Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 15/01/2015, a pag. 22-23, con il titolo "Michel Houellebecq: 'Francia, il tuo destino è la sottomissione al potere dell'islam'", una anticipazione del romanzo di Michel Houellebecq "Sottomissione" (Bompiani), che esce oggi in tutte le librerie italiane.
Potete leggerne una recensione alla pagina http://www.informazionecorretta.com/main.php?sez=300&cat=rubrica
Ecco l'anticipazione del romanzo:
Michel Houellebecq
Mi piacevano da sempre le serate delle elezioni presidenziali; credo addirittura che, con l’eccezione delle finali di coppa del mondo di calcio, fossero il mio programma televisivo preferito. Chiaramente la suspense era meno intensa, le elezioni obbedendo al singolare meccanismo narrativo di una storia il cui sviluppo è noto sin dal primo minuto; ma l’estrema diversità degli ospiti (i politologi, gli editorialisti politici “di primo piano”, le masse di militanti in festa o in lacrime nelle rispettive sedi di partito, e infine gli uomini politici, le loro dichiarazioni a caldo, ponderate o commosse) e l’eccitazione generale dei partecipanti davano davvero l’impressione così rara, così preziosa, così telegenica, di vivere un momento storico in diretta. [...] Appena David Pujadas prese la linea alle 19.50, capii che la serata elettorale si annunciava come un grandissimo evento, e che stavo per vivere un momento di televisione eccezionale. [...] «È un terremoto», annunciò mentre comparivano i primi dati. Il Fronte nazionale era ampiamente in testa, con il 34,1 per cento dei suffragi; era abbastanza normale, era quello che tutti i sondaggi annunciavano da mesi, la candidata dell’estrema destra aveva solo fatto qualche leggero progresso nelle ultime settimane della campagna. Ma, dietro di lei, il candidato del Partito socialista, con il 21,8 per cento, e quello della Fratellanza musulmana, con il 21,7 per cento, erano gomito a gomito, separati da così pochi voti che la situazione poteva ribaltarsi, anzi, si sarebbe probabilmente ribaltata a più riprese nel corso della serata, con l’arrivo dei risultati delle sezioni elettorali delle grandi città e di Parigi. Con il 12,1 per cento dei voti, il candidato di destra era definitivamente fuori combattimento. [...]
LA FUGA DEGLI EBREI
Lei terminò la sua coppa di champagne, sospirò, riempì di nuovo la coppa e disse: «I miei genitori hanno deciso di lasciare la Francia». Rimasi senza parole. Svuotò di nuovo la coppa, se ne servì una terza e proseguì. «Vogliono emigrare in Israele. Mercoledì prossimo prendiamo l’aereo per Tel Aviv. Non vogliono neanche aspettare il secondo turno delle presidenziali. La cosa più pazzesca è che hanno organizzato tutto alle nostre spalle, senza dirci niente: hanno aperto un conto in banca in Israele, si sono organizzati per affittare un appartamento a distanza; mio padre ha incassato la liquidazione, hanno messo in vendita la casa, tutto senza mai parlarne con noi. [...]Ho discusso una notte intera con loro, senza riuscire a scalfire la loro determinazione, sono convinti che in Francia succederà qualcosa di grave per gli ebrei, è strano come questa cosa gli venga in mente adesso, a cinquant’anni passati, gli ho detto che è una cazzata assoluta, che ormai è da un pezzo che il Fronte nazionale non ha più niente di antisemita!...».
«Non da così tanto tempo, in realtà. Tu sei troppo giovane per ricordarlo, ma il padre, Jean-Marie Le Pen, era ancora legato alla vecchia tradizione dell’estrema destra francese. [...] Per la figlia, ovviamente, è roba che non ha più alcun senso. Detto questo, anche se a passare fosse il musulmano, non credo che tu abbia molto da temere. Comunque è alleato con il Partito socialista, non può fare quello che gli pare».
«Su questo...» Myriam scosse la testa, dubbiosa, «su questo sono meno ottimista di te. Quando un partito musulmano arriva al potere, non è mai positivo per gli ebrei. Non mi pare che ci siano esempi contrari... [...] Ma cosa ci vado a fare in Israele? Non parlo neanche una parola di ebraico. Il mio paese è la Francia». La sua voce si alterò leggermente, sentii che stava per piangere. «Io amo la Francia!... » disse con voce sempre più strozzata, «io amo, non so... io amo il formaggio!» [...]
