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La Repubblica - Corriere della Sera Rassegna Stampa
15.12.2014 Netanyahu a Roma: 'Israele isola in mezzo all'estremismo'
Cronaca e commento di Vincenzo Nigro, Paolo Valentino

Testata:La Repubblica - Corriere della Sera
Autore: Vincenzo Nigro - Paolo Valentino
Titolo: «Netanyahu vola a Roma: 'Non ci ritireremo entro i confini del '67' - L'israeliano Netanyahu gela americani e russi: 'No ai confini del '67'»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 15/12/2014, a pag. 19, con il titolo "Netanyahu vola a Roma: 'Non ci ritireremo entro i confini del '67' ", cronaca e commento di Vincenzo Nigro; dal CORRIERE della SERA, a pag. 12, con il titolo "L'israeliano Netanyahu gela americani e russi: 'No ai confini del '67' ", l'analisi di Paolo Valentino.


John Kerry con Benjamin Netanyahu

L'articolo di Vincenzo Nigro e - in parte - quello di Paolo Valentino, contengono una terminologia poco appropriata che delinea una immagine di Israele lontana dalla realtà.
1) Entrambi i giornalisti parlano di "territori occupati" riferendosi al West Bank, ovvero una regione contesa, non "occupata". Infatti, quando Israele, con la guerra difensiva del 1967, ha preso il controllo della regione (delegandolo poi in parte all'Anp dopo gli Accordi di Oslo del 1993), non è subentrata a nessuno stato palestinese sovrano. Uno stato palestinese in Cisgiordania non è mai esistito, e la prima forma di autonomia ottenuta dagli arabi palestinesi è stata proprio quella concessa da Israele nel 1993. Prima del 1967 la Giordania controllava il West Bank, e a nessuno interessava la fondazione di un fantomatico stato palestinese.
2) Nigro inizia l' articolo sostenendo che "
Netanyahu ha scatenato la sua campagna elettorale". Con questa immagine bellica e bellicosa raffigura il leader del Likud con connotati di aggressività gratuiti e infondati. E, di riflesso, Israele come un Paese militarista.

Ecco gli articoli:

LA REPUBBLICA - Vincenzo Nigro: "Netanyahu vola a Roma: 'Non ci ritireremo entro i confini del '67' "


Vincenzo Nigro                                 Matteo Renzi

Bibi Netanyahu ha scatenato la sua campagna elettorale. E in questa prospettiva bisogna leggere le mosse che ha fatto ieri, prima di volare oggi a Roma dove incontrerà il ministro degli Esteri americano John Kerry e il primo ministro italiano Matteo Renzi.

II premier israeliano ha anticipato quello che dirà a Kerry e Renzi: «Israele non si ritirerà nei confini del 1967», che sono i confini considerati il riferimento per un negoziato con i palestinesi. Netanyahu reagisce preventivamente a una mossa diplomatica che i palestinesi hanno avviato alle Nazioni Unite. Con l'aiuto della Giordania (che è stato membro dell'Onu a pieno titolo), l'Autorità nazionale palestinese ha presentato una proposta di risoluzione che impone a Israele di ritirarsi entro due anni all'interno dei confini del cessate-il-fuoco del 1967, di liberare quindi i Territori occupati e di concludere un accordo di pace con i palestinesi.

Netanyahu dice che Israele «resisterà a ogni tentativo di accerchiamento diplomatico che dovrebbero provare a farci all'Onu: questo porterebbe gli estremisti islamici alla periferia di Tel Aviv e nel centro di Gerusalemme!» Fino a pochi mesi fa per i palestinesi sarebbe stato del tutto inutile presentare una risoluzione del genere: gli Usa avrebbero posto il veto senza neppure leggerla. E la stragrande maggioranza dei Paesi europei e occidentali avrebbe votato contro, rendendola risoluzione politicamente debolissima. Oggi le cose sono cambiate: dopo aver contribuito a far fallire i negoziati con i palestinesi mediati proprio da John Kerry, Netanyahu sa perfettamente che l'amministrazione Usa crede che il negoziato debba ripartire. Fra l'altro sia Kerry che Obama sarebbero felicissimi di assestare in campagna elettorale un colpo a Netanyahu (il quale disse che avrebbe votato Mitt Romney), favorendo le altre coalizioni israeliane di centrosinistra che si stanno preparando al voto.

