mercoledi` 20 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Il Foglio Rassegna Stampa
27.01.2015 Chi ha ucciso Nisman?
Cronaca e analisi di Angela Nocioni

Testata: Il Foglio
Data: 27 gennaio 2015
Pagina: 2
Autore: Angela Nocioni
Titolo: «Chi ha ucciso Nisman?»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 27/01/2015, a pag. II, con il titolo "Chi ha ucciso Nisman?", la cronaca e analisi di Angela Nocioni.


Angela Nocioni


Alberto Nisman                                   Cristina Kirchner
        

Il giallo argentino, in pillole, è questo. Il procuratore Alberto Nisman denuncia il 14 gennaio la presidente della Repubblica Cristina Kirchner, il ministro degli Esteri Hector Timerman e altri collaboratori del governo, per aver coperto con un patto segreto i mandanti della strage del 18 luglio 1994 alla mutua ebraica di Buenos Aires (85 morti). Il 19 gennaio è atteso in Parlamento, su invito dell’opposizione, a presentare le prove alla base della sua denuncia. Attenzione: è una denuncia, non un’accusa. Non ha bisogno di avere prove ai fini di una condanna, ma di elementi sufficienti ad aprire un’inchiesta. Dice comunque a giornalisti e collaboratori che ha in mano “prove inoppugnabili, talmente evidenti da mandarli tutti in galera”. Il 18 sera viene trovato cadavere nel bagno del suo appartamento con un foro di proiettile alla tempia destra e una calibro 22, non sua, lì accanto.

Nei giorni seguenti la brutta storia si complica e diventa un appassionante thriller politico. Insieme a loschi agenti di scorta della Policía federal, appaiono sulla scena predicatori iraniani che mandano messaggi da Teheran, Hezbollah libanesi, emissari israeliani, amici all’ambasciata americana e doppie spie argentine, forse triple. Una spietata guerra di tutti contro tutti dentro i servizi segreti di Buenos Aires fa da cornice al quadro. Anche la storia oscura della strage di vent’anni fa si complica. Accanto alla pista iraniana (iraniani i mandanti e Hezbollah libanesi gli esecutori, secondo l’accusa) ne rispunta fuori una siriana: contrabbando d’armi ai tempi del governo di Carlos Menem, sotto la cui presidenza avvenne la strage. Vediamo i dettagli.


Proteste in Plaza de Mayo: "Yo soy Nisman"

Col cadavere ancora caldo di Nisman accasciato davanti allo specchio del bagno, il governo Kirchner si precipita lunedì ad accreditare la tesi del suicidio. Il primo a farla circolare è il segretario per la Sicurezza della presidenza, Sergio Berni, che misteriosamente arriva nell’appartamento del giudice prima del magistrato inquirente e della polizia scientifica. Passeggia per ore indisturbato in quella che potrebbe essere la scena di un delitto. Giustifica la sua presenza con l’amore per la professione (quale?), ma non spiega cosa ha fatto in quelle ore, né chi l’ha avvisato. Di certo c’è solo che a dare l’allarme, alle due del pomeriggio, per aver trovato il giudice in una pozza di sangue, sono la madre e due agenti di scorta, entrati in casa con l’aiuto di un fabbro. E che la pm incaricata, Viviana Fein, e la polizia scientifica, arrivano non prima dell’una di notte. I giornalisti corrono sul posto, avvisati dal tweet di un cronista del Buenos Aires Herald, che poi dirà di aver dovuto imbarcarsi al volo in un aereo per Israele perché minacciato “per aver mandato all’aria l’operazione” con quel tweet. L’appartamento di Nisman è al tredicesimo piano del grattacielo “Le Parc”, a poche centinaia di metri dalla Casa Rosada. La giudice dice di essere stata avvisata a mezzanotte e quaranta.

