Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 02/02/2015, a pag. 41, con il titolo "Memoria e memorie: come ricordare il XX secolo", la risposta di Sergio Romano alla lettera di Luigi Marino.
Ha ragione Sergio Romano quando sostiene che la Giornata della memoria è sempre più spesso caratterizzata da dosi massicce di retorica. Ma ha torto a non considerare la Shoah un evento unico, a oggi, nella storia d'Europa, di conseguenza non assimilabile agli altri numerosi massacri che hanno segnato il XX secolo.
E' singolare che Sergio Romano, da storico, non colga il motivo per cui la Shoah non è una strage come le altre, e non è neppure semplicemente un gigantesco pogrom antisemita. La Shoah è la pianificazione su base burocratica e industriale dello sterminio degli ebrei europei da parte della Germania nazista, coadiuvata da milioni di "volenterosi carnefici" in tutto il Continente. Non è la semplice distruzione dell'ebraismo europeo, ma l'annientamento degli ebrei prima nel loro essere umani e poi, fisicamente, come persone. Giunta dopo 2000 anni di persecuzioni e massacri non dissimili nelle intenzioni dalla 'soluzione finale' del nazismo.
Per questo, e non per il mero computo delle vittime, la distruzione dei due terzi degli ebrei d'Europa non è equiparabile a nessun altro pur terribile sterminio che ad oggi conosciamo.
Sergio Romano uno storico? Bah...
Ecco l'articolo:
Sergio Romano
Ecco la lettera:
Il «Giorno della Memoria» è stato istituito per ricordare la Shoah, le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che anche in campi e schieramenti diversi si sono opposti al progetto di sterminio e che a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati: per ricordare quindi tutte le vittime del nazifascismo. Oltre all’Olocausto degli ebrei, vittime furono anche i 500.000 zingari, gli omosessuali, i testimoni di Geova, eccetera. Nei campi di sterminio perirono ben 3.300.000 soldati sovietici su 5,7 milioni catturati in battaglia. Il trattamento nei lager cambiava a seconda delle diverse nazionalità e fu segnato da motivazioni razziali e ideologiche, in particolare contro il bolscevismo come ideologia e contro i cittadini dell’Unione Sovietica considerati «sottouomini» slavi. I soldati sovietici, insieme agli ebrei, subirono il destino peggiore. La mortalità tra i prigionieri sovietici fu quasi del 60%, mentre per i 100.000 prigionieri americani fu del 4%. Il 27 gennaio occorrerebbe quindi ricordare il disumano trattamento che ebbero a subire tutte le vittime della barbarie nazista, ebrei, sovietici, rom e tutti quelli sistematicamente assassinati.
Luigi Marino
Associazione «Maksim Gor’kij», Napoli
Auschwitz
Caro Marino,
Quando fu istituito il giorno della memoria, ebbi molti dubbi. Ero convinto che il genocidio ebraico avesse diritto a un posto particolare nella memoria del Ventesimo secolo, ma temevo che quella legge avrebbe creato una indecorosa e sgradevole gara delle memorie concorrenti. Credo che la mia preoccupazione fosse giustificata. I primi a rivendicare il pubblico riconoscimento delle loro sofferenze furono gli armeni, vittime dei massacri turchi agli inizi della Grande guerra. Poi, in Italia, si levarono le voci degli istriani e dei dalmati, gettati nelle foibe durante gli ultimi mesi della Seconda guerra mondiale o costretti dalla Jugoslavia di Tito ad abbandonare le loro case. Venne poi il caso dell’Ucraina, decisa a ricordare lo sterminio per fame (Holodomor) provocato dalla collettivizzazione della terra, voluta da Stalin agli inizi degli anni Trenta.
Anche i tedeschi, più recentemente, hanno cominciato a ricordare le loro tragedie: le vittime carbonizzate dei bombardamenti di Dresda e Amburgo, i civili in fuga dai territori dell’Europa centro-orientale (fra i 12 e i 15 milioni), i 9.000 profughi che viaggiavano a bordo della nave Wilhelm Gustloff, silurata da un sottomarino sovietico nelle acque del Baltico il 30 gennaio 1945. Riappare di tanto in tanto, sulla stampa e nei siti on line, il caso dei prigionieri di guerra tedeschi catturati dagli americani in Germania alla fine della guerra, a cui sarebbe stato negato il trattamento previsto dalle convenzioni di Ginevra. (Ma il numero dei morti per fame sarebbe frutto di una ricerca non sufficientemente documentata).
Naturalmente, qualcuno potrebbe osservare che i tedeschi non hanno diritto alla pietà con cui ricordiamo le loro vittime. Ma una tale osservazione mi sembrerebbe razzista. Sono queste le ragioni, caro Marino, per cui avrei preferito che la memoria dei massacri, anziché essere istituzionalizzata, venisse lasciata alla spontaneità delle iniziative promosse nelle diverse società europee e alle ricerche degli studiosi, da qualche anno sempre più frequenti. Nelle manifestazioni ufficiali vi è sempre un sovrappiù di retorica che in questi casi è preferibile evitare.
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