Questa volta, però, Israele ha un altro problema: anche l'Europa inizia a credere che senza pressioni su Gerusalemme non ci sarà mai un accordo con i palestinesi e che, senza accordo, ci saranno nuove guerre, nuove stragi, ancora terrorismo. Per questo gli "Eu3" (Francia, Gran Bretagna e Germania) stanno preparando a loro volta una risoluzione all'Onu, meno radicale di quella palestinese, ma ugualmente chiara ed esplicita: ritiro entro 24 mesi. Come tutte le risoluzioni Onu, nulla sarebbe davvero perduto per Israele. Ma giorno dopo giorno l'opposizione della destra israeliana al negoziato sta isolando politicamente tutto il Paese sempre di più: un'altra risoluzione sarebbe pesante. Kerry ancora non ha deciso: vuole evitare il veto, per non consegnarsi ancora una volta a Netanyahu. Ma sa benissimo che se gli Usa non metteranno il veto all'Onu, Netanyahu avrà fra le mani una stupenda carta da giocare in campagna elettorale: .Obama ci ha tradito, io Bibi sono l'unico che può difendervi!».

CORRIERE della SERA - Paolo Valentino: "L'israeliano Netanyahu gela americani e russi: 'No ai confini del '67' "


Paolo Valentino          Serghej Lavrov

È stato il Medio Oriente — lo stallo del processo di pace, l'aumento delle tensioni tra Israele e Palestina e il rischio di una nuova esplosione di violenza — a occupare gran parte dei colloqui romani di ieri sera tra il segretario di Stato americano, John Kerry, e il ministro degli Esteri russo, Serghej Lavrov. Per l'inviato di Washington è stato l'avvio di una offensiva diplomatica che stamane lo vedrà impegnato negli incontri con il presidente del Consiglio Matteo Renzi e soprattutto con il premier israeliano, Benjamin Netanyahu. In serata Kerry volerà a Parigi, dove vedrà i ministri degli Esteri francese, tedesco e l'Alto Rappresentante per la politica estera della Ue, Federica Mogherini. Mentre domani a Londra incontrerà il capo negoziatore palestinese Saeb Erekat e una delegazione della Lega Araba.

All'origine dell'attivismo americano è la preoccupazione di voler disinnescare il potenziale conflitto che una serie di risoluzioni circolate in queste settimane alle Nazioni Unite rischiano di far deflagrare. È stata la Giordania a farsi promotrice di un testo che chiede a Israele di ritirarsi entro due anni sui confini del 1967. I palestinesi presenteranno mercoledì la bozza di risoluzione all'Onu in cui chiedono la fine dell'occupazione e il ritiro da tutti i territori occupati nella Guerra dei sei giorni. Un'altra bozza di risoluzione, questa sponsorizzata da Francia, Gran Bretagna e Germania, definisce invece un calendario di ritiro vincolante ma non specifico.

Contro questo scenario si è scagliato ieri Netanyahu, annunciando che farà di tutto per impedirlo: «Dirò a entrambi che Israele è un bastione solitario contro l'ondata crescente dell'estremismo islamico. Questo è un tentativo di costringerci a un ritiro entro due anni sui confini del 1967. Ma ciò significherebbe portare gli estremisti islamici alle porte di Tel Aviv e nel cuore di Gerusalemme: sia chiaro che non lo permetteremo». Israele non nasconde di aspettarsi che, come spesso è accaduto in passato, gli Stati Uniti usino il veto per bloccare l'eventuale pronunciamento del Consiglio di Sicurezza. Ma questa volta non si fa troppe illusioni. Lo stesso ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman, ha detto ieri che Washington «non è molto incline a far ricorso al veto». In verità gli Usa sembrano piuttosto voler attendere gli eventi, cercando di disinnescare le tensioni e convincere Giordania ed europei ad aspettare le elezioni israeliane di marzo, prima di agire all'Onu.

«Credo che il Medio Oriente sia il tema cruciale e occorre impedire che la situazione peggiori ulteriormente. I nostri Paesi devono lavorare insieme per evitarlo», ha detto Serghej Lavrov al suo arrivo a Villa Taverna, residenza dell'ambasciatore americano a Roma e sede dei colloqui. «Kerry — ha detto una fonte del Dipartimento di Stato — è a Roma per ascoltare e sollecitare gli attori e quanti hanno influenza nella regione, impegnandosi quanto più possibile a lavorare verso una prospettiva comune». ll segretario di Stato e l'inviato di Mosca hanno naturalmente parlato anche di Ucraina. Lavrov ha espresso l'irritazione di Mosca, di fronte ai voto con cui il Congresso Usa ha autorizzato nuove sanzioni e una fornitura d'armi al governo di Kiev. La decisione non è vincolante per Obama, che può scegliere di non renderla esecutiva. Ma a un nuovo elemento di tensione, proprio nel momento in cui l'Amministrazione punta a una de-escalation della crisi, spingendo per l'applicazione degli accordi di Minsk. Tanto più che la tregua, annunciata martedì tra il governo e i separatisti russi, è stata rispettata.

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