Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 12/01/2015, a pag. 35, con il titolo "Molly Norris l'invisibile vittima dell'intolleranza", il commento di Pierluigi Battista; dalla STAMPA, a pag. 6, con il titolo "Le guerriere per l'Islam 'ammaliate' dal Califfo", la cronaca di Francesca Paci; a pag. 7, con il titolo "La marcia dei giovani musulmani: 'Chi spara non ci rappresenta' ", la cronaca di Franco Giubilei.
Donne e islam
Ecco gli articoli:
CORRIERE della SERA - Pierluigi Battista: "Molly Norris l'invisibile vittima dell'intolleranza"
Pierluigi Battista Molly Norris
Non ci sono cartelli con su scritto «Je suis Molly Norris» perché molti non conoscono la storia che sta perseguitando una vittima del fanatismo islamista e quei pochi che la conoscono preferiscono rimuoverla e tacitarla. Molly Norris è una vignettista del Seattle Weekly . Quando i fondamentalisti scatenarono una campagna contro il cartone animato «South Park», colpevole di aver raffigurato con (blanda) ironia il Profeta, per solidarietà la Norris decise di disegnare una vignetta irriverente nei confronti dell’Islam: nulla di particolarmente offensivo, ma si sa che i criteri con cui bollare di «blasfemia» un articolo o una vignetta rispondono a logiche del tutto arbitrarie. Fatto sta che un imam americano di origine yemenita, Anwar al Awlaki, emette una fatwa contro la Morris. La disegnatrice comincia a ricevere minacce continue, sempre più proterve, sempre più cruente. Fino a che su un numero del settimanale nel 2010 non compare una scritta laconica ma terribile: «Molly Norris non c’è più». Non è una battuta, è la realtà. Da quel momento non usciranno più vignette della disegnatrice. Come ha scritto Mattia Ferraresi sul Foglio , la Morris «è finita in un programma di protezione, le hanno dato un nuovo nome, un nuovo lavoro, s’è rifatta una vita chissà dove per sfuggire alla fatwa». Di lei non si hanno più notizie. La morte civile è il prezzo da pagare per non subire la morte fisica. Sparita. Anche lei entrata a far parte di quell’«internazionale degli invisibili» che sono stati costretti al silenzio dallo jihadismo senza che nessuno volesse accorgersene. Gli invisibili che, se non sono stati sgozzati, pugnalati, feriti, oggi non scrivono più, non disegnano più, in Olanda e in Danimarca, in Francia e anche negli Stati Uniti. Ora, dopo la carneficina di Parigi, siamo costretti a capire che uno dei precetti fondamentali del fanatismo islamista è di considerare nemico da annientare, un «blasfemo», chiunque non si adegua ai dettami dell’autocensura oppure non vuole cedere alle intimazioni di chi ha sempre scambiato la libertà d’espressione sull’Islam con una «provocazione», un fomentare la «guerra di religione», una scelta che avrebbe provocato, come è stato detto, giustificate «reazioni violente». Intanto si potrebbe riconsiderare la storia triste e tragica di Molly Norris e cominciare a chiederle scusa per l’indifferenza con cui tutti noi abbiamo vissuto la sua persecuzione. @jesuismollynorris . O no?
LA STAMPA - Francesca Paci: "Le guerriere per l'Islam 'ammaliate' dal Califfo"
Francesca Paci
Quando nel 2006 la musulmana riformista Amina Wadud pubblicò «Inside the Gender Jihad» (dentro il jihad di genere) non aveva in mente esattamente Hayat Boumeddiene o la 27enne Maria Giulia Sergio ribattezzatasi Fatima per poi lasciare l’hinterland milanese e trasferirsi in Siria. La Wadud, prima islamica a guidare la preghiera del venerdì in una moschea di New York, invoca da anni l’inclusione delle donne nel credo coranico.
Il paradosso
Paradosso beffardo, la sua sfida rischia di essere scavalcata oggi dai fondamentalisti che strategicamente arruolano volontarie della guerra santa per dare scacco matto al femminismo occidentale e non. Le cronache dettagliano le scelte estreme della moglie di Coulibaly, i Bonnie & Clyde del neo islamismo francese, e di Fatima, unica italiana nota tra i ranghi del Califfato che nel 2010 auspicava su Facebook «la vittoria sui miscredenti» e un paio d’anni dopo chiedeva come fare «il niqab da sposa» in vista del secondo matrimonio con un albanese (aveva rotto col primo marito marocchino: troppo moderato). Ma non sono solo loro. Mentre il mondo si stringe alla Francia, gli integralisti nigeriani di Boko Haram fanno strage usando i corpi-bomba di 3 bambine (altre 2 ieri a Yobe) e la polizia austriaca arresta due ragazze minorenni pronte a partire verso lo Stato Islamico. Forzate o intimamente convinte, le ladies jihad sono sotto i riflettori. E non perché, come nota Katherine Brown del King’s College il fenomeno sia nuovo: ci sono state guerriere senza scrupoli in Irlanda del Nord, in Sri Lanka e anche gruppi come Hezbollah, che un tempo obiettavano divieti religiosi, hanno poi permesso alle donne d’immolarsi. Secondo la Brown tra l’81 e il 2007 il 26% degli attacchi kamikaze ha avuto firma femminile. Ma le almeno 200 europee che si stima affianchino il Califfato colpiscono l’immaginario perché non sono cresciute nel conflitto ma lo vanno «romanticamente» a cercare.