IL LEADER MUSULMANO
Pienotto e vispo, spesso malizioso nelle risposte ai giornalisti, il candidato musulmano faceva dimenticare di essere stato uno dei più giovani diplomati di Francia prima di entrare all’Ena, nel corso di laurea di Nelson Mandela — lo stesso di Laurent Wauquiez. Ricordava piuttosto un simpatico droghiere tunisino di quartiere — quello che d’altronde era stato suo padre, anche se la sua drogheria era a Neuilly-sur-Seine e non nel XVIII Arrondissement, e tantomeno a Bezons o ad Argenteuil. Più di chiunque altro, rammentò, egli aveva beneficiato della meritocrazia repubblicana; meno di chiunque altro desiderava mettere a repentaglio un sistema al quale doveva tutto, fino all’onore supremo di potersi presentare al suffragio del popolo francese. [...] Ma non si poteva negare, proseguì, che i tempi erano cambiati. Sempre più spesso, le famiglie — che fossero ebree, cristiane o musulmane — desideravano per i propri figli un’educazione che non si limitasse alla trasmissione delle conoscenze, e che piuttosto integrasse una formazione spirituale corrispondente alla loro tradizione. Questo ritorno della religione era una tendenza profonda, che attraversava le nostre società, e il ministero della pubblica istruzione non poteva non tenerne conto.
[...] Avevo notato da tempo che i giornalisti più tignosi e aggressivi erano come ipnotizzati e rammolliti in presenza di Mohammed Ben Abbes. Eppure mi sembrava che ci fossero alcune domande imbarazzanti che si sarebbe potuto fargli: per esempio la soppressione delle classi miste; o il fatto che gli insegnanti dovessero abbracciare la fede musulmana. Ma, in fondo, non era già così con i cattolici? Per insegnare in una scuola cristiana bisognava essere battezzati? Riflettendoci, realizzavo che non ne sapevo niente, e nel momento in cui terminava la conferenza stampa mi resi conto che ero arrivato esattamente lì dove il candidato musulmano voleva portarmi: a una specie di dubbio generalizzato, alla sensazione che non ci fosse alcun motivo per allarmarsi, e neanche nulla di veramente nuovo. [...]
LA BATTAGLIA DELLE IDEE
In Francia i cattolici erano praticamente scomparsi, ma sembravano ancora ammantati di una specie di magistero morale, in ogni caso Ben Abbes aveva fatto di tutto, sin dall’inizio, per ingraziarseli: nel corso dell’anno precedente era andato almeno tre volte in Vaticano. Dotato di un’aura terzomondista già solo per le sue origini, era tuttavia riuscito a rassicurare l’elettorato conservatore. Contrariamente al suo vecchio rivale Tariq Ramadan, fregato dalle simpatie trockiste, Ben Abbes era sempre riuscito a evitare di compromettersi con la sinistra anticapitalista; la destra liberale aveva vinto la “battaglia delle idee”, lui l’aveva capito perfettamente, i giovani erano diventati imprenditoriali, e la caratteristica ineludibile dell’economia di mercato era ormai riconosciuta unanimemente. Ma, soprattutto, il vero colpo di genio del leader musulmano era stato capire che le elezioni si sarebbero giocate non sul terreno dell’economia bensì su quello dei valori; e che anche lì la destra si apprestava a vincere la “battaglia delle idee”, senza peraltro doverla nemmeno combattere. Mentre Ramadan presentava la sharia come un’opzione innovatrice, per non dire rivoluzionaria, lui le restituiva il suo valore rassicurante, tradizionale — con un profumo di esotismo che la rendeva ancor più desiderabile.
Quanto alla restaurazione della famiglia, della morale tradizionale e, implicitamente, del patriarcato, davanti a lui si apriva un’autostrada che né i rappresentanti della destra né tantomeno quelli del Fronte nazionale potevano percorrere senza farsi dare dei conservatori o addirittura dei fascisti dagli ultimi sessantottini, mummie progressiste moribonde, sociologicamente esangui ma rifugiate nelle cittadelle mediatiche che continuavano a dar loro la possibilità di inveire contro i guasti dell’epoca e l’aria mefitica che pervadeva il paese; solo Ben Abbes era al riparo da qualsiasi pericolo. Paralizzata dal suo antirazzismo costitutivo, la sinistra era stata sin dall’inizio incapace di combatterlo e anche solo di menzionarlo. [...]
IL CAMBIAMENTO
In pratica, l’unico segno di trasformazione visibile che scoprii fu la scomparsa del reparto kosher del Géant Casino; ma la grande distribuzione si era sempre contraddistinta per il suo opportunismo. La cosa era un po’ diversa nel centro commerciale Italie 2. Come prevedevo, il negozio Jennyfer era scomparso, sostituito da una specie di bio-boutique provenzale che proponeva oli essenziali, shampoo all’olio d’oliva e miele agli aromi della gariga. [...] L’abbigliamento femminile si era trasformato, lo avvertii subito senza riuscire ad analizzare questa trasformazione; la quantità di veli islamici era a malapena aumentata, non era questo, mi ci volle quasi un’ora di passeggiata per capire, di colpo, cos’era cambiato: le donne erano tutte in pantaloni. [...] Si era diffuso anche un nuovo indumento, una specie di blusa di cotone, lunga fino a metà coscia, che toglieva qualsiasi interesse obiettivo ai pantaloni aderenti che una donna potesse eventualmente indossare; quanto agli short, ovviamente erano fuori discussione.
