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Il Foglio - Corriere della Sera Rassegna Stampa
07.01.2015 Lotta all'islamismo: non lasciamo questa battaglia all'estrema destra
Commenti di Andrea Affaticati, Mauro Zanon, Sergio Romano

Testata:Il Foglio - Corriere della Sera
Autore: Andrea Affaticati - Mauro Zanon - Sergio Romano
Titolo: «La Germania non sembra più tanto riunita: vedi le proteste contro l'islam - Parigi e minareti - La rivoluzione religiosa del presidente egiziano»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 07/01/2015, a pag. 1-4, con il titolo "La Germania non sembra più tanto riunita: vedi le proteste contro l'islam", il commento di Andrea Affaticati; a pag. 1-4, con il titolo "Parigi e minareti", il commento di Mauro Zanon; dal CORRIERE della SERA, a pag. 39, con il titolo "La rivoluzione religiosa del presidente egiziano", la risposta di Sergio Romano alla lettera di Rosalino Sacchi.

Non possiamo lasciare agli impresentabili movimenti di destra radicale o estrema la lotta contro l'islamizzazione dell'Europa. Informazione Corretta si schiera in prima linea denunciando i compromessi inaccettabili che il nostro continente sta pattuendo con chi rifiuta i valori dell'Occidente, pur rifiutando con la medesima forza il razzismo nei confronti di chiunque, arabi inclusi.

Ecco gli articoli:


Islamismo in Germania

IL FOGLIO - Andrea Affaticati:  "La Germania non sembra più tanto riunita: vedi le proteste contro l'islam"


Angela Merkel

Milano. E’ di nuovo un muro contro muro tra schieramenti opposti, tra “manifestanti anti islamizzazione” e contro manifestanti, proprio nella Germania che quest’anno festeggia i 25 anni dall’unificazione. A testimoniarlo sono le manifestazioni di ogni lunedì a Dresda, nel Land Sassonia, ex Ddr, dove scendono in strada diciottomila “Patrioti europei contro l’islamizzazione dell’occidente” (Pegida). Però le manifestazioni indette a Berlino e soprattutto quella a Colonia, che doveva consacrare l’affermazione di Pegida anche nei vecchi Länder, sono state un flop. Angela Merkel ha reagito lentamente, come d’abitudine. Prima ha ignorato la protesta, nella convinzione che si trattasse di un fenomeno passeggero. Supposizione rivelatasi errata, visto che lunedì dopo lunedì aumenta il numero di coloro che a Dresda manifestano contro la “Überfremdung” (l’eccesso di stranieri, in particolare di musulmani che vivono già o arrivano in Germania in fuga dalle guerre in Siria e Iraq, e che mettono a rischio la cultura e la natura germanica).

E così Merkel ha deciso di andare al contrattacco, usando parole nette e dure. Nel discorso di inizio anno ha messo in guardia i connazionali da qualsiasi genere di razzismo: “Non seguite coloro che vi incitano a questo atteggiamento… Troppo spesso nei loro cuori c’è solo gelo, a volte addirittura odio… E’ vero, scandiscono lo slogan ‘Noi siamo il popolo’, ma quel che veramente intendono dire è: ‘Voi non ne fate parte, per il colore della vostra pelle o per la vostra religione’”. Anche il capo di stato Joachim Gauck, aveva già messo in guardia dai pifferai magici i connazionali. Ma il discorso di Merkel ha fatto più effetto perché nei nove anni alla guida del paese, non si era mai espressa con questa durezza e chiarezza. E’ vero, da una parte le proteste di Dresda non si possono più ignorare, visto il crescente numero di partecipanti. Ma c’è anche il fenomeno della prolificazione. Già poco dopo la prima manifestazione di Pegida a Dresda venivano a costituirsi comitati di Pegida anche in altre città: Bärgida a Berlino, Dügida a Düsseldorf, Bogida nell’ex capitale Bonn, e via dicendo (per quanto non abbiano mai radunato più di un pugno di persone).