I siti d’incontro
L’ultimo mezzo usato dai reclutatori è lo speed dating, siti d’incontri online tipo quello gestito da Raqqa da Abu Qa’qa al-Britani per proporre alle aspiranti spose i migliori mujaheddin. Le nozze col potenziale martire sono però solo una parte della storia. È vero infatti che, come scrive Mia Bloom nel saggio «Bombshell: Women and Terrorism», quasi tutte le volontarie straniere non vogliono sparare ma aiutare, fare pr, procreare. E molte, come la marocchina di Avignone Nora che continua a chiamare disperata il fratello Fouad perché la vada a prendere, scoprono a loro spese quanto il ruolo di muhajirah (la fidanzata del Califfato) sia sinonimo di schiava.
Ma ci sono pure la 22enne londinese Khadijah Dare che twitta «vorrei essere la prima jihadista a uccidere un ostaggio occidentale», la connazionale a capo della polizia religiosa femminile di Raqqa, la medico malese Umm al-Baraa che chatta «lo stetoscopio intorno al collo e il kalash sulle spalle, il martirio è il mio sogno» o la 20enne scozzese Aqsa Mahmood frustrata perché «qui non c’è assolutamente modo per le sorelle di partecipare ai combattimenti, nessuna operazione di martirio né milizie femminili». Ci sono insomma jihadiste più agguerrite dei loro compagni che rispondono fiere al tam-tam di al Baghdadi perché, osserva Sasha Havlicek dell’Institute of Strategic Dialogue, persuase di battersi contro «l’occidente decadente e corrotto» che per quanto proclami il contrario non ha rispetto per le donne. E magari si sentono femministe.
LA STAMPA - Franco Giubilei: "La marcia dei giovani musulmani: 'Chi spara non ci rappresenta' "
Le più importanti organizzazioni musulmane, in Italia come altrove, hanno "preso le distanze" dall'attacco a Charlie Hebdo. Peccato che quasi nessuna abbia fatto cenno a quella consumata il giorno successivo in un sumermercato kosher di Parigi. Eppure la matrice è identica: l'islamismo. E identico è l'esecutore: il terrorismo islamico.
Forse è legittimo uccidere gli ebrei, secondo i musulmani "moderati"?
Ecco il pezzo:
Franco Giubilei
No, lo slogan «Je suis Charlie» non lo condividono, anzi, fosse per loro un giornale di satira blasfema non dovrebbe uscire in edicola «perché offende tutte le religioni», ma il sangue versato in nome di Allah è imperdonabile: «I terroristi hanno danneggiato molto più l’Islam di quanto abbia fatto il giornale satirico». Loro sono i giovani musulmani che ieri pomeriggio hanno sfilato in corteo a Reggio Emilia, dopo aver risposto insieme alle principali associazioni islamiche all’appello a scendere in piazza lanciato da comune e provincia.
Le ragazze con il velo
Ragazzine col velo come Sara Hamoumi, nata in Italia 19 anni fa e iscritta al primo anno della facoltà di lingue, a Parma: «I tre estremisti hanno oltraggiato la nostra fede dicendo di agire nel nome dell’Islam. Questa manifestazione è importante perché è un’occasione per dialogare con le altre persone, per far vedere che siamo tutti contro il terrorismo e ogni forma di violenza».
Migliaia di persone in marcia lungo via Emilia centro (5mila secondo il comune, ndr) e poi riunite nella piazza del municipio, e in fondo al corteo gli striscioni “Not in my name” e “Il terrorismo non ha umanità, il terrorismo non ha religione”, con qualche decina di ragazzi dalla pelle bruna e gli occhi accesi ad esprimere il loro sdegno per quanto è successo a Parigi. Gli altri musulmani, adulti e famiglie, erano in mezzo alla piazza ad ascoltare il sindaco Luca Vecchi e il presidente della provincia Giammaria Manghi. «Siamo venuti per dire no ai terroristi che ammazzano le persone e dire di sì alla libertà di parola», dice il presidente della comunità egiziana di Montecchio, Magdy El Meligy. La provincia reggiana è una delle zone a più alta concentrazione di stranieri d’Italia, ma la convivenza sembra funzionare: «Io mi sento italiano, sto bene qui, la maggior parte dei miei amici sono italiani – spiega Ilias Moukrime, 22 anni, musulmano, fresco di laurea triennale in tecnologia alimentare -. Il corteo serve a dire che condanniamo gli attentati ed è anche un’occasione di condivisione fra gente di fede islamica e italiani. Secondo la mia fede nessuno può giudicare o uccidere altre persone. E in un paese che ti offre tutto non puoi comportarti così».
Abdel Fattah al Fatimi ha 20 anni, vive a San Polo D’Enza e studia ingegneria civile; racconta di aver provato «sdegno, tristezza e imbarazzo» quando ha saputo degli attentati: «Gente che si presenta col kalashnikov urlando “Allah Akbar” sembra che ci rappresenti in quello che ha fatto, ma non è assolutamente vero: sono gesti incompatibili con la nostra religione». Aggiunge di essere soddisfatto fino a un certo punto della partecipazione dei musulmani alla manifestazione: «Mi aspettavo di più: venire a cortei come questo è importante, perché forse ora i cittadini italiani si sentono meno sicuri, dunque vedere molti di noi in piazza sarebbe un segno di sicurezza. Le vignette di Charlie Hebdo? Va bene la libertà di espressione, ma con un po’ di rispetto. La reazione violenta però è inaccettabile. Il Profeta è stato deriso ma reagiva col silenzio».
Sguardi pesanti
Khadija Sadid, 27 anni, marocchina, lavora in un negozio di ottica: «Il giorno dopo l’attentato la gente mi guardava in modo diverso. In Francia hanno agito solo tre assassini: per il Corano chi uccide un essere umano è come se uccidesse l’umanità».
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