Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 04/02/2015, a pag. 2, con il titolo "Il ricordo del bambino ucciso alla Sinagoga. Il fratello: 'Adesso il nostro dolore è di tutti' ", il commento di Maurizio Molinari; dal CORRIERE della SERA, a pag. 3, con il titolo "Quell'omaggio al piccolo Stefano perché gli ebrei non siano più soli", il commento di Pierluigi Battista.
9 ottobre 1982: l'attentato al Tempio Maggiore di Roma
Ecco gli articoli:
LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Il ricordo del bambino ucciso alla Sinagoga. Il fratello: 'Adesso il nostro dolore è di tutti' "
Maurizio Molinari Sergio Mattarella
«Stefano Taché, ucciso nel vile attacco terroristico alla Sinagoga di Roma, aveva solo 2 anni, era un nostro bambino, un bambino italiano». Le parole pronunciate dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella vengono accolte con emozione da Gadi Taché, fratello di Stefano, perché «trasformano un dolore finora solo ebraico in un lutto di tutti gli italiani». Con un gesto che «segue quello compiuto da Napolitano in favore dell’inclusione di Stefano nella lista delle vittime del terrorismo in Italia».
Il 9 ottobre 1982 anche Gadi è alla Sinagoga di Roma per la benedizione dei bambini nel sabato di «Sheminì Azeret». Ha due anni più del fratellino e alle 11,55 vengono investiti entrambi dall’esplosione di una bomba lanciata dal terrorista appostato sul marciapiede di via Catalana. È un uomo sui 30 anni, capelli ricci, pelle olivastra e una borsa di pelle scura. Mette la mano nella sacca e lancia verso i fedeli quello che sembra a molti un grande sasso.
L’obiettivo sono i bambini. L’esplosione uccide Stefano, provoca ferite gravi a Gadi e ad altre 34 persone, incluso Emanuele Pacifici, figlio del rabbino capo di Genova trucidato ad Auschwitz. Il selciato di via Catalana si copre di sangue mentre altri terroristi sparano con mitra leggeri, prima di dileguarsi grazie ai complici. I fori dei proiettili segnano le pareti della sinagoga inaugurata da Vittorio Emanuele II nel 1904. L’attentato è il primo atto di aggressione armata agli ebrei italiani dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Avviene in un clima segnato dalla sovrapposizione fra antisemitismo ed antisionismo sullo sfondo della guerra in Libano.
I precedenti
Il sabato prima sui cancelli della sinagoga di via Garfagnana era stato affisso lo striscione «Bruceremo i covi sionisti». Nel giugno precedente un corteo sindacale aveva depositato una bara vuota davanti alla sinagoga in segno di solidarietà con i palestinesi dell’Olp. Ad esprimere lo stato d’animo degli ebrei romani è il volantino «Vergogna» che gli studenti ebrei affiggono sulla sinagoga. Pochi giorni dopo l’architetto Bruno Zevi parla in Campidoglio: «Noi popolo di Israele protestiamo ed accusiamo, l’antisionismo è una mascheratura dell’antisemitismo». La sensazione di isolamento e rabbia si esprime nel silenzio glaciale con cui la folla accoglie il presidente Sandro Pertini durante le esequie con la piccola bara bianca di Stefano. Ad aumentare l’impressione di essere perseguitati e ignorati c’è quanto avviene al giordano-palestinese Osama Abdel Al Zomar: arrestato in Grecia il 20 novembre del 1982 perché implicato nell’attentato, viene detenuto ad Atene che lo espelle verso la Libia, dove scompare. Al Zomar sarà condannato all’ergastolo in contumacia e ciò fa dell’attentato un «crimine impunito» come dice Gadi, che vede nelle parole di Mattarella «un segnale importante che spero potrà farci avere giustizia» ovvero piena luce sull’attentato. Gli interrogativi aperti includono le parole dell’ex capo dello Stato, Francesco Cossiga, che nel 2008 a «Yedioth Aharonot» parlò di un «Accordo Moro» fra «nostri servizi e terroristi palestinesi» in base al quale «i palestinesi avevano mano libera in Italia ma si impegnavano a non colpirci ad eccezione degli obiettivi sionisti, ovvero gli ebrei».
CORRIERE della SERA - Pierluigi Battista: "Quell'omaggio al piccolo Stefano perché gli ebrei non siano più soli"
Pierluigi Battista
Nel suo primo discorso da presidente della Repubblica, Sergio Mattarella ha reso omaggio a Stefano Gay Taché, il «nostro bambino», il «bambino italiano» che fu ammazzato da un commando di terroristi palestinesi il 9 ottobre del 1982, all’età di due anni, mentre usciva con la sua famiglia dalla Sinagoga Maggiore di Roma, per celebrare l’ultimo giorno della festa ebraica di Sukkot. Non lo sapevamo già? Lo sapevamo, ma era come se la comunità nazionale non lo volesse sapere. Ricordare un bambino ebreo trucidato perché ebreo nel pieno centro di Roma 33 anni fa, è un gesto di grande sensibilità del presidente di tutti gli italiani: soprattutto in questi giorni tristi in cui in un supermarket kosher di Parigi un combattente del fanatismo religioso ha appena compiuto una strage di ebrei, alla vigilia di Shabbath. Abbiamo fatto finta di niente per anni.
Il nome di Stefano Gay Taché ha fatto fatica persino a essere inserito nell’elenco ufficiale stilato dal Quirinale delle vittime italiane del terrorismo: si deve alla tenacia di Giorgio Napolitano se quella mostruosa discriminazione è stata finalmente sanata. I connazionali ricordano a stento quell’attentato che stroncò la vita di un bambino italiano ed ebreo. L’eccidio di Tolosa dove due anni fa hanno perso la vita tre bambini ebrei uccisi da uno jihadista aveva avuto luogo anche in Italia. Ma le autorità italiane lasciarono soli gli ebrei. Sulla stampa nazionale, eccitata dall’invasione israeliana del Libano, imperversò un surreale dibattito imperniato sul concetto di «razza dominatrice» e sul «Dio vendicativo» del Vecchio Testamento. Pochi giorni prima dell’attentato in cui perse la vita Stefano, un corteo sindacale sfilò con una bara davanti al Tempio Maggiore e Luciano Lama se ne scusò con parole accorate. Oggi quella ferita non può venir sanata, ma nelle parole di Mattarella riecheggia la volontà di non lasciar mai più soli gli ebrei italiani. Era ora.
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