Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 04/02/2015, a pag. 8, con il titolo "Il pilota giordano arso vivo dall'Isis. L'ira di Amman: pagheranno caro", la cronaca di Maurizio Molinari; dal CORRIERE della SERA, a pag. 18, con il titolo "Il ruolo delle grandi tribù e l'inedita alleanza con il re filo-occidentale", il commento di Lorenzo Cremonesi; a pag. 19, con il titolo "Il fuoco terribile dei processi medievali: l'orrore che ritorna", l'analisi di Andrea Del Col.
Il pilota giordano arso vivo dai terroristi dello Stato islamico
Ecco gli articoli:
LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Il pilota giordano arso vivo dall'Isis. L'ira di Amman: pagheranno caro"
Maurizio Molinari
I jihadisti dello Stato Islamico bruciano vivo il pilota giordano catturato con un rito brutale che sfida re Abdullah, la cui replica arriva con un messaggio tv dai toni bellicosi: «Voi siete codardi criminali, noi siamo uniti e d’acciaio». È l’annuncio di un’offensiva a tutto campo contro Isis, per questo già oggi verrà eseguita la condanna a morte della terrorista Sajida al-Rishawi di cui i jihadisti avevano chiesto la liberazione.
Disprezzo per la salma
Il video di 22 minuti postato online dal Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi mostra il pilota Moaz al-Kasasbeh - catturato a fine dicembre in Siria - mentre cammina fra le macerie causate dai raid della coalizione e poi lo fa vedere con un occhio tumefatto, segno delle percosse ricevute. Nelle immagini seguenti il pilota, 26 anni, appare con la tuta arancione dei condannati a morte sulle dune di sabbia davanti ad una fila di jihadisti armati e infine dentro una gabbia basata a terra mentre uno dei terroristi accende la miccia del liquido infiammabile cosparso sugli indumenti che indossa.
Finora Isis aveva decapitato i precedenti sette ostaggi uccisi - cinque occidentali e due nipponici - mentre adesso per la prima volta sceglie il fuoco ovvero una forma di esecuzione che esprime disprezzo per la salma della vittima musulmana in quanto l’Islam proibisce la cremazione. «Isis ha scelto un metodo nuovo - spiega Shiraz Maher, arabista del King’s College di Londra - per diffondere il terrore negli avversari».
I primi destinatari dell’orrendo messaggio sono gli altri piloti giordani che volano assieme agli alleati nella coalizione guidata dagli Usa: il video fa alcuni dei loro nomi con un’esplicita minaccia diretta, promettendogli lo scempio della cremazione ovvero dimostrando di trattarli da infedeli, il cui corpo fisico non merita alcun tipo di rispetto. Dopo aver adoperato le decapitazioni singole contro ostaggi occidentali e quelle di massa - fino a 18 contemporanee - nei confronti di soldati del regime siriano di Assad, il Califfo passa alla cremazione in gabbia per lanciare a re Abdullah una sfida che punta a rovesciarne il regno. Trattare un pilota da guerra come un animale - o un infedele - da arrostire è un messaggio nel linguaggio delle tribù del deserto che evoca quanto Omar el-Muktar, leader della guerriglia libica anti-italiana, faceva ai carabinieri negli Anni Trenta, usando le loro schiene per cuocere il tè ai propri uomini.
Discorso alla nazione
Il sovrano hashemita sa che c’è lui nel mirino del Califfo perché da mesi le cellule di Isis tentano di infiltrarsi da Iraq e Siria. La reazione è da leader in guerra. Prima fa annunciare da Amman l’esecuzione odierna della terrorista giordana di cui Isis voleva la liberazione, poi torna dagli Stati Uniti e si rivolge ai sudditi dagli schermi della tv nazionale, indossando la divisa delle truppe scelte della Legione Araba. «Il pilota Moaz al-Kasasbeh è morto da eroe, difendendo la sua fede e la sua patria - dice il re - assassinato da una banda di criminali codardi che non rappresenta la nostra fede e scoprirà presto quanto la Giordania è unita, fatta d’acciaio».
Con la nazione in lutto e i capi delle tribù beduine più fedeli riunite a Karak - attorno alla famiglia del pilota - il re atterra questa mattina ad Amman determinato ad andare all’attacco su più fronti contro il Califfo: sradicando le cellule jihadiste dentro il regno ed aumentando la pressione militare in Siria e Iraq contro i territori dello Stato Islamico. Il sostegno ricevuto dalle telefonate dei leader di Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti lascia intendere che il sovrano hashemita può contare su molte risorse, non solo degli alleati occidentali. È l’inizio di un duello fra il re discendente da Maometto e il Califfo della Jihad dagli esiti imprevedibili.
CORRIERE della SERA - Lorenzo Cremonesi: "Il ruolo delle grandi tribù e l'inedita alleanza con il re filo-occidentale"
Lorenzo Cremonesi
Poteva essere una buona idea quella dell’Isis: fare pressione sulle tradizionali tribù giordane per indebolire Re Abdallah, giocare con i loro antichi sentimenti antioccidentali, e addirittura spingerle alla ribellione aperta. Ma, alla prova dei fatti, il primitivismo brutale dei jihadisti sembra avere causato il classico effetto boomerang e convinto proprio le tribù giordane a sostenere con maggior determinazione la guerra contro di loro. Per comprendere questo occorre fare un passo indietro e ricordare le fondamenta del sistema di potere giordano, così come cresciuto dopo la Prima guerra mondiale.
