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Corriere della Sera Rassegna Stampa
02.02.2015 Charlie Hebdo è già dimenticato, così come i suoi assassini
Commento di Pierluigi Battista, cronaca di Stefano Montefiori

Testata: Corriere della Sera
Data: 02 febbraio 2015
Pagina: 41
Autore: Pierluigi Battista - Stefano Montefiori
Titolo: «Se c'è già chi rinnega gli eroi della parola libera - 'Siamo addolorati e stanchi, ci fermiamo ma non è finita'»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 02/02/2015, a pag. 41, con il titolo "Se c'è già chi rinnega gli eroi della parola libera", il commento di Pierluigi Battista; a pag. 18, con il titolo "Siamo addolorati e stanchi, ci fermiamo ma non è finita", la cronaca di Stefano Montefiori.


L'ultima copertina di Charlie Hebdo

Ecco gli articoli:

Pierluigi Battista: "Se c'è già chi rinnega gli eroi della parola libera"


Pierluigi Battista

Morire per una vignetta, giusto una marcia per farti festa una domenica e poi essere dimenticato da tutti quelli che una mattina si sono fatti belli con #jesuisCharlie? Ma figurarsi. Saggio Mark Zuckerberg, che ha promesso a Erdogan di cancellare le vignette su Maometto dalla Facebook turca. Saggio il comune di Colonia, in Germania, che ha vietato a un carro di carnevale di ricordare quei 12 poveretti che sono stati ammazzati, armati di una matita, nella redazione di Charlie Hebdo : avrebbe turbato la «leggerezza» carnevalesca, dicono. Saggi i responsabili del Victoria and Albert Museum di Londra che hanno prima esposto, poi nascosto un ritratto del Profeta: niente di blasfemo, ma non si sa mai.    

Perché sarà pure bello morire da eroi, ma quando il mondo si dimentica di te dopo una lacrimuccia repubblicana e ti dà in pasto ai professionisti della paura, allora non si capisce perché creare tanto imbarazzo tra i sopravvissuti, che poi sono costretti pure a giurare sui sacri princìpi della libertà d’espressione. Mica vorranno fare la fine di Ayaan Hirsi Ali, la traditrice, l’apostata, la compagna di lavoro del regista Theo Van Gogh accoltellato da fanatici di cui non vorrei qui, in nome della libertà d’espressione, specificare il credo religioso, quell’Ayaan Hirsi Ali a cui i vicini di casa hanno chiesto di andarsene, perché era troppo pericolosa.

A Salman Rushdie, dopo anni di impossibile e tetra vita blindata, è andata di lusso. Ma mica uno può sfidare il destino di Hitoshi Igarashi, il traduttore giapponese di Rushdie che è morto pugnalato da fanatici di una religione che (sempre festeggiando la libertà di stampa e nell’imperituro ricordo di Charlie Hebdo) sarebbe il caso di non menzionare, e di cui oggi nessuno ricorda nemmeno il nome: ammazzato e dimenticato.    

Bisogna essere più duttili, più prudenti. Bisogna fare come la Yale University Press che in un volume sulle «vignette della discordia» ha preferito nemmeno pubblicarle, quelle vignette: solo testo scritto. Criticare Israele, ma evitare di dire che Israele è circondato da un mare di nemici che dicono di volerli semplicemente «sgozzare», gli ebrei, sia quelli di Israele, sia quelli che frequentano un supermarket kosher a Parigi. Altrimenti ti devi aspettare, certo non l’uccisione, ma almeno uno schiaffetto, una piccola sberla. Un pugno. Tanto una marcia repubblicana dura un giorno, ma sottoterra Charlie ci sta per l’eternità, dimenticato.

Stefano Montefiori: "Siamo addolorati e stanchi, ci fermiamo ma non è finita"


Stefano Montefiori

Il primo problema lo spiega bene Luz: come continuare a fare il giornale di sempre, quello che si batte contro i simboli, una volta che Charlie stesso è diventato un simbolo: «Oscilliamo tra l’essere considerati dei provocatori e dei cavalieri bianchi in difesa della libertà di espressione». Nessuno dei due ruoli è mai piaciuto a quei virtuosi dell’(auto)derisione che sono i disegnatori di Charlie Hebdo , ma ecco il secondo problema: tra provocatori e cavalieri bianchi, la lancetta comincia a puntare di nuovo su «provocatori».

L’ultimo numero uscito il 13 gennaio si è venduto in oltre sette milioni di copie in tutto il mondo, e già quel giorno in conferenza stampa Luz — uno dei superstiti e disegnatore della copertina con Maometto — aveva avvisato che il successivo non sarebbe apparso prima del 4 o dell’11 febbraio. Quelle date però sono saltate, non si sa quando uscirà il numero 1.179. Per adesso non ci sono le condizioni, spiega Anne Hommel, la donna che da tempo gestisce l’immagine di Dominique Strauss-Kahn (che oggi va a processo a Lille), ed è stata chiamata da Richard Malka (avvocato di Charlie Hebdo e anche di DSK) a governare l’improvvisa e disgraziata popolarità planetaria. Hommel evoca il dolore e la stanchezza soprattutto psicologica di quel che resta della redazione. L’unica certezza, dice il caporedattore Gérard Biard, è che «Charlie continua». Ma non si sa come.

Luz ha concesso un’intervista video esclusiva al sito americano Vice News , resa pubblica ieri. Immagini subito drammatiche: «Ecco l’appartamento di un disegnatore dopo l’attentato — dice Luz, un bicchiere di vino in mano —: un gran caos e persiane chiuse». La telecamera inquadra le finestre oscurate dell’uomo che dal 7 gennaio è sotto scorta della polizia. Renald Luzier detto Luz quella mattina si è salvato perché era il suo 43° compleanno, ha fatto tardi alla riunione di redazione «perché sono rimasto a letto con mia moglie, più del previsto. Mi ha preparato caffé, biscotti, le candele». Luz non ce la fa a raccontare senza singhiozzare. Traspare l’emozione per i quattro milioni in piazza a gridare «Je suis Charlie», la domenica dell’11 gennaio, ma anche la paura di farsi strumentalizzare (vedi la presenza dell’Arabia Saudita alla marcia) e il dispiacere per il sostegno mancato. Per esempio quello del New York Times , che non ha pubblicato la nuova vignetta con Maometto, «per paura di ferire qualcuno, o magari per paura dei terroristi». Due giorni fa era stata la moglie di Luz, Camille Emmanuelle, a protestare contro la femminista Cécile Lhuillier, che su Têtu ha accusato Charlie Hebdo di essere sempre stato «omofobo, sessista e islamofobo».

Al festival del fumetto di Angoulême che si è chiuso ieri Charlie Hebdo ha ricevuto un Grand Prix speciale, e a ritirarlo è andato l’amico Jean-Christophe Menu, commosso e indignato: «Charlie non è trasformare in eroi nazionali disegnatori che sputavano sul potere, non è fare suonare le campane di Notre Dame in onore degli anticlericali». Troppa solidarietà è ipocrisia, poca è tradimento. Lo spirito Charlie cerca se stesso.

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