Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 04/12/2014, a pag. 15, con il titolo "L'Europa deve seguire la ricetta americana: con l'acquisto di bond la ripresa sarà possibile", l'intervista di Federico Rampini a Stanley Fischer, numero due della Federal Reserve.
Fischer è riuscito a mantenere Israele fuori dalla crisi economica che ha colpito tutte le democrazie occidentali. Alla Federal Reserve sta facendo bene, forse sarebbe il caso che i nostri economisti seguissero le sue orme.
Federico Rampini Stanley Fischer
La Federal Reserve
«Il mio ex allievo Mario Draghi è in una situazione molto difficile, ma gli acquisti di bond hanno funzionato qui in America, e funzioneranno nell’eurozona se la Bce si deciderà a farli. L’altra ricetta americana vincente: la rapida ricapitalizzazione delle nostre banche è stata decisiva ». Chi parla ha su Draghi un ascendente molto particolare. Stanley Fischer oggi è il numero due della Federal Reserve, la banca centrale più potente del mondo, al timone di un’economia americana che è l’unica locomotiva globale. Ma Fischer è stato tante altre cose: banchiere centrale d’Israele, numero due del Fondo monetario, chief economist alla Banca mondiale, e prima ancora professore al Massachusetts Institute of Technology (Mit) negli anni in cui vi studiava il futuro presidente della Bce. Fischer guidò Draghi nella preparazione della sua tesi. Oggi il vicepresidente della Fed è insolitamente esplicito nei consigli che manda a Draghi. L’occasione: la conferenza sul 100esimo anniversario della Fed, al Council on Foreign Relations di New York.
Lei ebbe come allievi due futuri banchieri centrali, Ben Bernanke e Mario Draghi. E’ soddisfatto del risultato?
«Quando Draghi era il mio studente, il suo prof più importante di politica monetaria era Franco Modigliani, e tutti abbiamo imparato tanto da Franco. Credo che al Mit abbiano assorbito delle lezioni di pragmatismo. Bernanke si è comportato eccezionalmente bene di fronte alla crisi finanziaria del 2007-2008».
Nel 2008 la Federal Reserve aveva in bilancio 1.000 miliardi di dollari di titoli. Oggi è salita ben oltre i 4.000 miliardi. S’invoca un intervento simile nell’eurozona, si chiede a Draghi di fare la stessa cosa che voi avete fatto qui. Funzionerebbe?
«Certo che ha funzionato negli Stati Uniti. Abbiamo visto una ripresa vera, l’economia americana è tornata a crescere stabilmente a ritmi compresi fra il 2% e il 3%. Non abbiamo deflazione. Acquisti di bond e tasso zero hanno funzionato. Draghi deve affrontare una posizione doppiamente difficile: sia per la situazione economica dell’eurozona, sia riguardo alla capacità decisionale della Bce. Ma gli stessi argomenti a favore del “quantitative easing” (acquisti di bond) che hanno dimostrato la loro efficacia sull’economia americana, valgono per l’Europa. Se la Bce si muove in quella direzione, avrà effetti positivi. Naturalmente non ci sono bacchette magiche. Il “quantitative ea- sing” non è l’unica cosa che va fatta».
Come descriverebbe gli obiettivi centrali della Fed?
«Abbiamo un duplice compito: perseguire la massima occupazione; e una stabilità dei prezzi che viene definita come un’inflazione al 2%. Vi si aggiunge il terzo obiettivo che è assicurare la stabilità del sistema finanziario. Qui abbiamo fatto molto. Le misure che abbiamo preso per aumentare la capitalizzazione delle banche sono state decisive. L’economia Usa non sarebbe dove si trova oggi, senza la velocità con cui la Fed ha operato gli stress test all’inizio del 2009, poi ha costretto le banche a ricapitalizzarsi. Gli europei devono ancora farlo adesso, quello che abbiamo fatto noi».
L’Arabia saudita, rinviando i tagli della produzione Opec e quindi prolungando il calo del petrolio, ha “regalato” al resto del mondo l’equivalente di un taglio d’imposte di 1.000 miliardi di dollari. Ma questo aumenta il rischio-deflazione?
«E’ una questione complicata. Da un lato è preoccupante non raggiungere l’inflazione del 2%. Con l’inflazione a zero dovresti spingere i tassi d’interesse sotto zero. Ma se si guarda al petrolio, di questo non mi preoccupo. E’ una dis-inflazione temporanea, che rende i consumatori di petrolio più ricchi, quindi fa bene alla crescita. Se c’è una buona deflazione e una cattiva deflazione, il calo del petrolio rientra nella prima categoria».
Uno dei macro-squilibri presenti nel 2007 era quello delle bilance dei pagamenti: troppi surplus in Asia, troppo deficit in America; troppo surplus in Germania, troppi deficit in altri paesi dell’eurozona. Questi squilibri ci sono ancora?
«Meno di quando cominciò la Grande Recessione. Il deficit estero degli Stati Uniti è diminuito di molto, e l’avanzo della Cina è anch’esso molto ridotto da allora. Per quanto riguarda gli squilibri fra la Germania e altri paesi europei, c’è un problema perché la parità di cambio è fissa, non si possono aggiustare gli squilibri con le svalutazioni all’intero dell’area euro. Ma un aggiustamento è in corso, Spagna e Grecia hanno ridotto i propri deficit con l’estero».
La crescita globale rallenta. Malgrado la ripresa americana, la velocità dello sviluppo non è quella di una volta. Perché?
«Alcuni settori qui restano deboli, come l’edilizia: alla luce di quel che accadde nel 2007-2008 non è sorprendente che non si sia ancora ripresa del tutto. Lo studio Reinhart-Rogoff ha dimostrato che la guarigione dopo una crisi finanziaria è più lenta rispetto alle recessioni ordinarie. Dietro la crescita lenta c’è un declino nell’aumento della produttività, e questo è un problema globale».
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