Da allora infatti la monarchia Hashemita si basa sulla lealtà delle cosiddette «tribù della sponda orientale», che sono le antiche popolazioni beduine residenti a est del Giordano. I loro legami con il regime si fecero progressivamente più importanti con lo sviluppo della questione palestinese dopo la nascita dello Stato di Israele nel 1948. Allora infatti l’anziano re Abdallah, e poi re Hussein (rispettivamente nonno e padre dell’attuale monarca), furono spinti dalle dinamiche della regione a fondare il loro potere sulla parte non-palestinese del Paese.
Dopo la guerra del 1967 e il «Settembre nero» di tre anni dopo, quando l’Olp di Yasser Arafat tentò addirittura di defenestrare la monarchia, re Hussein prese misure drastiche. Da quel periodo nessun palestinese può aver alcun ruolo nei posti chiave del potere. In particolare, tutti gli ufficiali dell’esercito vengono dai giovani delle tribù della sponda orientale, che non devono avere alcun legame con i palestinesi della Cisgiordania. Tra loro un ruolo chiave hanno appunto i piloti dell’aviazione militare. Non stupiscono dunque le mosse estremamente caute intraprese da re Abdallah dopo che il giovane pilota Muath al-Kasasbeh venne catturato da Isis a Raqqa lo scorso 24 dicembre. Ha ricevuto il padre Safi a corte, è stato più volte tra i notabili della tribù nella loro casa natale a Karak, nel meridione del Paese. Il suo atteggiamento è stato più volte giudicato come troppo filo-occidentale tra i notabili locali. Suo padre, re Hussein, nel 1991 si fece crescere la barba, si circondò di imam e ulema, e rifiutò di partecipare alla coalizione internazionale guidata dagli americani per scacciare le truppe di Saddam Hussein dal Kuwait. Sapeva bene che il cuore sunnita della Giordania profonda nutre forti simpatie per i «fratelli» sunniti in Iraq e Siria.
Re Abdallah, educato e cresciuto tra le migliori università anglosassoni e il cui inglese parlato sino a pochi anni fa era meglio dell’arabo, non ha le stesse sensibilità. Però capisce che in questo caso i desideri delle tribù vanno soddisfatti. Si spiega così la sua aperta disponibilità a scambiare la terrorista kamikaze irachena per la vita del pilota. Ma se ora dovesse venire provato che questi era già morto il 3 gennaio, oppure, ancora peggio, che ora è stato bruciato vivo, le caute simpatie tribali giordane per i «fratelli» sunniti potrebbero facilmente trasformarsi in desiderio di vendetta a fianco del loro monarca e degli americani.
CORRIERE della SERA - Andrea Del Col: "Il fuoco terribile dei processi medievali: l'orrore che ritorna"
Pubblichiamo il commento di Andrea Del Col, che illustra i precedenti dei crimini dello Stato islamico nell'Europa cristiana.
Ecco l'articolo:
Il terribile fuoco che ha ucciso il giovane tenente colonnello pilota Muath al-Kasasbeh ha suscitato un incontenibile senso di orrore nel mondo occidentale, dove la vita individuale è sacra. Quello che ha colpito di più è la barbarie dell’omicidio, che non è stato un’esecuzione capitale in seguito a un regolare processo. Il fuoco che dà la morte a un essere umano riporta alla memoria i roghi, che sono stati una pratica ufficiale degli Stati e delle Chiese in Europa per molti secoli. Furono bruciati per primi gli eretici, cristiani che avevano idee un po’ diverse, in modo spontaneo fin dal 1022 e poi con sentenze dell’Inquisizione dal Duecento fino alla metà del Settecento.
Una stima approssimativa calcola che i roghi delle Inquisizioni cattoliche fossero circa 20 mila, mentre le condanne capitali per eresia in Svizzera e in Inghilterra furono molto minori. Fu famoso il rogo su cui venne bruciato vivo a Ginevra l’antitrinitario Michele Serveto per volontà dello stesso Giovanni Calvino. Il computo delle streghe bruciate in Europa è molto più alto, circa 60 mila, non 9 milioni come fu divulgato dai nazisti. Questi processi, condotti sulla base di manuali cattolici e protestanti, avvennero in numero più alto in Germania, Inghilterra e nei Regni scandinavi, tutti di fede protestante, in minima parte nei Paesi cattolici come Francia, Polonia, Spagna e Italia.
La quantità maggiore fu condotta dai tribunali statali o feudali, mentre le Inquisizioni furono più caute e scettiche. Quello che colpisce oggi in questa storia è che le sentenze di morte venivano emesse dai giudici ecclesiastici in nome di Gesù Cristo. Venivano poi eseguite dalle autorità statali con il rogo, ma talvolta i condannati venivano strangolati, impiccati, annegati, decapitati. Il fuoco portava con sé un grande senso di purificazione dal male e veniva utilizzato anche per distruggere i libri proibiti. I nostri roghi tuttavia sono finiti due secoli e mezzo fa e fanno parte di una storia che non si ripeterà mai più.
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