Come detto, lunedì doveva essere anche il battesimo del fuoco di Pegida a Colonia, cioè di KöGiDa. Se si fosse riusciti a portare in strada migliaia di persone anche nella più grande città del Nordrhein- Westfalen (il Land ex roccaforte dell’Spd), allora si poteva contare anche su un futuro radicamento nei vecchi Länder. Ma così non è andata. A Colonia si contavano giusto 150 persone. Inoltre i manifestanti di KöGiDa volevano arrivare fino al duomo. Il prevosto, già domenica, aveva però fatto sapere, che in segno di dissenso avrebbe spento le luci che illuminano il duomo (una decisione che gli ha portato molto plauso e ancora più critiche). A Berlino è stata invece la cancelleria del Senato a spegnere alle ore 19 le luci che illuminano la Porta di Brandeburgo. A Berlino Bärgida aveva raccolto 350 manifestanti. In compenso a Colonia, Berlino e in altre città, Dresda compresa, erano in migliaia a manifestare contro Pegida. La domanda più pressante è ovviamente se davvero tutti i manifestanti sono abitati da pulsioni xenofobe e razziste. E’ vero che a Colonia sono stati esponenti della destra radicale a organizzare KöGi- Da. Ma non vale necessariamente per Dresda. Lì vale probabilmente quanto spiegato dallo storico Heinrich August Winkler, in una precedente intervista al Foglio, e cioè che si tratta di “conservatori senza più patria, i quali ai tempi di Weimar avrebbero votato per il Partito popolare nazionale tedesco”. Tornando alla Kanzlerin. Alexander Robin, giornalista della Welt, scriveva ieri: “Se Merkel avesse deciso di andare incontro a Pegida, avrebbe messo a rischio tutto ciò che l’Unione rappresenta dal 1949”. Un partito conservatore, è vero, ma non reazionario e comunque un partito “alla destra del quale non ci deve essere nulla”, come usava dire il capo della Csu Franz Josef Strauss. Verrebbe da pensare che Merkel si sia appropriata di questo detto. Non fosse che la Kanzlerin, dopo aver fatto digerire al suo partito l’idea che la Germania è un paese di immigrazione e aver spostato in genere il baricentro dell’Unione sempre più verso il centro (sinistra), ha alimentato la battuta secondo la quale: alla sinistra dell’Unione guidata da Merkel non ci può essere nulla. Ma battute a parte, un problema a quanto pare esiste. Ed è un diverso sentire verso la Germania paese di immigrazione, come nel frattempo ha accettato che sia anche la Cdu. E se nei vecchi Länder questo ormai è un dato di fatto, nei nuovi non parrebbe essere così.

IL FOGLIO - Mauro Zanon: "Parigi e minareti"


Islamismo in Europa: pericolo esplosivo

Parigi. Uscirà il prossimo 15 gennaio per le edizioni Tatamis il vero libro choc della rentrée letteraria francese, che a confronto farà passare “Soumission” di Michel Houellebecq per un timido monito sul futuro “islamico” della Francia. Ma nessun giornalone ne parla e ne parlerà, statene certi. La sua prima edizione, apparsa nel 2010, ha registrato più di diecimila esemplari venduti, ma il solo a darne notizia è stato Ivan Rioufol, editorialista del Figaro e voce solitaria di dissenso al piattume pol. corr., da sempre attento alla questione identitaria e al rapporto tra islam e République. Lo ha fatto sul suo blog personale, in un intervento intitolato “Islamismo: gli occhi finalmente si schiudono”. Partendo da un’intervista al Parisien dell’ex presidente dell’Uoif (Union des organisation islamiques de France), Lhaj Thami Breze, che aveva gridato con orgoglio il motto dei Fratelli musulmani: “Il Corano è la nostra Costituzione”, Rioufol ha denunciato il pericolo rappresentato da “questi ideologi” per i quali “innalzare una moschea non significa solo costruire un luogo di culto, ma anche appropriarsi di un territorio e di un potere”. Puntando il dito soprattutto contro “i numerosi sindaci, di destra come di sinistra, che non si interrogano sui fini politici perseguiti da alcuni promotori di questi luoghi di culto”, prima di aggiungere una postilla a mo’ di esortazione: “leggete ‘Ces maires qui courtisent l’islamisme’”. Nonostante il boicottaggio dei media, Joachim Véliocas, giornalista e direttore dell’Osservatorio dell’islamizzazione, pubblicherà la prossima settimana la seconda edizione della sola inchiesta uscita in Francia sul controverso sistema di finanziamento delle moschee francesi che ne ha permesso il proliferare (da dieci anni a questa parte ne spunta una a settimana). Al suo interno, l’autore mette in fila tutti quei sindaci ed ex sindaci del Ps e dell’Ump che nei comizi e nei salotti televisivi non perdono occasione per straparlare di “laicïté” e “valeurs de la République”, per poi prostrarsi nei loro bastioni ai voleri della comunità musulmana.

