Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 03/12/2014, a pag. 17, con il titolo "La scuola simbolo bruciata da fanatici contro la pace", il commento dello scrittore arabo-israeliano Sayed Kashua.
Una donna araba al voto in Israele, dove tutti i cittadini hanno i medesimi diritti. Per questo la maggior parte degli arabi israeliani preferisce vivere in Israele che in qualsiasi altro Stato arabo.
Sayed Kashua descrive la vita degli arabi in Israele come segnata dalla discriminazione da parte degli ebrei. Quello che scaturisce è il ritratto di un Paese razzista in cui vige un sistema di apartheid.
E' vergognoso che simili opinioni - queste sì davvero razziste - trovino spazio su un quotidiano nazionale come Repubblica. Se Israele è un Paese come Kashua sostiene che sia, come mai la quasi totalità degli arabi israeliani, stando a tutti i frequenti sondaggi sul tema, non cambierebbe mai il proprio passaporto con quello di qualsiasi altro Stato arabo, e meno che mai con quello dell'ANP?
Suggeriamo noi la ovvia risposta: perché Israele garantisce libertà, diritti e assistenza a tutti i propri cittadini, che siano ebrei o cristiani, arabi musulmani o drusi, beduini o circassi. Li garantisce anche a Sayed Kashua, che forse non li meriterebbe. Kashua è in Usa per un anno sabbatico, ma all'inizio lo difinì su Haaretz "esilio", mentre dall'Illinois continua regolarmente a collaborare al quotidiano israeliano. Inoltre vive con la famiglia a Tel Aviv, non si capisce perchè abbia scritto che manda i suoi figli a scuola a Gerusalemme !
Infine, è importante denunciare l'attacco alla scuola di Gerusalemme e condannare con forza e senza remore l'accaduto. Ma è totalmente sbagliato prendere questo fatto come esempio per descrivere che cosa sia Israele. Siamo certi che Israele, Stato di diritto a differenza di quelli arabi, individuerà i responsabili e li porterà a rispondere delle loro azioni.
Ecco l'articolo:
Sayed Kashua
Lo scorso sabato sera è andata a fuoco la scuola araboebraica “Mano nella Mano”, a Gerusalemme. Due aule di prima elementare sono state completamente distrutte. Ho visto scheletri di seggioline dove bambini ebrei e arabi stavano seduti l’uno accanto all’altro (e dove anche i miei figli erano stati seduti quando frequentavano quella scuola), cappotti semicarbonizzati lasciati in classe dai bambini e libri bruciati in arabo e in ebraico.
«Morte agli arabi» era scritto fra le altre cose sui muri della scuola, «Basta con l’assimilazione» e «Con un cancro non si convive». Chi ha appiccato il fuoco non riesce ad accettare l’idea che alunni arabi ed ebrei possano sedere gli uni di fianco agli altri nella stessa classe, senza distinzioni. Per la prima volta, da quando l’estate scorsa mi sono trasferito con la mia famiglia in Illinois per un anno sabbatico, mi sono rammaricato di non essere a Gerusalemme. Di non poter insistere, nonostante tutto (e forse proprio a causa di questo incendio) a mandare i miei figli a quella scuola insieme ad altri genitori. Mi sono rammaricato di non essere accanto agli insegnanti nell’accogliere i bambini con un rassicurante sorriso e la promessa che andrà tutto bene, che un giorno lo slogan appeso alle pareti delle aule dopo guerra a Gaza — «Arabi ed ebrei rifiutano di essere nemici» — diventerà realtà e che, come viene insegnato loro, l’uguaglianza e la convivenza saranno possibili.
Ma sarà davvero così? È moralmente giusto dare ai nostri figli l’illusione che arabi ed ebrei possano convivere su un piano di parità? Posso davvero guardare i miei figli negli occhi e dire loro che un giorno saranno cittadini di Israele a pieno titolo? Era difficile, se non addirittura impossibile, garantire ai nostri figli l’uguaglianza a livello giuridico anche prima della proposta di legge del governo che decreta che Israele è lo Stato della nazione ebraica. Israele, sin dalla sua creazione, si è posto al servizio esclusivo degli ebrei che vi vivono e, di fatto, anche di quelli che non vi vivono. Viceversa lo Stato di Israele non ha mai voluto essere il mio Paese, non è stato creato per me o per la mia famiglia né per i cittadini arabi che detengono il suo solo passaporto. Io e i miei figli facciamo parte dell’oltre milione e mezzo di cittadini arabi israeliani (da non confondere con i palestinesi di Gerusalemme, della Cisgiordania e della Striscia di Gaza occupate nel 1967) che vive entro la Linea Verde fin dalla sua fondazione nel 1948, costituisce circa il 20 per cento della popolazione, è discriminato rispetto agli ebrei in tutti i settori della vita e deve sopportare enormi disparità. Nessun nuovo insediamento arabo è sorto dopo la creazione di Israele, a fronte di circa 700 ebraici, e l’area di competenza delle municipalità arabe rappresenta meno del tre per cento dell’intero territorio.
L’attuale disegno di legge che stabilisce che “Israele è lo Stato della nazione ebraica” è diretto a garantire che, in caso di conflitto tra il carattere ebraico dello Stato e il principio di uguaglianza, il primo avrà la meglio sul secondo. Dio non voglia che la democrazia garantisca una qualche parità di diritti fra ebrei e non ebrei. «Ancorare per legge» è l’espressione usata dal governo israeliano in riferimento al decreto legge e sta a significare quanto segue: se le cose stanno in ogni caso così, perché non sancirle a livello giuridico? La discriminazione fra arabi ed ebrei in tutti i settori esiste comunque, tanto vale renderla legale. Molti palestinesi con cittadinanza israeliana sono felici di questa proposta di legge. Semplicemente perché, una volta che la legge sarà approvata, l’ineguaglianza non sarà celata dietro alla cortina di fumo di una cosiddetta “democrazia”. Molti pensano che questa legge metterà a nudo “l’etnocrazia” israeliana (una democrazia solo se sei ebreo).
È possibile che la fondazione di uno Stato ebraico fosse indispensabile considerata la terribile storia degli ebrei. Ma è davvero necessario che questo rifugio trasformi milioni di persone in rifugiati indifesi, ostaggi del governo israeliano? Che sia solo ed esclusivamente destinato agli ebrei? Che esseri umani vivano in esso separati a causa della loro etnia? Che scuole che credono nella convivenza vengano bruciate?
Avrei voluto moltissimo essere all’ingresso della scuola bilingue di Gerusalemme questa settimana, accanto ad altri genitori arabi ed ebrei che credono nell’uguaglianza. Avrei voluto moltissimo dire ai miei figli che gli autori di questo gesto sono un piccolo gruppo di stupidi criminali e che un giorno, vedrete, saremo un popolo libero e voi potrete vivere e studiare dove vorrete. Ma non posso farlo. Il primo ministro e le sue leggi razziali mi negano la capacità di sognare un futuro migliore.
(traduzione di Alessandra Shomroni)
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