Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 03/02/2015, a pag. 3, l'editoriale "Da Auschwitz al Jihad"; dalla REPUBBLICA, a pag. 30, con il titolo "Svezia: nel paradiso ferito dalla paura dell'islam", l'analisi di Andrea Tarquini.
Ecco gli articoli:
Islamismo: il nuovo nazismo
IL FOGLIO: "Da Auschwitz al Jihad"
Reuven Rivlin, Presidente dello Stato di Israele
Il presidente israeliano, Reuven Rivlin, ha paragonato il progetto del Califfato dell'Is e la barbarie dei nigeriani di Boko Haram al nazismo, in un discorso tenuto all'Assemblea generale delle Nazioni Unite. Lo stesso ha detto il presidente ceco Milos Zeman alla conferenza sull'antisemitismo "Let My People Live!" che si svolge a Praga: "Lo Stato islamico ha il carattere simile a quello della Germania degli anni Trenta e se non interveniamo rischiamo un superolocausto".
Questa settimana ci sono stati due anniversari: la liberazione di Auschwitz e il funerale di Winston Churchill. Il secondo ha offerto l'opportunità di riflettere sullo spirito che ha contribuito a liberare i campi di sterminio. L'islamismo radicale, come il nazismo prima, sta facendo rivendicazioni territoriali. In medio oriente controlla grandi fasce dell'Iraq e della Siria. In Africa occidentale, l'islamismo si è ritagliato un regno nel nord-est della Nigeria. Ovunque passa, le donne sono ridotte a cittadine di seconda classe, tutti i non musulmani sono costretti a convertirsi o a fuggire, gli ostaggi sono giustiziati in massa, le minoranze sessuali e altri "peccatori" sono gettati dai palazzi con la folla che ne acclama l'uccisione rituale. E, come con i nazisti, questo islam vede la democrazia occidentale come un nemico.
Intanto, si assiste alla rinascita dell'antisemitismo ovunque nel mondo. A Parigi, diciotto persone sono state massacrate da questa mostruosa ideologia, così come il nazismo colpiva i giornalisti oppositori. "Abbiamo ucciso Charlie Hebdo", hanno urlato i fratelli Kouachi dopo la strage nella redazione del giornale satirico; lo stesso giornale che, incassata la solidarietà di massa, ha comunque annunciato l'interruzione delle pubblicazioni. L'anniversario della liberazione di Auschwitz ci ricorda che il fanatismo può essere sconfitto. Ma solo se l'occidente decide di fare qualcosa. Come Churchill.
LA REPUBBLICA - Andrea Tarquini: "Svezia: nel paradiso ferito dalla paura dell'islam"
La Svezia islamizzata
Brillano nella notte le fiamme delle molotov di razzisti ignoti contro le moschee. Almeno tre negli ultimi tempi, nel cuore civilissimo e urbano del Grande Nord. Solo feriti e danni gravi, ma la paura dei musulmani monta. Monta, parallela, la paura degli ebrei: «Dopo Parigi le minacce antisemite sono raddoppiate », dice la comunità. La Saepo, la polizia segreta, è in allarme rosso. Online gli ultrà si autoesaltano tra le file del Movimento di resistenza svedese, mentre sbocciano nuovi gruppi in contatto con Pegida, gli xenofobi tedesco-orientali. Sullo sfondo, anche qui, un partito anti-stranieri, gli Sveriges Demokraterna, capace di impedire maggioranze normali in Parlamento. Ma la Svezia è ancora diversa, i due blocchi democratici hanno reagito: larghe intese senza spartirsi poltrone tra il governo minoritario di sinistra del premier Stefen Loefven e l’Alleanza dei partiti “borghesi” all’opposizione, guidata da Anna Kingberg Batra.
