Riprendiamo da LIBERO di oggi, 05/12/2014, a pag. 13, con il titolo "In Libia ha vinto il jihad, una Hamas vicina a noi", l'intervista di Francesco Borgonovo a Arturo Varvelli, analista dell'Ispi.
Francesco Borgonovo Arturo Varvelli
Smboli del gruppo terroristico libico Ansar al-Sharia
Il Califfato fondato a Derna con le insegne dell'Is? Forse non è il male peggiore che alligna nei pressi dell'Italia. Un altro straordinario risultato delle «primavere arabe», che avrebbero dovuto trasformare i Paesi del Nord Africa nella culla della democrazia e invece li hanno consegnati nelle mani dei terroristi. Se Tunisia e Algeria sono tra gli Stati che hanno fornito più combattenti stranieri all'Is, la Libia è oggi un territorio in cui regna il caos, facile preda degli estremisti.
Un quadro della situazione lo fornisce Arturo Varvelli, analisti dell'Ispi. «Storicamente la Cirenaica, e la città di Dema in particolare, sono sempre stati i luoghi da cui il regime di Gheddafi ha avuto i maggiori problemi», spiega. «Erano il territorio più lontano, più sfuggente rispetto al sistema di gestione clanico del Colonnello. Il quale ha sempre governato alternando bastone e carota, però diciamo che nel caso della Cirenaica ha utilizzato più il bastone. E questo ha fatto sì che nell'area si creasse una sorta di scuola jihadista». Un tipo di jihadismo particolare, in cui «la teologia non rivestiva il ruolo più importante. Potremmo parlare di una specie di jihadismo funzionale. L'unico modo per affrancarsi dal regime di Gheddafi era farsi jihadisti e andare a combattere sul fronte afghano e su quello iracheno. Quando vai all'estero, succede che torni maggiormente radicalizzato, capace magari di creare nuove cellule terroristiche. E' esattamente quello che è successo con l'Is. Centinaia di libici della Cirenaica si sono trovati a combattere con lo Stato islamico in Siria».
È il caso del battaglione al-Battar, «che ha combattuto prima in Siria e poi a Mosul. Quindi, dopo aver accumulato una forte expertise militare, il battaglione è rientrato in patria. Si tratta dei cosiddetti jihadisti di ritorno. Sono tornati perché in Libia c'era una nuova battaglia da combattere». Ad accelerare il processo che ha portato gli islamisti - dell'Is e di altre sigle - a rafforzarsi, è stato anche l'ingresso sul campo di battaglia dell'ex generale Khalifa Haftar, che mi è messo a capo delle milizie anti islamiche. E ha contribuito ad alzare il livello dello scontro.
Oltre allo Stato islamico che agisce a Derna, in Libia è attiva una formazione anche più pericolosa (almeno a livello locale). Si tratta di Ansar al-Sharia, a sua volta formata da molti reduci di Afghanistan e Iraq. «L'11 settembre 2012 Ansar al-Sharia ha ucciso l'ambasciatore americano Chris Stevens. Non è una cosa da poco. Ansar al-Sharia sta fronteggiando le forze di Haftar a Bengasi. Non vanno sui giornali perché non sono l'Is e non vanno di moda, ma sono la minaccia principale in Libia».
Il motivo? Ansar al-Sharia fa presa sulla popolazione. Si sostituisce allo Stato laddove non c'è. «Costruisce ospedali, fa collette di denaro che poi dà ai bisognosi, istituisce check point in strada contro la delinquenza comune. Poi gestisce i rifiuti, che è un'attività importantissima in un Paese in cui lo Stato manca. Si occupa di ospedali (anche ospedali per donne) e scuole. Fornisce un'assistenza sociale che in Libia manca completamente. In stile Hamas». Il pericolo è proprio questo: «Che si crei una forza militare e politica, una sorta di nuova Hamas, con cui dovremo fare i conti». Una nuova Hamas a pochi passi dall'Italia. Dotata, per di più, del sostegno popolare che il Califfato non è ancora riuscito a procurarsi.
«A me sembra che nell'Is ci sia meno capacità assistenziale e più violenza», dice Varvelli. «Da parte loro vediamo le decapitazioni, l'istituzioni di tribunali islamici. Non penso che in Libia e anche in Cirenaica ci sia posto per queste ideologie estreme, non c'è un retroterra culturale in cui possano attecchire». Però gli uomini del Califfato hanno i loro fan. «Quello dello Stato islamico è un marchio forte soprattutto verso i giovani», dice Varvelli. «I vecchi miliziani libici erano più vicini ad al-Qaeda». All'organizzazione di Bin Laden apparteneva per esempio Abu Anas al-Libi, stragista accusato di aver partecipato agli attentati del 1998 contro le ambasciate Usa di Tanzania e Kenya (oltre 200 morti), arrestato il 5 ottobre 2013.
Ecco la Libia. Un Paese in pezzi dopo l'intervento militare europeo. «Come si poteva pensare la Libia potesse sopravvivere a se stessa e a Gheddafi, visto che con il rais cadevano tutte le istituzioni?», conclude Varvelli. «Ci sono state tre tornate elettorali, ma nessun processo di costruzione dello Stato. Non abbiamo aiutato i libici a edificare una nazione. E questo è il risultato».
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