Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 30/11/2014, a pag.26, con il titolo " Il Medio Oriente diventi una comunità di acqua e energia ", l'intervista di Alain Elkann al principe giordano El Hassan bin Talal.
Alain Elkann El Hassan bin Talal
Questa intervista si è tenuta nella residenza privata di Sua Altezza, a Londra, dove il principe El Hassan bin Talal si trattiene per una settimana prima di recarsi a Roma a una conferenza interconfessionale di musulmani e cristiani e poi a Teheran. Con la consueta gentilezza passa immediatamente al tema della cittadinanza. Nel contesto dei futuri incontri a Roma - il summit dei leader religiosi cristiani e musulmani, ospitato dal Consiglio pontificio per il dialogo inter- religioso - e a Teheran - per la prima conferenza internazionale per unmondo contro la violenza e l’estremismo, che sarà inaugurata dal presidente Hassan Rouhani - Sua Altezza sottolinea l’appello per la giustizia presentato all’Onu: giustizia come mezzo per rafforzare il popolo e dargli voce.
Perché la cittadinanza è così importante?
«Non si tratta di un problema di ricoriconoscimento dei vari gruppi - etnici, confessionali, religiosi - ma di un deficit di cittadinanza. A titolo di esempio: gli arabi di Gerusalemme vivono in una condizione a discrezione del ministero dell’Interno».
La gente le dà ascolto?
«Questa istanza sta infine cominciando ad affermarsi».
Perché la cittadinanza è così importanteper il futuro?
«Si stima che, entro il 2030, 45 milioni di persone si metteranno in marcia per sfuggire alla minaccia dell’aumento di livello del Mediterraneo. Al contrario, in Iran, altri 45 milioni si sposteranno per sfuggire alla siccità. Eppure nessuno è interessato a costruire le infrastrutture necessarie».
Che cosa deve cambiare?
«Bisogna correggere il tiro: dalle bombe e dal petrolio ai cittadini, che sono un vettore di stabilità. Investire sulla dignità umana consentirebbe la creazione di una nuova architettura regionale. Se al Patto di Baghdad del 1955 tra Gran Bretagna, Iraq, Turchia, Iran e Pakistan, e che a un certo punto stava per includere l’India e che Londra stessa sperava comprendesse anche Giordania e Siria, non fosse stato inferto un colpo mortale prima dalla débâcle di Suez e poi dal rovesciamento della monarchia (“la mia famiglia”), con un sanguinoso colpo di Stato nel 1958, potrebbe già esserci un arco di cittadinanza regionale».
Perché prima non c’è stata la volontà politica?
«Il 19 settembre 1946 Churchill tenne un discorso a Zurigo e suggerì che un’organizzazione regionale per l’Europa avrebbe aiutato a plasmare un dignitoso destino per l’umanità».
La «Primavera araba» ha portato un reale cambiamento?
«Gli slogan della Primavera araba erano, appunto, slogan. Piuttosto che la democrazia di per sé la gente cerca pari opportunità per tutti».
Cosa è cambiato da quando ci siamo incontrati l’ultimavolta,un annofa?
«La Giordania conta circa 11 milioni di persone a causa dei flussi di rifugiati: l’anno scorso sul suolo giordano sono nati 32 mila bambini siriani. In mancanza di una politica che li garantisca sono loro i futuri soldati di Da’esh. In fondo la stabilità non riguarda se l’Isis possa essere fermata attraverso gli attacchi aerei, ma è una questione legata alla sostenibilità e all’occupazione. Alla radice c’è una questione di identità e di dignità umana».
E’ favorevole al piano per la Siria dell’inviato dell’Onu Staffan de Mistura?
«Sostengo la proposta per Aleppo, ma vorrei fare un passo avanti, rendendo Aleppo una città aperta, che includa tutte le minoranze».
Per portare la pace dobbiamo prima riconoscere che il mondo è in guerra?
«Ciò a cui stiamo assistendo oggi è una ripetizione del 1914 o, come ha detto Papa Francesco, una Terza Guerra Mondiale “frammentata”. La questione è se una conferenza che includa tutta la regione asiatica occidentale ci consenta di evitare una simile guerra».
E i negoziati tra Israele e Palestina?
«Per quanto riguarda i futuri negoziati - e vale la pena notare che Israele è oggi il quinto maggiore produttore di gas al mondo - è fondamentale costruire una visione e una strategia, una realtà che oggi manca totalmente da tutti i punti di vista».
Quale strategia può cambiare questo statodi cose?
«Ciò di cui abbiamo bisogno non è una politica regionale, ma una politica regionale basata sulla correlazione tra sostenibilità e dignità umana e una filosofia di inclusione: Monnet e Schuman riconobbero che l’Europa aveva una comunità del carbone e dell’acciaio. Noi potremmo fare qualcosa di simile con una comunità dell’acqua e dell’energia».
Che dire della disputa senza fine su Gerusalemme e i luoghi santi?
«Per quanto riguarda Gerusalemme, dovrebbe esserle concesso lo status speciale. Quanto alla Palestina, ci dovrebbe essere un sistema Benelux, cioè una federazione di interessi e risorse tra Israele e il mondo arabo».
Quanto costa lasciare irrisolti tutti questi conflitti?
«Tra gli anni 1991-2010 si sono persi 12 trilioni di dollari in termini di mancate opportunità».
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