Siria e Libia, un aggiornamento dal CORRIERE della SERA di oggi, 04/01/2015, a pag.12, negli articoli di Guido Olimpio e Lorenzo Cremonesi.
Guido Olimpio: " Così l'eroica Kobane è diventata la tomba delle milizie del Califfo "
Guido Olimpio
Le case distrutte a Kobane sono le tombe dell'Isis. Dozzine di mujaheddin sono stati uccisi nel tentativo di conquistare la cittadina curda al confine tra Siria e Turchia. I sogni di gloria del Califfo, abile politico ma in questo caso pessimo stratega, si sono infranti su due grandi ostacoli: la resistenza dei difensori e i raid aerei alleati. Quando in estate il movimento jihadista ha sferrato la sua offensiva era convinto di una vittoria lampo, realizzata con alta mobilità e potenza di fuoco. In pochi giorni i militanti curdi dell'Ypg erano stati costretti a ripiegare a ridosso della frontiera. Scarsi I rifornimenti, poche le munizioni. La caduta della località era data per imminente. Da tutti. Turchi, americani, osservatori. Poi, inattesa, la svolta. La presenza delle telecamere e dei giornalisti che documentavano in tempo reale l'agonia di Kobane ha dato la sveglia. E il Pentagono, che inizialmente aveva liquidato la battaglia come un episodio insignificante, ha cambiato idea. Così ha mobilitato la coalizione che ha iniziato a martellare le posizioni dell'Isis. A oggi gli Usa e gli alleati hanno condotto ago raid a protezione della città. Una quota importante delle 1.617 incursioni tra Siria e Iraq. L'aiuto dal cielo ha dato una copertura formidabile alla tenacia del guerriglieri curdi del-rYpg, spalleggiati da un piccolo nucleo di insorti siriani e da un centinaio di peshmerga arrivati dal Kurdistan iracheno. Senza voler togliere onore e meriti ai difensori, è evidente che l'intervento di droni e caccia ha salvato Kobane. Per prenderla, gli islamisti le hanno provate tutte. Prima hanno impiegato armi pesanti — compresi i tank — poi per ridurre l'esposizione ai jet, hanno ridotto le unità. Hanno scavato dei tunnel per sorprendere gli avversari. Quindi si sono affidati alle azioni suicide. Giganteschi camion blindati, con a bordo kamikaze e tonnellate di esplosivo, hanno tentato di sfondare le linee. I veicoli bomba hanno aperte brecce, ma non hanno travolto il bastione. In alcuni momenti i curdi sono sembrati capitolare, ma poi è sempre arrivata la cavalleria, intesa come l'aviazione che ha inferto colpi di maglio terrificanti, favorita anche da informazioni passate dai peshmerga attraverso una sorta di sala operazioni remota. Per dare l'idea delle operazioni citiamo il comunicato alleato del 2 gennaio: «Attaccate una grossa unità e una posizione da combattimento, distrutti 4 edifici Isis, le posizioni da combattimento e un tank». Giorno dopo giorno, raffiche di mitragliatrice tirate da postazioni ben mimetizzate e le bombe al laser sganciate su quella strada o su un incrocio hanno aperto vuoti nelle file islamiste. Il Califfo ha mobilitato reparti scelti composti da «ceceni», termine usato spesso per indicare i militanti più preparati. Insieme a loro molti combattenti locali e i volontari stranieri. Tanti i «martiri», documentati dagli annunci sul Web con foto di cadaveri avvolti nel sudario o ancora sotto le macerie. Sauditi, francesi, britannici inghiottiti dalla «fornace». C'è chi ipotizza — esagerando — che la storia di Kobane sia stata una trappola studiata a tavolino dal comando centrale: alzando la posta ha costretto Al Baghdadi a inviare altre forze e a esporle ai raid. Per il Califfo mollare la presa sarebbe una sconfitta. In realtà sono stati gli eventi a modellare lo scenario. Lo Stato Islamico ha registrato successi in Iraq ma qui ha pagato pegno e non è mai sembrato considerare lo scontro come un episodio secondario. Voleva e vuole sbarazzarsi di questa spina nel fianco. Tanto è vero che ha investito molto nel-la propaganda, prima con il reportage dell'ostaggio inglese John Cantlie dal centro della cittadina, poi con i filmati del drone. Morale. Kobane ha tenuto, anche se l'Isis è rimasto una minaccia, contrastata da 10-12 incursioni aeree al giorno. Difficile dire cosa rimarrà in piedi di un luogo che fino a pochi mesi fa era solo un punto geografico.