Questi sindaci poi svuotano discretamente le casse del comune per innalzare moschee e finanziare attività che aggradano gli imam locali. In barba alla legge sulla laicità del 1905, l’attuale primo ministro, Manuel Valls, si reca a ogni possibile inaugurazione di una moschea per dire che “l’islam avrà tutto il suo spazio in Francia” (moschea di Cergy, innalzata su un terreno di 2.000 metri quadrati, offerto dal comune socialista in cambio di un affitto irrisorio di 728,50 euro mensili, nel luglio del 2012) e che “i musulmani sono la Francia” (Moschea di Evry, luglio 2014). Di Alain Juppé si tessono elogi a non finire nei media, quale miglior candidato per il rassemblement repubblicano contro la nebulosa nera di Marine Le Pen nel 2017, ma dei suoi “rapporti eccellenti” (parole sue) con l’imam di Bordeaux, Tareq Oubrou, rivendicatosi adepto dei Fratelli musulmani, nessuna goccia d’inchiostro. “Farò di tutto affinché un terreno sia presto disponibile per la costruzione di una grande moschea”, ha promesso Juppé, alla stregua di Reims e Parigi. A proposito della capitale, nonostante i quattrocento milioni di euro di debito, nessuno ha mai alzato un dito sui sedici milioni trovati magicamente per erigere l’Institut islamique, così come nessuno parla della Mosquée Omar, sita nel quartiere di Belleville, che tutti sanno essere un “alto luogo del salafismo”. A Nantes, quando al comune c’era l’ex primo ministro Jean-Marc Ayrault, duecentomila euro per finanziare l’istituto islamico dell’Uoif, antenna francese dei Fratelli musulmani, furono trovati in un batter d’occhio. E a Strasburgo, l’imam della nuova moschea, sovvenzionata dalle collettività locali, ha forti legami con l’islamismo radicale, ma questo, a quanto pare, interessa poco ai media. Un recente sondaggio dell’istituto Ifop, pubblicato da Paris Match, ha evidenziato che la principale paura per l’89 per cento dei francesi è rappresentata proprio dall’aumento dell’islamismo radicale. Una paura che non è né di destra né di sinistra, ma accomuna tutti i cittadini e si posiziona davanti a quella per la deflagrazione del modello sociale francese (86 per cento), particolarmente pronunciata nelle classi popolari. Marine Le Pen, interrogata a proposito di “Soumission”, ha dichiarato che “si iscrive nella linea di ciò che si può constatare in un certo numero di municipalità e dipartimenti, dove il fondamentalismo islamico avanza con l’accordo e financo con la complicità dell’Ump e del Ps”.

CORRIERE della SERA - Sergio Romano: "La rivoluzione religiosa del presidente egiziano"

Sergio Romano, dopo avere a lungo sostenuto la Fratellanza musulmana - una organizzazione islamista che si avvale di metodi terroristici e di cui fa parte anche Hamas - si sofferma oggi sul pericolo per l'Egitto della Fratellanza stessa. Augurandoci che il suo ravvedimento sia durevole e che le sue sbandate ideologiche seguite alle "Primavere arabe" superate, non possiamo non sottolineare quanto poco sia affidabile un analista che cambia opinione al mutare del vento.

Ecco l'articolo:


Sergio Romano

Il presidente egiziano Al Sisi ha fatto il 1° gennaio un discorso importante al Cairo nell'Università Al Azhar, ovvero nella sede forse più prestigiosa di tutto il mondo islamico. E' possibile — si è chiesto tra l'altro — che la nostra dottrina debba fare di tutta la umma (la comunità dei fedeli) «una sorgente di ansietà, pericolo, uccisioni e distruzione per il resto del mondo?» (cito dalla traduzione inglese perché non leggo l'arabo). Ha proseguito: «II corpo di testi e di idee che abbiamo sacralizzato è in antagonismo con tutto il mondo (...) è possibile che 1,6 miliardi di persone vogliano, per potere esse stesse vivere, uccidere il resto degli abitanti del mondo?». E infine: «Abbiamo bisogno di una rivoluzione religiosa». Che io ricordi, nessun leader islamico aveva mai fatto un discorso così anticonformista.

Rosalino Sacchi
lino.sacchi@alice.it

Caro Sacchi,
L' originale arabo e la traduzione inglese del discorso di Al Sisi circolano nei blog egiziani e sembrano lunghe citazioni di un testo non ancora interamente pubblicato. Ma il senso è chiaro. Il presidente egiziano segnala ciò che altri leader arabi avrebbero dovuto constatare e deplorare prima di lui. Non è necessario leggere il romanzo di Houellebecq o le cronache tedesche sulle ultime manifestazioni popolari di Pegida (Europei patriottici contro l'islamizzazione dell'Occidente) per sapere con quale rapidità si stia diffondendo in Europa, soprattutto dopo le gesta dello Stato islamico, la paura dell'Islam. I leader delle nazioni arabe hanno un evidente interesse a contrastare il fenomeno, ma hanno taciuto, forse per non irritare gli ambienti più confessionali delle loro società. Al Sisi ha avuto il merito di violare questo tabù e di farlo di fronte a una platea di imam e ulema in una istituzione accademica che è stata definita in passato, anche se con una formula molto approssimativa, il Vaticano dell'Islam.

Ancora più interessanti sono, tuttavia, gli argomenti di cui Al Sisi si è servito per affrontare il problema. II fanatismo islamico sarebbe il risultato di un pensiero dominante che è divenuto, con il passare del tempo, un codice di regole inviolabili. Tocca agli imam e agli ulema smantellare questa costruzione, tocca a loro guidare una «rivoluzione religiosa». Sembra di capire, anche se non viene detto esplicitamente, che il presidente chieda ai custodi della fede di non più considerare le antiche scritture un testo immutabile, da leggere alla lettera, ma un testo storico da leggere con criteri moderni. Se questo è il senso del suo discorso, Al Sisi chiede al clero di Al Azhar di operare sulla tradizione dell'Islam con gli strumenti di cui il modernismo si è servito, agli inizi del Novecento, per rileggere la Bibbia e più generalmente le Sacre Scritture. Questa proposta spiega perché il presidente egiziano abbia destituito il presidente Morsi. Se la Fratellanza musulmana fosse rimasta al potere, la rivoluzione religiosa sarebbe inimmaginabile.

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