Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 05/12/2014, a pag. 16, con il titolo "Podemos sotto accusa: 'Il leader Iglesias finanziato dall'Iran' ", la cronaca di Gian Antonio Orighi; da CORRIERE della SERA - SETTE, a pag. 52, con il titolo "Sanzioni: paga l'ambiente", il commento di Stefano Torelli.
L'Iran non si limita più ad appoggiare e finanziare il terrorismo tradizionale - quello di Hamas, di Hezbollah e dei Fratelli Musulmani- ma finanzia partiti che minano dall'interno la stabilità stessa dell'Europa. E' un ulteriore pericolo di cui essere consepevoli. Facendo attenzione se lo stesso trattamento non viene praticato verso partiti di altri paesi europei.
Ecco gli articoli:
L'Iran finanzia il leader di Podemos
LA STAMPA - Gian Antonio Orighi: "Podemos sotto accusa: 'Il leader Iglesias finanziato dall'Iran' "
Pablo Iglesias, leader di Podemos
Bufera su Podemos, il partito di sinistra nato nel gennaio scorso dal movimento degli Idignados, quarto alle Europee di maggio con il 7,9% dei voti e primo nelle intenzioni di voto (17,6%). Enrique Riobóo, ex socio del segretario di Podemos, Pablo Iglesias, ha rivelato che il leader politico riceverebbe 3 mila euro alla settimana dal governo iraniano per condurre il programma Fort Apache sulla televisione Hispan Tv, emittente in spagnolo degli ayatollah di Teheran. Non solo: Iglesias avrebbe preteso dall’ex socio un «pizzo» mensile di 2 mila euro. Di più: voleva comprare la tv di Ribóo, Canal 33, con i soldi del governo socialista venezuelano.
Iglesias, 36 anni, eurodeputato e professore di Scienze Politiche all’Università Complutense di Madrid, grande comunicatore, deve la sua popolarità soprattutto alla sua attività televisiva con La Tuerka, che va in onda online sul giornale di sinistra «Público» e Fort Apache su Hispan tv. Quest’ultima trasmette dal 2011 e venne inaugurata a Madrid nientemeno che dall’ex presidente iraniano Ahmadinejad, per «rinforzare i vincoli con l’America Latina». Un interesse condiviso dal leader di Podemos, che fa parte del cda di Ceps, un think tank che ha collaborato con i governi progressisti di Venezuela (3,7 milioni di euro in consulenze, tra il 2002 ed il 2012), Ecuador e Bolivia.
Secondo l’intervista che Riobóo ha concesso a «El Economista», fu proprio Iglesias a convincerlo a trasmettere, sulla sua emittente, «Fort Apache». «Nell’ottobre del 2012 disse che dovevamo parlare con gli iraniani, che io potevo incassare 6 mila euro per trasmetterlo in Spagna», racconta l’ex socio. «Per la mediazione Iglesias volle una commissione del 40%. Io ricevevo 5 mila euro mensili e ne giravo a Iglesias 2».
Nel 2013 Iglesias, che ha sempre lodato lHugo Chávez, avrebbe persino proposto a Riobóo di comprare Canal 33. «Mi dissero che c’era dietro il governo del Venezuela. Ma morì Chávez,. Serviva 1 milione e il numero 2 di Podemos, Monedero, tornò solo con 200 mila euro».
CORRIERE della SERA - SETTE - Stefano Torelli: "Sanzioni: paga l'ambiente"
La tesi di Torelli è che se l'Iran avesse il nucleare, l'ambiente ne trarrebbe vantaggio. Una posizione che non tiene conto del pericolo che per il mondo intero deriverebbe da un Iran con la bomba atomica. L'equilibrio ambientale si può raggiungere senza il nucleare. La propaganda di Torelli continua indisturbata.
Stefano Torelli
Il 24 novembre scorso sarebbe dovuto essere il momento del 'big deal": l'accordo sul programma nucleare iraniano, tra l'Iran e il cosiddetto "5+1", vale a dire i cinque Paesi facenti parte del Consiglio di sicurezza dell'Onu, più la Germania. L'accordo avrebbe messo fine ad anni di tensioni e sarebbe stato il primo passo verso una distensione delle relazioni tra Teheran e la comunità internazionale. Sarebbe, appunto, perché così non è stato e l'ultimatum è stato ulteriormente rimandato (era già successo durante il 2014).
Ciò vuol dire che, per adesso, anche parte delle sanzioni imposte all'Iran in risposta al suo programma di arricchimento dell'uranio restano ancora in piedi. Cosa vuol dire? Sebbene sia uno degli aspetti meno trattati di questa vicenda, vuol dire che a pagarne le conseguenze più gravi sarà l'ambiente. Proprio così, perché il regime di Teheran, per mitigare l'effetto delle sanzioni, ha intrapreso una serie di azioni che però si dimostrano nocive per l'ambiente, con buona pace delle lotte ambientaliste e dei trattati firmati da altri Paesi, vedi quello tra Cina e Stati Uniti siglato solo poche settimane fa.
Qualche esempio: per sopperire alle mancate importazioni di petrolio raffinato (l'Iran importava nel 2010 il 40% di tutto il petrolio che consumava), Teheran ha incrementato i propri impianti di raffineria, trasformando in alcuni casi le fabbriche petrolchimiche in impianti di raffineria, altamente inquinanti. Senza contare che il petrolio iraniano è dieci volte più inquinante di quello che importava. Per garantire cibo ed energia ai propri cittadini, ha progettato una serie di infrastrutture idriche che danneggiano l'ambiente e mettono a repentaglio la biodiversità. L'Iran è divenuto il terzo costruttore di dighe al mondo e i suoi fiumi e laghi si stanno prosciugando, e la desertificazione raggiunge livelli preoccupanti. Questo, paradossalmente, proprio nel Paese in cui si era siglata nel 1971 la Convenzione di Ramsar, per la salvaguardia delle zone umide.
E poi l'inquinamento: secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, tra le dieci città più inquinate al mondo, quattro sono iraniane. Ogni anno si diagnosticano 70.000 casi di tumore, divenuto la seconda causa di morte in Iran, seguito dalle malattie respiratorie (altro effetto dell'inquinamento?). Anche queste sono le conseguenze delle sanzioni, ma attenzione: il pericolo non è solo per l'Iran, dal momento che l'inquinamento ambientale non conosce confini territoriali.
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