Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 12/01/2015, a pag. 6, con il titolo "Fra gli ebrei di Montrouge: 'Voleva ammazzarci tutti' ", la cronaca di Leonardo Martinelli; dal CORRIERE della SERA, a pag. 9, con il titolo "Netanyahu parla di esodo: Israele è la vostra casa'. Ma è gelo con Hollande", la cronaca di Davide Frattini.
Benjamin Netanyahu e François Hollande ieri insieme a Parigi
Ecco gli articoli:
LA STAMPA - Leonardo Martinelli: "Fra gli ebrei di Montrouge: 'Voleva ammazzarci tutti' "
L'Hypercacher in cui è avvenuto il massacro di venerdì da parte di un terrorista islamico
La mattina il traffico è intenso su rue Gabriel Péri, a Montrouge, periferia sud di Parigi. Al numero 90, dove si apre la porta della sinagoga, un palazzo dall’architettura contemporanea un po’ improbabile, che non sembra neanche un edificio religioso, ogni mattina un poliziotto aiuta i bambini ad attraversare la strada. Il rabbino Jacob Mergui ha voluto aprire da poco una scuola materna. Quella elementare esiste già da tempo. Giovedì scorso qui era di turno Clarissa Jean-Philippe, 26 anni, francese della Martinica, da pochi mesi «poliziotta-stagista», alla fine del suo cursus formativo, neanche assunta. Fatta fuori con una scarica di kalashnikov da Amedy Coulibaly, il fanatico islamista morto il giorno dopo durante l’assalto al negozio kosher di Porte di Vincennes. Un eroe inconsapevole la povera Clarissa. «Senza saperlo ha impedito la morte di decine di bambini. Pace all’anima sua», scrive «Jss News».
La vittima nel parco
Quel giovedì mattina Coulibaly voleva fare una strage all’entrata della scuola ebraica di Montrouge, sulle orme di Mohammed Merah, che il 19 marzo 2012, alle otto di mattina, si era presentato all’entrata del liceo ebraico Ozar Hatorah, alle porte di Tolosa, e aveva lasciato tre bambini morti di 3, 6 e 8 anni sul marciapiede davanti alla scuola. Coulibaly, giovedì scorso, era arrivato in rue Gabriel Péri alla stessa ora, intorno alle 8, con la stessa volontà assassina. Identica a quella che aveva scaricato - pare – il giorno prima in un parco parigino su un podista trovato morto. Ieri la polizia ha fatto sapere che i proiettili usati sono compatibili con quelli che hanno ucciso la poliziotta. Nessuna prova definitiva, ma la polizia segue anche questa pista per tracciare i movimenti di quest’uomo che in un video - diffuso ieri - rivendica l’appartenenza all’Isis e la paternità dei gesti folli. Inoltre, dice, i soldi ai fratelli Kouachi per acquistare le armi usate a Charlie Hebdo li avrebbe dati lui.
Il flop per caso alla scuola
Comunque a Montrouge, giovedì mattina, qualcosa era andato storto. Voleva parcheggiare e Clarissa lo aveva interpellato: un alterco con lei e lui aveva subito scaricato il kalashnikov. Poi aveva perso la testa: era scappato in auto. È stato Elie O., ebreo di origini marocchine, ostaggio di Coulibaly il venerdì sera, nel negozio kosher, a riferire che Coulibaly diceva che «il giorno prima avrebbe voluto sparare sui bambini della scuola ebraica, per vendicare quelli palestinesi a Gaza».
«Era venuto per noi»
Giovedì mattina la polizia francese non aveva messo in relazione la sparatoria con un possibile attacco alla sinagoga e alla sua scuola. O meglio: non ne aveva parlato esplicitamente. «Era chiaro fin dagli inizi che era venuto per noi», dice Caroline Murciano, padrona di una sala da thé, «Le boudoir», di fronte alla sinagoga. Questa venne inaugurata nel 1988, ma su un luogo storicamente importante per gli ebrei di Parigi. Proprio qui, a partire dal 1785, venivano tumulati, in un piccolo cimitero allora di campagna, i morti della comunità degli aschenaziti: almeno fino al 1812, quando venne creato all’interno del Père Lachaise, lo storico cimitero parigino intra-muros, uno spazio per i defunti ebrei. Oggi la sinagoga di Montrouge è un vero centro comunitario e intorno, in questa periferia tranquilla, da ceto medio, «è sorta una comunità, che invia i propri figli alla scuola», sottolinea il proprietario di un ristorantino a breve distanza dalla sinagoga, il «Little piazza». È rassicurato dalla presenza anche ora, nella tarda domenica, dei poliziotti francesi, con i mitra spianati. Il rabbino Mergui è più amaro: «Quelli tra di noi che esitavano a lasciare la Francia, ora hanno deciso. Quelli che non ci pensavano proprio, cominciano ormai a rifletterci».
CORRIERE della SERA - Davide Frattini: "Netanyahu parla di esodo: Israele è la vostra casa'. Ma è gelo con Hollande"
Davide Frattini
Trent’anni fa un soldato tunisino irrompe nel cortile della sinagoga a Djerba, spara con il fucile che gli ha dato l’esercito, uccide cinque persone, tra loro una diciassettenne. Venerdì Amedy Coulibaly irrompe nel supermercato di prodotti ebraici alla periferia di Parigi, ammazza quattro clienti, tra loro il figlio della sorella di quella ragazzina. La stessa tragedia, due Paesi diversi. Eppure il fratello di Yoav Hattab, che è stato freddato mentre cercava di disarmare il terrorista, commenta: «La Tunisia è più sicura della Francia». A lui non bastano le rassicurazioni del presidente François Hollande che visita la Grande Sinagoga rimasta chiusa per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale e prima della marcia per le strade della capitale incontra i leader della comunità. Assicura che la protezione davanti alle scuole e ai templi verrà rafforzata, «se necessario schiereremo l’esercito». È quello che chiede Roger Cukierman, presidente dell’organizzazione che riunisce le istituzioni ebraiche: «Vogliamo tornare a recitare i salmi, ad acquistare cibo nei nostri negozi. Non vogliamo nasconderci, non vogliamo andarcene». L’orgoglio di essere francesi, la Marsigliese intonata dalla folla davanti alle vetrine oscurate del supermercato sono una risposta all’appello di Benjamin Netanyahu. Che è volato a Parigi per partecipare alla manifestazione e ha invitato gli ebrei francesi a emigrare: «Ricordatevi che Israele non è soltanto il luogo dove tornate per pregare, è la vostra casa». Ha anche annunciato di aver organizzato un comitato che aiuti e favorisca il trasferimento. Quando nel 2004 Ariel Sharon da primo ministro aveva lanciato un appello simile a «fuggire dall’antisemitismo selvaggio», l’allora presidente francese Jacques Chirac aveva chiesto spiegazioni e dichiarato una sua visita ufficiale «non gradita». Le quattro vittime della strage a Porte de Vincennes saranno seppellite domani a Gerusalemme sul Monte degli ulivi, funerali di Stato come per i caduti israeliani del terrorismo. Netanyahu considera i giovani estremisti di Parigi e i miliziani palestinesi di Hamas soldati di uno stesso esercito globale: «Sono rami dello stesso albero velenoso». Avigdor Liberman, il suo ministro degli Esteri, avverte «gli attacchi contro i Paesi europei aumenteranno, è l’ondata di ritorno di chi è andato a combattere in Siria con lo Stato islamico». Anche Moshe Yaalon, il ministro della Difesa, raccomanda di cercare rifugio in Israele: «Gli ebrei sono sotto attacco, è il posto più sicuro». «L’unico posto», lo definisce Yair Lapid, ex ministro delle Finanze in corsa alle elezioni di marzo. In Francia vive la più grande comunità d’Europa, oltre 550 mila persone. L’aumento degli attacchi antisemiti ha spinto molti a trasferirsi in Israele, 7 mila nel 2014, il doppio rispetto all’anno precedente. Delle sette vittime di Mohammed Merah nel 2012 quattro sono state ammazzate in una scuola ebraica. Pochi mesi fa a Créteil una coppia è stata assalita dentro l’appartamento, la donna violentata: «Voi ebrei avete i soldi», hanno detto i tre uomini armati mentre arraffavano i contanti e le carte di credito. La parola in ebraico per definire l’emigrazione in Israele è aliyah: ascesa. Chi lascia il Paese commette invece yerida, discende. La comunità che vive all’estero respinge le parole di Netanyahu: «Il governo israeliano deve smetterla con il riflesso pavloviano di incoraggiare gli ebrei a fuggire dopo ogni attacco antisemita. Nessuno invita gli abitanti dei villaggi attorno alla Striscia di Gaza a scappare appena esplode un razzo lanciato da Hamas», commenta il rabbino Menachem Margolin, che guida l’Associazione delle organizzazioni ebraiche europee. «I politici a Gerusalemme devono accettare che non stiamo per emigrare in massa e riconoscere l’importanza del nostro ruolo, del sostegno che possiamo dare anche da fuori». Allison Kaplan Sommer scrive in un editoriale pubblicato dal quotidiano israeliano Haaretz : «Netanyahu deve capire che questi appelli indeboliscono le comunità politicamente, riducono le possibilità di premere perché i governi europei garantiscano maggiore sicurezza». Il primo ministro Manuel Valls replica: «Il posto degli ebrei di Francia è la Francia». In un’intervista a Jeffrey Goldberg per la rivista americana Atlantic prima degli attentati della settimana scorsa, il premier nato a Barcellona spiega: «La Rivoluzione francese decise nel 1789 di riconoscere agli ebrei la piena cittadinanza. Per capire che cosa significhi l’idea di Repubblica è necessario capire il ruolo centrale rappresentato dalla loro emancipazione. Se 100 mila francesi di origine spagnola se ne andassero, non direi che il Paese è cambiato. Ma se 100 mila ebrei francesi emigrassero, la Francia non sarebbe più la Francia».
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