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La Stampa - La Repubblica - Il Giornale Rassegna Stampa
09.01.2015 La via del terrore islamico passa per Turchia e Italia & la triste fine della stampa anglo-americana
Commenti di Maurizio Molinari, Enrico Franceschini, Fausto Biloslavo

Testata:La Stampa - La Repubblica - Il Giornale
Autore: Maurizio Molinari - Enrico Franceschini - Fausto Biloslavo
Titolo: «Il traffico andata e ritorno 'sull'autostrada turca' della jihad - Mostrare o censurare i disegni di Charlie Hebdo: ora i media si dividono - I comandanti dei fratelli killer andavano in moschea a Milano»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 09/01/2015, a pag. 6, con il titolo "Il traffico andata e ritorno 'sull'autostrada turca' della jihad", il commento di Maurizio Molinari; da REPUBBLICA, a pag. 12, con il titolo "Mostrare o censurare i disegni di Charlie Hebdo: ora i media si dividono", il commento di Enrico Franceschini; dal GIORNALE, a pag. 3, con il titolo "I comandanti dei fratelli killer andavano in moschea a Milano", il commento di Fausto Biloslavo.

Ecco gli articoli:

LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Il traffico andata e ritorno 'sull'autostrada turca' della jihad"


Maurizio Molinari

Reclutati online dai «disseminatori di Jihad», accompagnati da staffette sull’«autostrada turca» e addestrati in Siria ed Iraq nei campi paramilitari che portano il nome dei leader storici di Al Qaeda e Isis: è il percorso seguito dai volontari occidentali nei ranghi del Califfato come delle altre sigle dell’estremismo sunnita, ripercorrendolo al contrario quando decidono di tornare in patria per commettere attentati come quello al Charlie Hebdo.

Disseminatori online
Il primo passo è il reclutamento ed avviene quasi sempre online grazie ai «disseminatori» di Jihad ovvero volontari madrelingua - francese, inglese o tedesco - che gestiscono forum per intercettare i simpatizzati. Il francese Ichigo Turn, 24 anni, è fra i più popolari: per nome ha scelto un cartoon nipponico, scrive nello slang delle banlieues, conduce dibattiti e sommava 2000 friends su Facebook quando la chiusura della pagina lo ha spinto a trasferirsi su Twitter. È andato a combattere in Siria, dove è stato ferito ed è in convalescenza: racconta nei dettagli l’esperienza perché ciò spinge i seguaci a imitarla. I «disseminatori» sono centinaia, sfuggono ai controlli ed hanno piena libertà d’azione dal Califfato che ne sfrutta la motivazione ideologica per infondere entusiasmo nelle reclute.

L’autostrada turca
Se un simpatizzante decide di partire per Siria o Iraq sale quasi sempre su un volo per Istanbul o Ankara. La Turchia è l’«autostrada jihadista» dal 2012 quando Ankara decise di consentire il passaggio dei volontari anti-Assad. Europa e Stati Uniti più volte hanno chiesto al presidente Erdogan di chiudere il passaggio ma le testimonianze online dei jihadisti attestano che resta aperto. In particolare, sono tre le città dove i volontari arrivano per essere presi in consegna da cellule di Isis: Sanliurfa, Gaziantep e Adiyaman. Si trovano ai confini con la Siria e alcuni hotel sono i punti di incontro da dove partono le staffette per superarli. È un’«autostrada» che ha consentito l’arrivo nel Califfato di almeno mille turchi e quasi tremila occidentali, inclusi da cinquanta a, forse, cento di italiani.

I campi paramilitari
Per chi arriva, la destinazione sono i campi di addestramento di cui i forum jihadisti diffondono i video: a Kirkuk è intitolato a Omar al Baghdadi, predecessore del Califfo; a Dayr az Zour ad Ayman al Zawahiri, leader di Al Qaeda; a Damasco ad Abu Musab Al Zarqawi, fondatore de facto di Isis. Ovunque l’addestramento è all’uso di kalashnikov, lanciagranate ed esplosivi ma ci sono anche corsi di corpo a corpo e indottrinamento ideologico. Si dorme sotto tende dell’Us Army, rubate da Isis nelle basi dell’esercito iracheno rifornito dagli americani.

Il rientro in patria
Chi termina l’addestramento va a combattere a tempo indeterminato ma può decidere di tornare indietro sull’«autostrada turca» come i fratelli Kouachi per mettere a segno un piano definito oppure anche solo per andare a trovare i famigliari, come fatto da un dottore arabo-israeliano di Ashdod finito in manette. Fra gli occidentali c’è chi cede allo stress e vorrebbe disertare ma la punizione del Califfo è feroce: fucilazione seduta stante.

LA REPUBBLICA - Enrico Franceschini: "Mostrare o censurare i disegni di Charlie Hebdo: ora i media si dividono"


