Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 07/11/2014, a pag.47, con il titolo "La versione di Dova'le comico bambino ", la recensione di Wlodek Goldkorn all'ultimo libro di David Grossman.
Wlodek Goldkorn David Grossman
Ogni cosa tocchi David Grossman, anche la più tragica, disperante, o irrimediabilmente volgare, diventa poesia. C’è sempre nel suo modo di raccontare lo stupore di un bambino. Così ogni parola che lo scrittore israeliano mette in pagina si trasforma in una sorta di metalinguaggio, perché non solo comunica lo stato d’animo dell’autore, ma libera l’immaginazione del lettore, gli suggerisce di poter vivere altre vite fantasiose in mondi altrimenti inaccessibili .
Ma, attenzione, alla fine tutta questa bellezza, tutto questo carnevale di colori, umori, profumi, costringe ciascuno di noi a fare i conti con la propria biografia e le proprie colpe, con l’idea che l’altro è (spesso) l’inferno. E anche a renderci consapevoli che la vera sfida di ciascun umano è convivere con la certezza della morte. Del resto, in questa oscillazione tra fantasia e realtà, anzi in questa trasfigurazione della realtà in fantasia, sta il cuore di ogni letteratura degna di questo nome.
Mondadori manda ora in libreria il nuovo romanzo di Grossman "Applausi a scena vuota" , tradotto da Alessandra Shomroni.
Qui Grossman va oltre, non solo stupisce, ma rovescia la prospettiva con cui guarda a racconta il mondo. Il protagonista è Dova’le, diminutivo di Dov che in ebraico significa orso, ed è un comico. Ma è un comico sgraziato, scorbutico, talvolta pericoloso per gli altri, come può essere appunto un orso. Da bambino usava camminare sulle mani, con la testa in giù; il suo è davvero un universo sottosopra. E lo è anche per come esercita il mestiere. Deve far ridere Dova’le, ma come? Lo troviamo fin dall’inizio a far spettacolo in una sala a Netanya. Netanya è una cittadina a nord di Tel Aviv. È un luogo di provincia: piccola borghesia volgare alla ricerca di divertimento a buon prezzo, magari con barzellette razziste sugli arabi, sessiste sulle donne e sui gay e con battute su come quelli della sinistra siano altezzosi e noiosi.
Il politicamente scorretto come valvola di sfogo per esprimere le peggiori pulsioni, un sentire comune cinico e fascista. Da questo punto di vista, il libro è anche un romanzo politico, che descrive una certa deriva del linguaggio dominante nello Stato degli ebrei.
Ma ecco, che con un vero colpo di teatro Grossman cambia la scena. Per una serie di circostanze, prima di tutto a causa della presenza in sala di un giudice, l’io narrante del romanzo, amico d’infanzia del comico, ma anche perché tra il pubblico c’è una donna che l’ha conosciuto come un “bravo bambino” compassionevole e sentimentale, Dova’le muta registro. Si libera dalla maschera dell’uomo capace di vendere la mamma per una battuta e comincia a raccontare la sua vera storia. La gente protesta, molti lasciano la sala, ma rimane un nucleo duro di spettatori. Suggerisce Grossman: c’è sempre qualcuno disposto ad ascoltare, e grazie a questa voglia di sentire l’altro possiamo, nonostante tutto, avere una speranza nel futuro e anche la certezza di capire chi siamo davvero. Lasciamo scoprire la trama del libro al lettore. L’importante è sapere che Grossman, giunto all’età di 60 anni, ha voluto riassumere e riportare all’essenza tutta la sua produzione letteraria e i temi toccati in altri libri.
In ordine. C’è il tema della Shoah, sviluppato in Vedi alla voce amore (1986). I genitori di Grossman a quei tempi vivevano nella Palestina governata dai britannici, non hanno quindi toccato con mano la catastrofe europea. Nonostante questo, o forse per questo, nessun altro autore della sua generazione ha avuto una simile capacità di elaborare e raccontare l’inenarrabile, di far capire e sentire come quel trauma faccia parte del vissuto di ciascun ebreo. Ecco, la madre di Dova’le è una superstite di un Lager e ne è uscita fuori, praticamente muta e incapace di orientarsi nella realtà. Una metafora con cui Grossman vuol dire: certe cose sono oltre i limiti dell’immaginazione. C’è poi la questione della debolezza fisica del bambino e delle paure infantili, presente nel Libro della grammatica interiore (1991), dove l’adolescente Aharon scopre che sono le parole e la sintassi, la lingua insomma, a dargli l’identità, ed è la grammatica (interiore) a fornire la base etica dell’esistenza. C’è un’eco del libro per ragazzi Ci sono i bambini a zigzag ( 1994), dove l’adolescenza è narrata da un adulto. E ancora, la moglie defunta del giudice (lui si sente colpevole e ne rimane innamorato e incapace di vivere) in Applausi a scena vuota , si chiama Tamara, come la ragazza eroinomane, salvata invece dall’eroe di Qualcuno con cui correre .
Applausi a scena vuota parla infatti, e molto, del senso di colpa, della nostra scarsa adeguatezza a fronteggiare certe situazioni; il giudice giudica se stesso da ragazzo e si pente. Il pentimento in ebraico si dice “teshuva”. Vuol dire ritorno, ma pure risposta. Secondo la tradizione è un sentimento che precede la creazione stessa dell’universo ed è in grado di cambiare non solo il nostro presente, ma pure il passato. Grossman tra le righe del libro, lo dice.
Perché Applausi a scena vuota è una meditazione su come, in fin dei conti, la vita prevalga sulla morte. Dova’le, da bambino è stato sottoposto a una prova estrema: doveva decretare (nella sua mente) una condanna a morte. Raccontando questa esperienza al pubblico, riesce a tornare il “bravo bambino”, un essere che vuole mantenere la capacità di stupirsi e di stupire il mondo. O se vogliamo, torna in mente Wasserman, un personaggio di Vedi alla voce amore . Scrittore, prigioniero di un lager, non è capace di morire, nonostante i tedeschi cerchino di ammazzarlo.
Perché una buona narrazione, secondo lo scrittore, è in grado di ricreare la vita. Grossman ha perso un figlio in una guerra cui si era opposto, ma nelle interviste e in privato ripete sempre: «Scrivo perché mi rifiuto di essere una vittima».
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