Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 02/01/2015, a pag. 3, l'editoriale "La provocazione di Abu Mazen"; dal CORRIERE della SERA, a pag. 12, con il titolo "Palestina alla Corte internazionale, l'ira di Israele", la cronaca di Francesco Battistini.
I crimini che la Corte penale internazionale dovrebbe indagare
IL FOGLIO: "La provocazione di Abu Mazen"
Abu Mazen Il simbolo della Corte penale internazionale
Il presidente dell'Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, ha quasi ottant'anni, una leadership in frantumi e un consenso elettorale che ormai frana verso Hamas. E' importante ricordarlo per giudicare la sua mossa di mercoledì, quando l'Autorità palestinese ha fatto richiesta formale di ingresso della Palestina nella Corte penale internazionale, una provocazione da cui Washington e Gerusalemme hanno messo in guardia Abu Mazen per anni. Entrando nella Corte penale internazionale, l'Autorità palestinese può chiedere l'incriminazione di Israele per crimini di guerra, e far partire cause che automaticamente si trasformerebbero in campagne di demonizzazione contro Gerusalemme.
Abu Mazen si è voluto vendicare di una sconfitta subita martedì al Consiglio di sicurezza dell'Onu, e cerca iniziative di ampio impatto per restaurare la sua credibilità a pezzi: provoca, incita alla violenza a Gerusalemme est, cerca il riconoscimento della Palestina a livello internazionale - e trova la condiscendenza colpevole di molti Parlamenti europei. Ma l'adesione alla Corte, alla vigilia delle elezioni in Israele, è una provocazione troppo grave, e un altro colpo forse definitivo al moribondo processo di pace.
E' una mossa dettata dalla disperazione, e in quanto tale si ritorcerà contro il presidente palestinese. Il Congresso americano minaccia da tempo sanzioni contro l'Autorità in caso di adesione alla Corte, compreso il taglio dei 400 milioni di dollari annuali in finanziamenti, e sicuramente Gerusalemme applicherà sanzioni e tagli di aiuti. Ne risentirà la popolazione civile, Abu Mazen avrà buon gioco a incolpare Gerusalemme, la comunità internazionale non dovrà cadere nella sua trappola.
CORRIERE della SERA - Francesco Battistini: "Palestina alla Corte internazionale, l'ira di Israele"
L'articolo di Battistini è perlomeno ambiguo, come sempre. Il giornalista, infatti, riferisce le posizioni palestinesi, ma si guarda bene dal controllarne la veridicità. Mentre a Israele riserva ironie e sarcasmi.
Francesco Battistini
Internazionalizzare. Alla fine Abu Mazen s’è convinto. E la parola d’ordine 2015, ora, la ripete in tutte le sedi: «Gl’israeliani attaccano noi e la nostra terra — diceva ieri ai suoi fedelissimi — presso chi dobbiamo andare a protestare? Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ci ha sbattuto la porta... Dove possiamo andare?». Bisogna internazionalizzare il conflitto israelo-palestinese, «perché sono vent’anni che ci abbiamo provato in ogni modo e senza risultati». La mossa è arrivata a Capodanno. Venti firme, sotto le venti convenzioni internazionali che danno accesso al Tribunale dell’Aja. Una spallata, spesso minacciata e mai data: come osservatore dell’Assemblea delle Nazioni Unite, status acquisito nel 2012, ora Abu Mazen potrà chiedere che la Corte penale internazionale processi Israele per crimini di guerra. Il leader di Ramallah ha siglato anche lo Statuto di Roma, che concede ai firmatari questa prerogativa ed è difficile che vi rinunci: dopo anni di denunce mediatiche, l’Anp vuole chiedere un pronunciamento della giustizia sovranazionale su questioni come il proliferare delle colonie illegali o i morti delle ultime guerre di Gaza, a partire dall’operazione Bordo Protettivo del 2014. Magari, anche sull’occupazione dei Territori dopo il 1967. La scelta non è sorprendente e il momento non è casuale. Arriva dopo che negli ultimi mesi un governo (la Svezia) e diversi Parlamenti (Gran Bretagna, Francia, Irlanda) hanno detto sì a un riconoscimento pieno dello Stato palestinese. E arriva subito dopo che il Consiglio di sicurezza (su pressione degli Usa) ha bloccato la mozione giordana che imponeva il ritiro dai Territori a partire dal 2017: su Abu Mazen sono piombate molte critiche, per una mossa diplomatica che ai più era parsa suicida e incomprensibile. Con questo colpo di coda, l’ottantenne presidente dell’Anp riprende un po’ di scena, incassa il plauso dei rivali-alleati di Hamas e porta scompiglio in Israele, a due mesi e mezzo dal voto. Il ministro israeliano Naftali Bennett ricorda che all’Aja pendono anche le denunce contro Hamas e l’uso di scudi umani, ma l’irritazione c’è: «Ci aspettiamo che la Corte respinga l’ipocrita richiesta palestinese — è la replica di Bibi Netanyahu —. L’Anp non è uno Stato, ma l’alleata dei terroristi di Hamas. Difenderemo i nostri soldati come difendiamo noi stessi». Per Bibi, quello di Abu Mazen potrebbe anche essere un assist. Forse non aspettava altro, per portare la campagna elettorale sul tema che preferisce: la difesa d’Israele.
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