Enrico Franceschini

Siamo tutti Charlie Hebdo: lo dicono i cartelli della gente nelle strade di tutta Europa, lo affermano i titoli dei giornali di tutto l’Occidente. Ma non tutti i giornali occidentali — pur condannando come barbaro l’attacco di Parigi e difendendo il diritto del settimanale francese di fare satira come vuole su quello che vuole — hanno ripubblicato le vignette messe sotto accusa dagli estremisti islamici. Il mondo dei media si è per il momento diviso fra chi non pubblica nulla o soltanto vignette che non ritraggono Maometto e chi invece ha pubblicato proprio il materiale che ha fatto infuriare gli islamisti, come la famosa copertina di Charlie Hebdo in cui il Profeta ammonisce: «Vi farò dare 100 frustate se non morite dal ridere!» Adesso un appello lanciato da Timothy Garton Ash, docente di relazioni internazionali a Oxford, columnist del Guardian e di Repubblica, autore di saggi di successo, chiede a tutti i giornali d’Europa di pubblicare le vignette più “forti” del settimanale francese come gesto collettivo in difesa della libertà di stampa. Ma le opinioni in materia appaiono contrastanti. In Gran Bretagna nessun quotidiano ha pubblicato le vignette di Charlie Hebdo . «Siamo dei codardi», scrive amaramente un columnist del Times. Viceversa Tony Barber, commentatore del Financial Times , definisce «editorialmente stupida» la scelta del settimanale parigino di provocare consapevolmente l’ira dei musulmani e lo giudica «non il miglior campione di libertà di espressione»: uscito prima sul sito, il suo articolo è stato ritoccato ieri sera, cancellando questi due severi giudizi, che hanno scatenato sdegno sui social network, ma li ha ripristinati nella versione cartacea pubblicata ieri mattina. Non finisce qui. In America il Washington Post afferma: «Non pubblichiamo mai immagini che possono offendere qualunque religione» e il New York Times segue la stessa linea. Ma il quotidiano del Watergate deve incassare le critiche di una delle sue firme di punta, Carl Bernstein, che con Bob Woodword fece esplodere quello scandalo. In Danimarca alcuni giornali hanno pubblicato le vignette e altri no. L’ Huffington Post, il Daily Beast, Slate e altre testate online le hanno pubblicate; la Bbc e la Cnn no. D’altra parte, come denuncia il blog statunitense Gawker, considerato in patria una sorta di “tempio” della controinformazione, il Daily Telegraph britannico e il New York Daily News hanno pensato bene di “pixelare”, quindi rendendole irriconoscibili, le copertine più controverse contro il Profeta e l’Islam. Stephen Pollard, direttore del Jewish Chronicle, un giornale britannico, pone il dilemma in questi termini: «Il mio istinto giornalistico mi dice di pubblicare tutto, ma che diritto ho di rischiare la vita dei miei redattori?».

IL GIORNALE - Fausto Biloslavo:  "I comandanti dei fratelli killer andavano in moschea a Milano"


Fausto Biloslavo

Una pista «italiana» legata alla Tunisia e al gruppo del terrore Ansar al Sharia si intreccia con i contatti dei fratelli ricercati per l'attacco di Parigi. Tutto ha inizio una dozzina di anni fa quando Cherif Kouachi, il maggiore fra i due, viene attirato dalla piovra integralista. Gli mettono in testa che «è un bene farsi saltare in aria in Iraq». L'aspirante terrorista si offre per attacchi a obiettivi israeliani, ma non riesce a partire per la guerra santa. Lo arrestano prima e si becca tre anni di galera per aver fatto parte di una rete jihadista chiamata del «19mo arrondissement». Uno di suoi mentori è un veterano dell'Iraq, Boubaker Al-Hakim, nome di guerra Abou Mouqatel pure lui finito dietro le sbarre. Le «reclute» come Kouachi lo considerano «un esempio per tutti i fratelli in armi». Proprio in carcere il fratello maggiore dei terroristi ricercati diventa sempre più radicale. Al Hakim non è uno qualunque, ma fa parte della cupola della guerra santa tunisina guidata da Londra da Seifallah Ben Hassine, nome di battaglia Abou Iyadh. La rete ha addentellati anche in Italia con il «gruppo di Milano», che frequenta la moschea di viale Jenner. Gli uomini di Abu Iyadh nel nord Italia sono Sami Ben Khemais Essid and Mehdi Kammoun, che finiscono in una famosa inchiesta dell'allora pm Stefano Dambruoso. Ambedue vengono condannati per i complotti di Al Qaida in Europa e poi espulsi in Tunisia dove finiscono in carcere. Grazie alla primavera araba escono di prigione grazie ad un'amnistia. Stessa sorte riservata al capo Abou Iyadh ed Al Hakim, mentore dei sospetti terroristi dell'Hebdo, espulso dalla Francia.
Il gruppo si riunisce e fonda Ansar al Sharia. Il capo si fa fotografare durante un comizio in Tunisia assieme ai capi cellula che avevano vissuto in Italia. Alle spalle hanno la bandiera nera del Califfato, ancora poco nota. Secondo Tunisie secret, un sito che pubblica notizie riservate, la cupola «italo-francese» di Ansar al Sharia, alla fine del 2011, decide di mettere in piedi un campo di addestramento a Derna, in Libia. Pochi mesi dopo i suoi miliziani sono accusati dell'omicidio dell'ambasciatore americano a Bengasi.
Tunisie secret scrive che nel 2012, Said Kouachi, il fratello minore del gruppo di fuoco dell'Hebdo passa «una vacanza in Tunisia» dalle parti di Hammamet. Nel gennaio 2013 il maggiore, Cherif, avrebbe fatto lo stesso rinsaldando i contatti con Al Hakim. Il mentore che lo ha portato sulla strada della guerra santa si sposta in Libia con il capo di Ansar al Sharia guidata dalla cupola di cui fa parte anche il vecchio «gruppo di Milano». A questo punto le tracce sono confuse. I fratelli Kouachi sarebbero stati addestrati in Libia e poi avrebbero proseguito sulla strada della guerra santa partendo con altri volontari per la Siria.
Il condizionale è d'obbligo, ma nel paese travolto dalla guerra civile uno dei comandanti dello Stato islamico è Salim Benghalem finito sulla lista nera degli Usa nel settembre 2014. Un altro contatto «francese». Nel 2010, quando Cherif Kouachi era sorvegliato per un piano mai attuato di evasione di un jihadista in carcere, Benghalem faceva parte dell'allegra compagnia. Dalla Siria i fratelli della guerra santa sarebbero rientrati in Francia, via Turchia, pronti a colpire nel cuore di Parigi.
 
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