Una grande coalizione che non vuol dire il suo nome: «Vogliamo garantire insieme la governabilità, come il sistema- paese chiede, ma restando ideologicamente diversi, e insieme “altro” da chi attacca culture diverse definendole inconciliabili con la nostra», mi dice a Rosenbad, sede del governo di fronte al Palazzo Reale, la ministro per lo Sviluppo strategico, Kristina Persson. È ispiratrice dell’intesa senza precedenti nella lunga storia della democrazia delle tre corone. “Rossi” (socialisti, gli eredi di Tage Erlander e Olof Palme) e altre sinistre da un lato, “borghesi” di centrodestra dall’altro: insieme contro elezioni anticipate o un’ingovernabilità di tipo mediterraneo, e anche per sbarrare la strada ai populisti.
«Populismo e razzismo sono pericoli da prendere molto sul serio anche da noi, non dimentichiamo gli anni Trenta — ammonisce Persson — bitro sogna difendere insieme i valori costitutivi del modello svedese e della democrazia-melting pot, e dobbiamo tornare a far politica vicino alla gente». Quanto gli Sveriges Demokraterna (“Democratici svedesi”) siano pericolosi lo si è visto a dicembre, mi ricorda Goeran Eriksson, columnist del quotidiano liberal Svenska Dagbladet : votando per la finanziaria alternativa del centrodestra, stavano per ottenere elezioni anticipate a marzo, e solo loro si sarebbero rafforzati.
Poi è successo qualcosa. “Rossi” e “borghesi” hanno abbattuto muri del silenzio, hanno ricominciato a parlarsi: soprassalto d’emergenza democratica. Accordo rischioso per entrambi i blocchi, avvertono i media: fino al 2022, chiunque di loro governi, si sosterranno a vicenda sul Bilancio e ogni al- voto di fiducia. «È ai limiti dell’illecito, svuotano la democrazia», replica delusa Li Jansson, politologa di grido, esperta d’immigrazione. «A settembre gli elettori non hanno votato per questo accordo, i cui contenuti non sono trasparenti. E se i partiti storici continueranno col tabù dei silenzi sui problemi legati all’immigrazione, specie ai comuni poveri, non basterà definire ”fascisti” gli Sveriges Demokraterna per fermarli».
Difficile cogliere tensioni nelle vie dello shopping della splendida Stoccolma, prospera capitale d’una delle economie più globali e competitive del mondo, o viaggiando tra coppie miste in Tunnelbana, il bel métro-rifugio antiatomico. Eppure, negli anni scorsi, tumulti razziali hanno sconvolto città industriali del sud, e non è solo questione di svastiche o scritte contro arabi e neri, mi fa notare Daniel Suhonen, giovane e brillante ideologo della socialdemocrazia. «Nel partito ne discutiamo: l’accordo per fermare i populisti evoca quasi la democrazia bloccata dell’Italia di decenni addietro, una partita a scacchi in cui nessuno dei due può più muovere».
«È l’ora di domande amare. C’è crisi d’identità nella sinistra che governò per decenni », continua. «Ammiriamo i leader di sinistra pragmatici come Renzi e Gabriel, ma su bilancio, tasse, immigrazione, welfare dovremo fare compromessi coi “borghesi” che in otto anni hanno privatizzato il welfare più che ovunque altrove. Il partito sente la crisi nel midollo: per decenni governò con maggioranze assolute, 90 operai su cento erano nella Lo, il sindacato-cinghia di trasmissione, e di questi l’85 per cento aveva la nostra tessera in tasca. Oggi gli operai nel sindacato sono sì e no 70 su cento, e di questi al massimo la metà sta con noi. Magari un giorno i populisti conquisteranno grandi città, come il Front National in Francia».
Welfare privatizzato, più migranti per abitante che ogni altro paese al mondo, ancora riforme e sacrifici, «per molti cittadini, la sensazione del paradiso perduto», nota Suhonen: «Per questo pescano voti ovunque, nelle classi medie, populisti amici del Front National finanziato da Putin». E allora l’accordo da democrazia bloccata appare il meno peggio. Imprese e Borsa applaudono alla crisi scongiurata, antiche certezze si ridestano.
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