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Corriere della Sera Rassegna Stampa
02.01.2015 Capodanno a Gaza: simpatie pro palestinesi e ironie verso Israele
Cronaca di Francesco Battistini

Testata: Corriere della Sera
Data: 02 gennaio 2015
Pagina: 12
Autore: Francesco Battistini
Titolo: «Con lo champagne nascosto al Capodanno triste di Gaza»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 02/01/2015, a pag. 12, con il titolo "Con lo champagne nascosto al Capodanno triste di Gaza", la cronaca di Francesco Battistini.


Un terrorista di Hamas

Ancora una volta, Francesco Battistini riporta - con molto rispetto e senza indagarne l'eventuale valore di verità - le posizioni palestinesi, mentre concede spazio risibile, con divagazioni ironiche, a quelle israeliane.
A Gaza l'85% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà e il 48% non ha un lavoro. Eppure il flusso di denaro che entra nella Striscia è imponente e continuo, così come senza sosta da Israele entrano derrate di ogni sorta. Significa che l'utilizzo che Hamas fa di questo denaro e di questi beni non è finalizzato al benessere dei gazawi, ma al consolidamento del potere di una organizzazione terroristica che ha il solo scopo di distruggere Israele e uccidere gli ebrei - come dichiarato nel suo Statuto.

Ecco l'articolo:


Francesco Battistini

«Se vieni, me la porti una bottiglia di champagne? Io l’ho bevuto tanti anni fa al Cairo, però mia moglie mai...». Amico, ma dove lo nascondo lo champagne? «A Gaza entra tutto, basta volerlo». A mezzanotte va la ronda del piacere e sulla terrazza del Roots Hotel s’aggirano due vigilantes armati. I guardiani del veglione. Sono compresi nei 40 euro di prezzo, li pagano gl’invitati: devono controllare che non arrivino i controllori di Hamas, almeno qui, e non rovinino la festa di chi ancora può. Un piacere casto. Il salone l’hanno addobbato di rosso, un cantante sul palco, i tavoli infiocchettati, i palloncini d’oro del 2015, perfino l’albero di Natale. La regola però è che ballino solo gli uomini, «Happy» e canzoni egiziane: velate o minigonnate, le donne stanno a guardare. Sulla terrazza, la musica si sente appena. Solo una bambina ha il diritto di giocare alla cubista su una tovaglia, gli altri in coda al buffet dell’hummus o a preparare il brindisi con le lattine di Coca-Cola. C’è la Gaza che non si vede mai: la famiglia che fa soldi con le bombole del gas, quelli che affittano i terreni all’Onu, i ricconi dei tunnel e del mercato nero, le ragazzine buon partito che si truccano in bagno e sognano prima o poi di scappare da questa prigione… «Tre, due, uno: buon anno!».

Vietato l’alcol, vietati i baci sotto il vischio. Niente botti, ma di quelli non si sente la mancanza. Anche gli abbracci sono divisi per genere. È il più dannato dei sansilvestri, però va bene così, pur di seppellire il 2014 dei duemilacento morti e dei centomila sfollati, le migliaia di case polverizzate, i venticinquemila a dormire nelle scuole e gli altri a sopravvivere come topi, i trentamila posti di lavoro bruciati. Bordo Protettivo, l’hanno chiamata gl’israeliani: la terza guerra in trentasei mesi ha trascinato Gaza sull’orlo del baratro. «Peggio di così è impossibile — insiste l’amico —. Portami lo champagne, l’ho visto in un film: le bollicine sono il modo migliore per morire ubriachi».

L’anno che verrà non porta Hamas e almeno questo è un buon inizio. I barbuti non si vedono né a mezzanotte né dopo. Non ce n’era bisogno: lo sanno tutti che dal 2007 è proibito far festa nella Striscia. «Non bisogna imitare queste usanze occidentali», locali e intrattenimenti devono chiudere alle 22 del 31 dicembre, i ritrovi sono permessi solo la sera del primo gennaio, quando il mondo s’è già ripreso dalla sbornia… C’è divieto e divieto, naturalmente. E c’è una popolarità di Hamas al minimo, dopo l’ennesimo disastro politico e militare, dopo le centinaia di razzi lanciati sulle città israeliane: meglio non irritare troppo la piazza e chi proprio vuole il cincin, lo faccia in casa e con le tapparelle abbassate («passate da noi, abbiamo vodka e frutta secca, suonate dopo le dieci all’appartamento 701» è il tamtam sul telefonino d’un ex fedelissimo d’Arafat), i danarosi del Roots festeggino tra loro senza troppa pubblicità, e gli altri s’arrangino…

A Khuza’a, che nei capodanni felici era il villaggio delle gazawi più belle, s’arrangiano vagando come spettri sulla strada buia, fra mozziconi di minareti e cupole di moschee schiantate al suolo. Non è rimasta in piedi una casa e si veglia da quattro mesi. Presepi morenti: solo i teli di plastica per la pioggia e i falò a riscaldare, i bambini senza scarpe a dormire su materassi di sassi. Non sanno nemmeno che è Capodanno, figurarsi del divieto di Hamas. «Un intero popolo aspetta che qualcuno faccia qualcosa – denuncia don Mario Da Silva, viceparroco di Gaza – ma quest’inverno sta portando solo freddo. Si vende il ferro delle macerie per mangiare qualcosa. Nessun lavoro di ricostruzione». Come si può costruire una pace, si chiede il prete, se non si ricostruiscono prima le case? Qualche mese fa, ultima speranza dei disperati, i barconi da Alessandria salpavano per l’Italia. Poi sono morti a decine e l’Egitto ha deciso di sigillare anche i tunnel della fuga. Adesso, non resta che scappare dalla grande prigione per finire in un carcere israeliano: nell’ultimo anno, dice il governo Netanyahu, in 170 hanno provato a superare il confine con un coltello in tasca. Non per uccidere: solo per farsi arrestare. «Il trucco è finire dentro — spiegano i militari dell’Idf — e far avere alla famiglia il sussidio che l’Autorità palestinese concede a chi è nelle mani degl’israeliani. Più è lunga la pena, più soldi ricevi».

Il 30 dicembre sono comparsi nella Striscia otto ministri dell’Autorità palestinese: per poco, la gente non li picchiava. Abu Mazen non s’è mai fatto vedere, in una terra di cui è il teorico presidente. Rami Hamdallah, premier d’un governo che sarebbe d’unità palestinese, rinvia sempre la sua visita. E anche i padroni di Hamas devono girare scortati perché il cemento non passa, la disoccupazione è all’80 per cento, i soldi dei donatori internazionali c’è da chiedersi se arriveranno mai. Non ci hanno mai dato nemmeno quelli delle altre ricostruzioni – dice Muhammad Abu Raya, 38 anni, un medico laureato in Pakistan che sotto le bombe del 2014 ha perso tutto –. Qualcuno sa dire che fine hanno fatto i sei miliardi che la pomposa conferenza di Sharm el Sheikh ci promise cinque anni fa? Io ho una bambina di nove anni che ha già visto tre guerre. Che cosa posso prometterle per il 2015?». Lo champagne, fra i lustrini del Roots, alla fine l’abbiamo stappato. Ma di nascosto e non per paura di Hamas.

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