mercoledi` 20 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Stampa Rassegna Stampa
28.11.2014 Petrolio: gli equilibri geopolitici che cambiano
Analisi di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 28 novembre 2014
Pagina: 5
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Petrolio, russi e sauditi contro gli Usa»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 28/11/2014, a pag. 5, con il titolo "Petrolio, russi e sauditi contro gli Usa", l'analisi di Maurizio Molinari.


Maurizio Molinari

L’Opec decide di non tagliare la produzione di greggio premiando la strategia saudita di tenere bassi i prezzi per mettere in difficoltà i produttori nordamericani di “Shale Oil”, contando sul sostegno della Russia di Putin. Dall’andamento della sbrigativa riunione dell’Organizzazione dei 12 maggiori produttori di greggio (Opec) a Vienna esce una duplice novità: gli sceicchi di Riad considerano lo “Shale Oil” a stelle e strisce il maggior avversario e per metterlo fuori mercato sono alla guida di una coalizione di pozzi da Hormuz alla Siberia. È la cronaca di quanto avviene dentro e fuori della sede Opec a Vienna che descrive i contenuti del «summit petrolifero più importante del secolo» come alcuni analisti lo definiscono. Il ministro saudita del Petrolio, Ali al-Naimi, inizia la giornata con un comunicato diffuso prima di uscire dall’hotel: «C’è l’accordo con i Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo sul mantenimento della produzione a 30 milioni di barili al giorno». Ovvero: Kuwait, Emirati Arabi Uniti e Qatar fanno quadrato con Riad. Poco dopo, entrando nella sede del summit, al-Naimi ricorda ai reporter in attesa che «c’è convergenza con la Russia». Mosca non appartiene all’Opec ma è uno dei maggiori produttori, teoricamente dovrebbe sostenere un taglio della produzione perché ha bisogno di prezzi alti per equilibrare le finanze pubbliche ma sei giorni prima al Cremlino il ministro degli Esteri Segrei Lavrov ha siglato un patto con il collega saudita Saud Al-Faisal su «crisi regionali e greggio» che include l’avallo alla strategia di Riad. Il sostegno di Mosca conta per Ali al-Naimi perché è la carta che, al tavolo del summit, gli consente di neutralizzare l’opposizione dell’Iran, favorevole assieme a Iraq, Algeria, Venezuela e Libia a tagliare la produzione di 1 o 2 milioni di barili. Mosca è l’alleata strategica di Teheran in Medio Oriente - dalla difesa di Bashar Assad in Siria, al negoziato sul programma nucleare ancora in corso fino al patto per la fornitura di otto reattori - e gli ayatollah non vanno contro il Cremlino. La seduta del summit Opec dunque si conclude senza storia - assicura chi siede nella sala - e poco dopo le 16 l’intesa è ufficiale: «La produzione resta stabile, niente vertici straordinari fino a giugno». Immediata la reazione sui mercati con il Brent che perde 6 dollari, attestandosi a 71,25 a barile. «E’ una grande decisione» commenta Ali al-Naimi sfoggiando il sorriso del vincitore mentre da Mosca è Leonid Fedun, vicepresidente del gigante energetico Lukoil, a chiarire i motivi della scelta di Lavrov: «La politica Opec porterà al collasso la produzione di Shale Oil americano». Il riferimento è al boom di estrazione di greggio estratto con la tecnologia del “fracking” in Usa e Canada che sta consentendo al gigante nordamericano di emanciparsi dalla dipendenza dal Golfo fino ad accarezzare il miraggio dell’indpendenza energetica. Per gli sceicchi del Golfo significa perdere l’acquirente più importante e la contromossa sono i prezzi bassi perché, come spiega Olivier Jakob di “Petromatrix”, «l’interesse dell’Opec è rallentare lo sviluppo dei progetti energetici in Nordamerica» che diventano fuori mercato se il prezzo dei barile si avvicina a 60 dollari. Non a caso il ministro del Petrolio kuwaitiano, Ali Saleh al-Omair, e quello iracheno, Adel Abdel Mehdi, parlano di un «limite minimo di 60-65 dollari» che consentirà «un nuovo equilibrio negli anni a venire sopra gli 80 dollari». È la scommessa di Riad e Mosca: trasformare lo Shale Oil americano in un prodotto troppo caro al fine di prendere, assieme, le redini del mercato dell’energia globale. Per gli sceicchi di Riad significa fare lo sgambetto all’alleato Usa, partner privilegiato nel petrolio dai tempi di Franklin D. Roosevelt, mentre per Mosca è quella che alcuni reporter arabi definiscono “vendetta ucraina”: la risposta di Putin alla scelta di Washington di giocare la carta delle sanzioni economiche per mettere alle strette la Russia.

Per inviare la propria opinione alla Stampa, telefonare 011/65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


lettere@lastampa.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT