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La Repubblica Rassegna Stampa
14.01.2015 Se la maggioranza dei musulmani rifiuta il terrorismo, perché tace?
Analisi di David Grossman

Testata: La Repubblica
Data: 14 gennaio 2015
Pagina: 19
Autore: David Grossman
Titolo: «Vivere in Europa ai tempi della paura: così il terrorismo distrugge la società»

Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 14/01/2015, a pag. 19, con il titolo "Vivere in Europa ai tempi della paura: così il terrorismo distrugge la società", l'analisi di David Grossman.


"La nostra è una religione pacifica - e uccideremo chiunque non sia d'accordo!"

Parte di quello che scrive Grossman è pienamente condivisibile, ma nella sua argomentazione c'è una giuntura che non tiene.
Grossman scrive: Oggi il mondo dovrebbe sentire forte e chiara la voce dei musulmani moderati, razionali e aperti al dialogo. Dovrebbero essere loro a urlare adesso e a ricordare a tutti noi che questa non è una guerra tra l'Islam e il Cristianesimo (o l'Ebraismo), ma tra fanatici estremisti e chi crede che la tolleranza non è solo un'espressione vuota ma l'unico modo per garantire la vita nella moderna realtà multi-culturale, multi-razziale e multi-religiosa.
Quello che però lo scrittore israeliano manca di dire è come mai ciò che è da lui auspicato non avviene. Perché la grande maggioranza dei musulmani, che naturalmente non è composta da terroristi, non si dissocia pubblicamente dal terrorismo islamico? Che ci sia qualcosa che non va nello stesso islam ?

Ecco l'articolo:


David Grossman

I cittadini europei stanno cominciando a capire quali potrebbero essere gli effetti del terrorismo islamico. Forse non tutti hanno il coraggio di ammetterlo, e presumibilmente le manifestazioni di massa ( impressionanti di per sé ) infondono in loro un senso di sicurezza, ma nel cuore degli europei comincia a delinearsi la nuova realtà creata dai terroristi.

Non sto parlando dei controlli infiniti alle entrate dei cinema, dei ristoranti, degli stadi o degli aeroporti, degli enormi ingorghi ogni qualvolta si scoprirà un pacco sospetto, di tutti i fastidi e le seccature che potrebbero turbare la vita quotidiana. Sto parlando delle deformazioni che un'esistenza sotto la minaccia del terrorismo produce nell'individuo e nella società: la necessità di essere costantemente allerta, di mostrarsi sospettosi, di scrutare ogni fotogramma di una tranquilla routine come se avesse un doppio fondo. Sto parlando della paura del noto e dell'ignoto, della consapevolezza di non essere in grado di proteggere i tuoi cari dalla cieca arbitrarietà del terrorismo, dell'apatica rassegnazione alle misure di sicurezza che si fanno più minuziose e più scrupolose dopo ogni attacco, dell' abitudine a catalogare, rapidamente e automaticamente, chiunque incroci per strada o si venga a trovare entro il tuo spazio fisico, a valutare istantaneamente il suo livello di pericolosità in base al colore della pelle, all'abbigliamento, all'accento. Sto parlando di come sarà difficile opporsi a un pensiero razzista quando si vive in un clima di terrore.

E se si appartiene a uno dei gruppi etnici "sospetti" si sperimenterà sulla propria pelle in maniera ancora più pesante e umiliante l'offesa di essere "sospetti a priori e a posteriori". Il vero potere distruttivo del terrorismo sta infatti nel portarci a scoprire il male che esiste in noi esseri umani. La grettezza, la barbarie, il caos. E questo è vero sia per i singoli individui che per l'intera società. Il terrorismo — certamente quello degli assassini di Parigi — non vuole intavolare un dialogo ma sgretolare la società contro la quale opera. Mira a dissolvere i legami e le convenzioni che tengono uniti gli esseri umani a dispetto delle loro differenze e delle loro controversie, a disgregare rapporti creati e consolidati con grande fatica e non sempre con successo tra persone appartenenti a gruppi diversi, ad abolire le aperture del mondo illuminato all'uguaglianza, alla dignità umana, al riconoscimento della libertà di espressione e alla democrazia, che sono fra le maggiori conquiste dell'umanità.

Il terrorismo tenta di colpire gli esseri umani nei punti in cui — dopo secoli di guerre violente e brutali e un lento processo di maturazione sociale e politica —questi ultimi sono riusciti a superare le pulsioni primarie, la barbarie, la brutalità. E così facendo ferisce tutte le componenti della società e anche gli appartenenti moderati dell'Islam.

Oggi il mondo dovrebbe sentire forte e chiara la voce dei musulmani moderati, razionali e aperti al dialogo. Loro, più di chiunque altro, potrebbero restituire all'Europa traumatizzata l'equilibrio perduto. Dovrebbero essere loro a urlare adesso e a ricordare a tutti noi che questa non è una guerra tra l'Islam e il Cristianesimo (o l'Ebraismo), ma tra fanatici estremisti e chi crede che la tolleranza non è solo un'espressione vuota ma l'unico modo per garantire la vita nella moderna realtà multi-culturale, multi-razziale e multi-religiosa. E l'obbligo dei paesi nel mirino del terrorismo islamico (e quale paese occidentale oggi non lo è?) dovrebbe essere innanzi tutto quello di proteggere le categorie maggiormente a rischio, siano essi i giornalisti e gli intellettuali che combattono in prima linea per la libertà di espressione o le minoranze ebraiche.

L'attuale angoscia esistenziale degli ebrei europei ha un terribile significato storico. È vero, le circostanze odierne sono molto diverse da quelle di 75 anni fa e vi è molta più consapevolezza e sensibilità verso la situazione degli ebrei. Eppure ogni persona di buon senso dovrebbe chiedersi se è tollerabile che la polizia debba proteggere gli ebrei europei che si recano nelle sinagoghe, nelle scuole o negli asili e che cosa potrebbe fare per cambiare questo stato di cose. (Traduzione di Alessandra Shomroni)

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