Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 07/11/2014, a pag.26, con il titolo "Martirio dei cristiani", il commento di Mauro Magatti, docente all'Università cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Bena fa Magatti a rimproverare l'Occidente, peccato però che sorvoli sulla cause, che stanno tutte nel comportamento delle Istituzioni cattoliche, massima fra tutte, il Vaticano. Le parole del Papa, e da lui a scendere, sono tutte ricolme di amore, fratellanza e dialogo verso chi i cristiani perseguita e uccide. Ne risulta difficile l'ascolto, e quindi la comprensione, da parte della pubblica opinione.
Non ne è esente nemmeno lo stesso Magatti, quando scrive " Intanto si tratta di casi in cui i cristiani sono una minoranza nelle mani di una maggioranza inquieta " Maggioranza inquieta ? Caro Malaguti, se non scrive islamica, neanche i lettori del Corriere ci capiranno una mazza. La scelta di quell'aggettivo, inquieta, fa capire quanto il mondo cattolico tema la sola idea di scrivere la parola giusta.
Le perdoniamo, cristianamente perchè lei non ci fraintenda, l'aver ignorato Israele, l'unico Paese in Medio Oriente dove i cristiani sono liberi e in crescita, potendo vivere, come tutti i cittadini di Israele, pienamente la propria fede.
Ecco l'articolo
Mauro Magatti
I due giovani sposi bruciati vivi in Pakistan e la condanna a morte per blasfemia di Asia Bibi, la contadina madre di cinque figli, sono storie così drammatiche da essere riuscite a ottenere spazio sui principali media internazionali. Ma la persecuzione dei cristiani nel mondo è un fenomeno che, pur avendo raggiunto dimensioni impressionanti, non riesce a scaldare il cuore dell’opinione pubblica occidentale.
A richiamarci alla realtà che si nasconde dietro i casi di cronaca sono due autorevoli pubblicazioni in uscita proprio in questi giorni. Si tratta della edizione italiana de Il libro nero della condizione dei cristiani nel mondo , curato da Jean-Michel di Falco, Timothy Radcliffe e Andrea Riccardi e Il rapporto sulla libertà religiosa nel mondo di Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs), una fondazione di diritto pontificio. Entrambi concordano sulla vastità del fenomeno: almeno 100 milioni di cristiani sono perseguitati nel mondo, mentre per le uccisioni la stima più prudente (del ricercatore tedesco Thomas Schirrmacher) parla di 7 mila persone all’anno. Cifra che altre fonti, usando dati e criteri diversi, ritengono che andrebbe moltiplicata per dieci. La situazione sta diventando così grave che lo stesso papa Francesco è tornato sulla questione definendola «peggiore di quella dei primi secoli». E per quanto forme di intolleranza religiosa si possano trovare in tutto il mondo, è fuori discussione che i cristiani rappresentino oggi la confessione più perseguitata del pianeta.
Le ragioni che spiegano la recrudescenza di questo fenomeno sono molteplici. Intanto si tratta di casi in cui i cristiani sono una minoranza nelle mani di una maggioranza inquieta. In un momento storico di grande instabilità, soprattutto nei Paesi che sono agitati da grandi questioni irrisolte (economiche, sociali, politiche, culturali), basta un piccolo episodio per accendere la miccia della violenza contro chi mette in discussione, semplicemente con la propria presenza, l’integrità del gruppo. Come la storia europea ci insegna — da noi furono gli ebrei a trovarsi in questa scomoda posizione — la minoranza diventa il capro espiatorio contro cui si scatena la violenza di un ordine sociale che, in realtà, è messo in discussione dal processo di modernizzazione.
Le persecuzioni contro i cristiani non a caso si concentrano in Africa, in Medio Oriente e in Asia. Regioni che stanno attraversando una profonda trasformazione e dove la religione rimane impastata con la politica. Così che la violenza contro i fedeli di un’altra fede — a dispetto del comandamento biblico che ricorda di non piegare ai propri fini il nome di Dio — viene strumentalizzata per gli scopi più diversi. Al fondo c’è la mancanza di quel lungo e problematico processo di secolarizzazione che abbiamo conosciuto in Occidente e che nel corso dei secoli ha separato sfera politica e sfera religiosa. E proprio qui sta il punto che dovrebbe interessarci. Nel mare delle notizie quotidiane, le persecuzioni religiose non hanno la forza per raggiungere e mobilitare l’opinione pubblica. I fatti sono troppo lontani e il tema, tutt’al più, si pensa debba interessare chi è credente.
La freddezza dell’opinione pubblica si traduce nella ignavia della politica. Non risulta alcuna iniziativa significativa sul piano internazionale che metta a tema una questione che ha dimensioni enormi. Ma possono le democrazie avanzate disinteressarsi del problema? La risposta è no. Prima di tutto per ragioni umanitarie. I morti per la libertà religiosa non valgono meno di chi perde la vita per la negazione di altri tipi di diritti. Ma soprattutto per ragioni legate al loro futuro. Negli anni scorsi sono state combattute, inutilmente, delle guerre per esportare la democrazia. Ma la democrazia, per definizione, non si può esportare. Essa cresce solo dove ci sono le condizioni adatte. Una delle quali è la libertà religiosa, che comporta lo scollamento della politica dalla religione.
Per questo l’Occidente sbaglia a non porre all’ordine del giorno delle istituzioni internazionali la questione della libertà religiosa. E a maggior ragione può l’Europa — che proprio nel nome del pluralismo fa lo sforzo di aprirsi a tutte le religioni, a partire dall’Islam — sottrarsi dallo svolgere un ruolo di tutela e di stimolo sul piano internazionale?
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