C’è un buco di undici ore che nessuno ha finora spiegato. Gli agenti di scorta, dieci uomini della Policía federal, dicono di essersene andati il venerdì sera su sollecitazione di Nisman che avrebbe detto di non aver bisogno del loro servizio fino alla domenica alle 11. Perché una persona che ha appena detto a una giornalista “in questa storia posso finire morto”, che teme per la sua vita tanto da chiedere in prestito a un collaboratore informatico la sua pistola calibro 22 nonostante abbia registrate una calibro 38 e una calibro 22 a suo nome (strano collaboratore con uno stipendio da 40 mila pesos al mese, troppi per un semplice tecnico informatico della procura), dovrebbe volersi privare di Angela Nocioni della scorta? Forse, suggerisce il tecnico informatico, perché Nisman era stato avvisato da un ex agente dei servizi suo amico, il potentissimo Antonio Horacio Stiuso, alias “Jaime”, di non fidarsi dei suoi angeli custodi e di procurarsi alla svelta una pistola. I vicini sostengono comunque di aver visto due agenti nel garage degli ospiti di Nisman il sabato, il giorno della consegna della calibro 22 da parte del tecnico informatico. E perché la scorta se ne va senza avvisare i superiori? Quando torna la domenica mattina, Nisman già non risponde più al telefono. Perché l’allarme non viene dato fino alle due del pomeriggio?

Il lunedì, nonostante l’Argentina sia sotto choc per la notizia e la magistratura abbia aperto un’indagine per “morte sospetta”, la presidente della Repubblica, che si manifesta solo via Facebook si chiede “cosa possa portare una persona alla scelta tragica di togliersi la vita”. Spiega al mondo che solo l’intenzione del suicidio a causa di una denuncia annunciata con le fanfare e destinata al flop spiegherebbe la necessità di Nisman di procurarsi una pistola, visto che è stato trovato morto in un appartamento “inaccessibile, chiuso a chiave da dentro”, dotato di “codice di sicurezza all’entrata, telecamere ovunque 24 ore su 24 e una scorta di dieci persone”. Accusa il giudice morto di essersi prestato a un complotto contro di lei, di essere tornato di corsa dalle vacanze per approfittare del clima creato dalla marcia di Parigi per presentare una denuncia “evidentemente già scritta”. La presidente si dimentica di fare le condoglianze alla famiglia. Il ministro degli Esteri definisce il giudice morto “un poveraccio”. Un altro ministro gli dà della “canaglia”. La tesi del suicidio, però, non passa. Le strade si riempiono di gente che piange e innalza cartelli con scritto “Yo soy Nisman”. Ci si mette anche il New York Times a sollevare dubbi sull’attendibilità della Kirchner. Ma è il fabbro chiamato dalla madre del giudice per aprire la porta a sconvolgere l’indagine. Accaldato, temerario, con la camicia sbottonata fino all’ombelico, rivela ai giornalisti: “La porta di servizio non era chiusa a chiave. C’era solo la chiave infilata nella serratura dall’interno. In meno di due minuti siamo entrati. E’ bastato un fil di ferro. Chiunque sarebbe potuto entrare in quella casa”.

Fil di ferro contro propaganda di governo. L’appartamento “inaccessibile” aveva quindi una porta di servizio aperta, una scorta assente e un’altra porta che dal salone dava su un corridoio stretto dove ci sono i motori dell’aria condizionata e, in fondo, la porta che dà sul living dell’appartamento di fronte. La maggior parte delle telecamere h24 non funzionava. Il grattacielo “Le Parc” comunica con quello accanto da un corridoio nel piano dei garage. La security era tanto affidabile che i condomini, stanchi di subire furti tutti i mesi, stavano accordandosi per cambiare gestione. Molti degli appartamenti del grattacielo vengono affittati per brevi periodi ai turisti. C’era un tale via vai di sconosciuti nel palazzo che i portieri non chiedevano nemmeno il nome al citofono prima di aprire il portone. L’ex moglie di Nisman, anche lei giudice, che conosce la ragione per cui Nisman è tornato di corsa dalle vacanze perché a lei ha lasciato in consegna all’aeroporto di Madrid la figlia quindicenne, dà una deposizione di sette ore alla pm e risponde solo a una domanda dei giornalisti. “Crede al suicidio?”. “No”. Farà poi sapere di non fidarsi della pm né dei risultati dell’autopsia che dicono che Nisman è stato ucciso dalla calibro 22 trovata in bagno. Non c’è però traccia di polvere da sparo sulle mani di Nisman. Una soffiata pubblicata dal giornale Clarín parla di un colpo esploso a venti centimetri, ma la pm smentisce: la distanza è di un centimetro dalla tempia.

