Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 27/01/2015, a pag. 1, l'articolo "Esodo di massa da Parigi"; da REPUBBLICA, con il titolo "Germania, sondaggio schock: l'81% vuole dimenticare la Shoah", la cronaca di Andrea Tarquini.
Ecco gli articoli:
Manifestazione antisemita in Francia
IL FOGLIO: "Esodo di massa da Parigi"
Antisemitismo in Francia
Roma. Sul tavolo del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ieri è arrivato un documento del Jewish People Policy Institute, l’ente addetto all’immigrazione in Israele affiliato all’Agenzia ebraica. Il dossier contiene il piano dettagliato per accogliere 120 mila ebrei francesi in dieci anni. Un quarto del numero totale di ebrei che oggi vivono in Francia. Secondo i dirigenti israeliani, Gerusalemme deve essere pronta non solo ad accogliere, ma anche a incentivare la partenza ogni anno di 30 mila ebrei dalla Francia. Quest’anno da Parigi dovrebbero partire in 15 mila, senza che Israele abbia fatto ancora nulla per attrarli. Un picco impressionante, considerando che degli 80 mila ebrei francesi arrivati in Israele dagli anni Settanta a oggi un decimo è arrivato soltanto nel 2014. Ieri è uscito un altro rapporto del ministero della Diaspora israeliano, discusso dal governo, secondo cui “la Francia è oggi la nazione più pericolosa per gli ebrei”. Fra i capi della comunità ebraica francese che lasciano per Israele c’è anche Sammy Ghozlan, il fondatore del Bureau National de Vigilance contre l’Antisémitisme di Parigi. Il modello che Israele vuole prendere come esempio è quello usato per gli ebrei etiopi, i cosiddetti falasha, e l’“Operazione Mosè”. Nel 1991 due Hercules C-130 e due Boeing 707 israeliani fecero la spola con l’aeroporto di Addis Abeba, e ogni volta ripartivano con alcune centinaia di profughi. L’operazione avvenne nel modo più discreto possibile, in una zona appartata dello scalo aereo. L’intera superstite comunità di ebrei etiopi, 33 mila persone, venne trasferita nel giro di trentasei ore. La differenza con la Francia è che le partenze avverrebbero alla luce del sole. Benefici fiscali, mutui bassi per l’acquisto di case, posti di lavoro adeguati, scuole capaci di accogliere i figli e località dove il loro inserimento risulterebbe più facile sono alcune delle misure che Israele sta per adottare per far fronte all’emergenza antisemitismo in Francia e all’alyah dall’Europa occidentale. L’immigrazione dalla Francia non è povera come quella dall’Etiopia, sono comunità colte ed emancipate, che potrebbero scegliere di abbandonare Parigi per andare nel Québec, negli Stati Uniti o in Sudamerica. Israele si prepara così ad accoglierli. Secondo la storica Esther Schely- Newman, gli ebrei francesi sono discendenti da quelli tunisini, marocchini e algerini fuggiti negli anni Cinquanta dal Nordafrica e non si sono mai sentiti davvero parte della Francia. Hanno sempre concepito Parigi come una tappa per Israele. E gli ebrei francesi, con la loro esperienza nella finanza e nel biotech, potrebbero avere su Israele lo stesso effetto rivoluzionario che gli ugonotti fuggiti dalla Francia ebbero su Stati Uniti e Canada nel XVII secolo. Oggi ebrei francesi dominano già l’economia israeliana, come le telecomunicazioni con Michael Golan, la finanza con Julien Assous e le start-up con Jeremie Berrebi. Dov Maimon, uno dei ricercatori che ha redatto il rapporto governativo, si aspetta l’arrivo di 250 mila ebrei dalla Francia in dieci anni. Equivarrebbe alla metà della popolazione ebraica francese. Gran parte degli ebrei francesi ha scelto la città di Netanya come sua nuova patria. Sul sito internet del municipio è presentata come “la riviera israeliana”. Non che Netanya non abbia conosciuto terrorismo, anzi. Nel 2002 fu teatro del peggior attentato suicida, con trenta morti nella hall di un albergo. Ma, dicono gli ebrei francesi, almeno in Israele possiamo lottare per non essere sbranati.
LA REPUBBLICA - Andrea Tarquini: "Germania, sondaggio schock: l'81% vuole dimenticare la Shoah"
Ricorre oggi la Giornata della Memoria, anniversario della liberazione di Auschwitz da parte dell'Armata rossa. Ultimo incontro del ricordo per i sopravvissuti: ovvio, gli resta pochissimo da vivere alla loro età. Ma i tedeschi quanto vogliono ricordare il loro crimine contro l'umanità che Karol Wojtyla definì "il male assoluto"? Sempre meno: 81 su cento desiderano lasciarsi la Memoria alle spalle. Lo rivela un sondaggio della Fondazione Bertelsmann. E ben 58 su cento sperano che di Shoah non si parli più, che la Nazione riunificata 25 anni fa grazie alla rivoluzione polacca, al riarmo americano, a Gorbaciov, dimentichi con un "Schlussstrich", tratto di penna da maestro che cancella gli errori.
Dati allarmanti, cui ieri l'autorevole Sueddeutsche Zeitung e poche ore prima il quotidiano conservatore Bild dedicavano grandi titoli in prima pagina. I dati coincidono con un presente in cui i nuovi nazionalisti xenofobi di Pegida riempiono le piazze, soprattutto all'est, il nuovo partito euro-scettico Alternative fuer Deutschland è realtà stabile. Già dal 1949, l'anno in cui il primo cancelliere liberamente eletto, il democristiano Konrad Adenauer, e il capo dell'opposizione Spd Kurt Schumacher, fondarono la Repubblica federale col Grundgesetz, la costituzione pacifista scritta su consiglio britannico, i liberali (Fdp ) rifugio di alcuni ex nazisti, chiesero "uno stop alla denazificazione".
Si salvano i giovani: tra loro cresce dal 20 al 38 per cento la percentuale secondo cui la Shoah è rilevante per il presente. Ma i tedeschi con un'opinione positiva dello Stato d' Israele sono appena il 36 per cento. Dopo il duplice schiaffo di scelte della Bce e voto greco, si risveglia la certezza da differenza genetica, fin da Fichte, Kant, Hegel e Weber, d'essere migliori del resto del mondo. Das deutsche Wesen soll die Welt genesen, lo spirito tedesco deve guarire il mondo, si pensava qui alla vigilia della prima guerra mondiale.
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