Lorenzo Cremonesi: " Libia,è caccia ai cristiani d'Egitto: 20 rapiti "
Lorenzo Cremonesi
Ancora cristiani vittime perseguitate in Medio Oriente. Obiettivi relativamente semplici da colpire. Civili indifesi aggrediti per motivi religiosi, ideologici, a scopo di riscatto, ma anche con fini politici. L'ultimo episodio di una serie ormai lunghissima è avvenuto a Sirte, in Libia, ieri mattina presto, per mano di gruppi estremisti islamici ai danni degli egiziani copti I quali, nonostante tutto, sino a ora vedevano nelle opportunità di lavoro in Cirenaica e Tripolitania un'alternativa alla povertà dominante in Egitto. In tredici sono stati sequestrati in un blitz brutale. Si aggiungono ai sette presi pochi giorni fa nello stesso luogo, oltre al medico assassinato con la moglie (una figlia diciottenne forse rapita) il 24 dicembre, ai sette uccisi con un colpo alla testa a Bengasi in marzo e alle altre decine di persone sparite, aggredite dal tempo della rivoluzione libica «assistita» dalla Nato nel 2011. II film del rapimento lascia intuire che si tratti di un'operazione ben pianificata. Ore due e trenta, è ancora piena notte, a Sirte pioviggina. È la città costiera posta 5oo chilometri a est di Tripoli, dove nell'ottobre 2011 venne linciato Gheddafi e oggi imperano le milizie islamiche, specialmente la più qaedista: Ansar al Sharia, responsabile di crimini efferati, tra cui l'assassinio dell'ambasciatore americano Christopher Stevens a Bengasi nel 2012. Una quindicina di rapitori mascherati irrompe su quattro gipponi, vanno a colpo sicuro, brandiscono un foglio di carta con l'elenco dei nomi dei cristiani, verificano i passaporti di decine di lavoratori egiziani alloggiati in alcune palazzine, in certi casi controllano se abbiano tatuaggi dl croci sul corpo. Quindi la selezione: scartano i musulmani e portano via i cristiani. «Li ho sentiti gridare. Sono stati spinti sul mezzi con le canne dei mitra» ha detto alla stampa Hanna Aziz, una copta riuscita a nascondersi. L'ennesima testimonianza del caos in cui è precipitata la Libia. Un Paese con due gaver-ní, paralizzato dalla guerriglia influenzata dall'Isis, dove è quasi impossibile viaggiare, la cui produzione petrolifera è precipitata in pochi mesi da un milione e 600 mila barili quotidiani agli attuali zoo mila o poco più. Le milizie islamiche di Sirte cooperano oggi con quelle relativamente più moderate di Misurata e corn-pongono íl fronte di forze che appoggia il governo islamico di Tripoli contro quello più «laico» basato a Tobruk e sostenuto dall'Egitto. È in questo quadro che viene letto dai commentatori locali l'attacco contro i copti: colpisce contemporaneamente due obbiettivi, l'Egitto e i cristiani. Erano un milione gli egiziani in Libia nel 2011, ora sono meno di 200.000, si stima che il 15 per cento siano copti. La loro ambasciata a Tripoli ha chiuso in circostanze drammatiche un anno fa. Forse presto dovranno partire tutti.
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