Cristina Kirchner intanto ha però cambiato idea. Non è più un suicidio. La sua teoria è ora quella del crimine perfetto, compiuto da settori deviati dei servizi per screditare il governo. Al giudice sarebbe stata servita una polpetta avvelenata proprio dall’ex spia Stiuso, quello tirato in ballo dal tecnico informatico. Stiuso è un pezzo grosso dei servizi segreti argentini, inamovibile dal 1972, grande servitore di Nestor Kirchner prima e di sua moglie Cristina poi, ma fatto fuori da lei (o da qualcuno che l’ha convinta a farlo) il 17 dicembre. Nella vulgata governativa Nisman non è più “una canaglia”, ma un “utile idiota” che si fa scrivere l’inchiesta della sua vita da una spia sopravvissuta al vertice dei servizi dal 1972 al 2014, attraversando indenne tutti i governi in Argentina, da quello dei militari in poi. Stiuso, scrive ora Cristina, avrebbe passato a Nisman prove false. Il giudice ha abboccato, ha annunciato la denuncia e poi, alla vigilia della deposizione in Parlamento, poiché serviva ormai più morto che vivo, così da poter gettare discredito sulla presidente, sua principale accusata, è stato fatto uccidere. Cancellata tutta la storia della paura della vigilia, la paura di un flop: quadri e militanti di la Campora, l’organizzazione di base del kirchnerismo fondata dal figlio della presidente, Máximo Kirchner, da giovedì scorso hanno l’ordine di dire in giro che Nisman è stato fatto uccidere da servizi deviati, nemici di Cristina, con l’aiuto del Mossad.

Le prove alla base della denuncia di Nisman, che consisterebbero fondamentalmente in 961 cd di intercettazioni telefoniche, sarebbero da tempo state depositate in copia in posti considerati sicuri dal giudice. Questo dicono i suoi amici. Uno degli agenti di Nisman, quello di cui lui sembrava fidarsi di più, conferma che anche a lui il procuratore aveva chiesto un’arma. Nisman era considerato intimo dell’ambasciata americana a Buenos Aires. Di certo la comunità ebraica lo amava molto, l’ambasciata di Israele anche. Possibile che né gli uni né gli altri abbiano pensato di garantirgli una sorveglianza? Nessuno sano di mente a Buenos Aires si sentirebbe al sicuro perché ha una scorta della Policía federal. Anzi. Tanto meno se sa che nei servizi c’è uno scontro in corso che la sua denuncia contro la presidente ha contribuito a inasprire. Nisman nella denuncia, diffusa dalla Corte argentina, tira in ballo agenti di Buenos Aires in filo diretto con Teheran per trattare in segreto l’impunità dei sospetti mandanti della strage.

La guerra nell’intelligence argentina è scoppiata almeno un mese prima della morte del giudice, dopo il repulisti firmato da Cristina. I due nuovi capi teoricamente a lei fedeli, Héctor Icazuriaga e Francisco “Paco” Larcher, fanno sapere in giro che è finita l’èra Stiuso. Molti agenti rimangono senza riferimenti certi, alcuni, una sessantina, se ne vanno. Il vero uomo di Cristina, Oscar Parrilli, che nessuna voglia aveva di andare a dirigere un’intelligence ormai in lotta intestina quando pensava ormai d’essersi guadagnato la candidatura a governatore dello stato di Neuquén, inaugura di malavoglia il nuovo incarico a capo dei servizi cominciando una spending review. Chiede la lista degli “agentes inorgánicos”, quelli in nero che maneggiano al buio grandi quantità di fondi riservati. Scoppia un tale casino che deve fare marcia indietro. Va a sbattere contro il capo dell’esercito, l’intoccabile Milani. Il governo annuncia che farà entrare nell’intelligence almeno 300 persone dell’organizzazione di base kirchnerista. La confusione lì dentro è tale che il settore di intelligence antiterrorismo è sguarnito. Dice al Clarín un uomo dei servizi: “Buenos Aires, la città della strage alla ambasciata di Israele nel 1992 e quella alla mutua ebraica del 1994, è pronta per un terzo attentato”.

Per inviare la propria opinione al Foglio, telefonare 06/589090, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


lettere@ilfoglio.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT