Ahmrimat è un’avvocatessa di 47 anni che ha chiuso lo studio per essere qui con la collega Alia Shawaks «a dimostrare che le donne arabe voglio battersi». Omar, 21 anni, è un palestinese dei campi profughi e innalza un cartello gigante di sostegno al re: «Sono pronto a dare la vita contro l’impostore che si fa chiamare Califfo». Poco lontano Zaid al Sheik, leader tribale di Karek oramai 80enne, davanti alla folla tocca la bandiera con la stella hashemita facendo una pubblica, solenne, promessa: «Il figlio più giovane che ho diventerà pilota». «Siamo tutti piloti, morte a Daesh» rispondono in coro i manifestanti mentre arriva un corteo di imam e fedeli cantando frasi coraniche che culminano in un «Allah-u-Akbar» che contagia l’intera piazza, oramai straripante. «L’Islam è qui, noi siamo i veri musulmani - dice Chalef, studente universitario di Amman - Daesh è un falso Islam».
Le cellule interne
A imporsi è la voglia di «combatterli», «ucciderli», «bruciarli» espressa con emozioni crescenti da uomini e donne con i volti coperti dalle kefiah biancorosse delle tribù beduine. La strada giordana esprime la prima protesta di massa contro Isis avvenuta in un Paese arabo. Se ha tentato di sfruttare la cattura ed esecuzione del pilota per indebolire il regno di Abdullah, puntando a fomentare attriti con le tribù, il risultato sembra essere l’opposto perché la popolazione, beduina e palestinese, si stringe attorno al re, promettendo di «fare ciò che ci chiederà» come dice una donna ventenne con il velo colorato, tenendo a precisare «sono una profuga siriana, quei demoni li conosco». Resta da vedere quali saranno le scelte di Abdullah.
L’esecuzione delle condanne a morte, per impiccagione, della donna terrorista Sajida al-Rishawi - che Isis voleva in cambio del giapponese Kenji Goto - e del colonnello di Al Qaeda Ziad al-Karbouli sono solo l’inizio. Il sovrano deve decidere come «portare la guerra ai cannibali» invocata dal padre del pilota. Ciò significa dover vendicare l’orgoglio ferito delle tribù che sostengono la monarchia. Abdullah ha fatto la prima mossa mandando i jet su Mosul ma deve dimostrare in fretta maggiore impegno, all’interno contro le cellule jihadiste e nella coalizione con iniziative capaci di indebolire davvero Isis.
Intervento di terra
La strada giordana invoca l’intervento arabo di terra ma resta da vedere se Abdullah è pronto ad assumersi tale rischio. Al momento, il più evidente risultato del re è aver salvato il regno dalla spallata del Califfo. Il rischio di un corto circuito con i leader beduini si è posto quando a inizio gennaio il governo ha saputo della morte del pilota, tacendola alla famiglia ma trattando con Isis sullo scambio con la terrorista. La tribù ha avuto sentore di una doppia verità e il sospetto ha investito il re. Ma il rogo umano ha ricompattato popolo e corona, mettendo Abdullah nella condizione di essere il leader arabo a guidare l’offensiva contro il Califfo della Jihad.
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