UNA NUOVA POLITICA
Quel breve slancio di speranza si manifestò in un momento in cui, più in generale, la Francia ritrovava un ottimismo che non ricordava dalla fine dei Trente Glorieuses, mezzo secolo prima. I primi passi del governo di unione nazionale voluto da Mohammed Ben Abbes erano unanimemente salutati come un successo, finora nessun presidente della repubblica neoeletto aveva mai beneficiato di un simile “stato di grazia”, cosa su cui concordavano tutti i commentatori. [...] La conseguenza più immediata della sua elezione era stata il calo della delinquenza, un calo di proporzioni enormi: nei quartieri più difficili, si era ridotta addirittura a un decimo. Un altro successo immediato era la disoccupazione, i cui dati erano in caduta libera. Era senz’altro dovuto all’uscita in massa delle donne dal mercato del lavoro — a sua volta legata alla notevole rivalutazione dei sussidi familiari, primo provvedimento adottato, emblematicamente, dal nuovo governo.
[...]La brutale implosione del sistema di opposizione binario centrosinistra/centrodestra, che strutturava da tempo immemore la vita politica francese, aveva inizialmente sprofondato l’insieme dei media in uno stato di stupore al limite dell’afasia. [...] A poco a poco, tuttavia, col passare delle settimane cominciò a formarsi qualche nucleo d’opposizione. Inizialmente, nel campo dei laici di sinistra. Su impulso di personalità improbabili come Jean-Luc Mélenchon e Michel Onfray, si organizzarono riunioni di protesta; il Fronte di sinistra continuava a esistere, quantomeno sulla carta, e si poteva già prevedere che Mohammed Ben Abbes avrebbe avuto uno sfidante presentabile nel 2027 — escludendo, ovviamente, la candidata del Fronte nazionale. [...] Andavano così creandosi, gradualmente, gli elementi di un dibattito politico. Sarebbe stato un dibattito politico di tipo nuovo, molto diverso da quelli visti in Francia negli ultimi decenni, molto più simile a quello esistente nella maggior parte dei paesi arabi; ma sarebbe stato, comunque, una specie di dibattito. E l’esistenza di un dibattito politico sia pur posticcio è necessaria al funzionamento armonioso dei media, forse persino all’esistenza in seno alla popolazione di un senso quantomeno formale di democrazia. [...]
LA RESA
In partenza, Histoire d’O aveva tutto per non piacermi: le fantasie esposte mi disgustavano, e l’insieme era di un kitsch ostentato — l’appartamento sull’Île Saint-Louis, la casa privata nel Faubourg Saint-Germain, Sir Stephen, insomma una rottura di palle assoluta. Tuttavia il libro era percorso da una passione, da un afflato che trascinava.
«È la sottomissione» disse piano Rediger. «L’idea sconvolgente e semplice, mai espressa con tanta forza prima di allora, che il culmine della felicità umana consista nella sottomissione più assoluta. È un concetto che esiterei a esporre davanti ai miei correligionari, potrebbero giudicarlo blasfemo, ma per me c’è un rapporto tra la sottomissione della donna all’uomo come la descrive Histoire d’O e la sottomissione dell’uomo a Dio come la contempla l’islam. Vede», proseguì, «l’islam accetta il mondo, e lo accetta nella sua integrità, accetta il mondo così com’è, per dirla con Nietzsche. Per il buddhismo il mondo è dukkha — inadeguatezza, sofferenza. Il cristianesimo stesso manifesta serie riserve — Satana non viene definito “principe di questo mondo”? Per l’islam, invece, la creazione divina è perfetta, è un capolavoro assoluto. Cos’è in fondo il Corano, se non un immenso poema mistico di lode? Di lode al Creatore e di sottomissione alle sue leggi». Traduzione di Vincenzo Vega © Bompiani 2-015 Nella foto grande una giovane donna di fede islamica alla manifestazione di domenica scorsa a Parigi
Paralizzata dal suo antirazzismo
costitutivo, fra mummie progressiste moribonde e sociologicamente esangui, ma rifugiate in cittadelle mediatiche, la sinistra era stata incapace di combatterlo
Mi resi conto che ero arrivato esattamente lì dove lui voleva portarmi: a una specie di dubbio generalizzato e alla sensazione che non ci fossero cose nuove o motivi per allarmarsi
IL LIBRO
Sottomissione di Michel Houellebecq (Bompiani traduzione di V. Vega pagg. 252 euro 17,50)
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