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La Repubblica Rassegna Stampa
03.11.2014 Trafugata l' Arbeit Macht Frei del lager di Dachau
Cronaca di Andrea Tarquini, intervista a Efraim Zuroff, direttore del Centro Simon Wiesenthal

Testata: La Repubblica
Data: 03 novembre 2014
Pagina: 15
Autore: Andrea Tarquini
Titolo: «Dachau, furto shock: portata via l'insegna all'ingresso del lager - 'Vogliono cancellare un simbolo, l'Europa protegga le minoranze'»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, a pag. 15, con il titolo "Dachau, furto shock: portata via l'insegna all'ingresso del lager", la cronaca di Andrea Tarquini; con il titolo "Vogliono cancellare un simbolo, l'Europa protegga le minoranze", l'intervista di Andrea Tarquini a Efraim Zuroff, direttore del Centro Simon Wiesenthal.

L'ingresso del lager di Dachau, presso Monaco di Baviera

Andrea Tarquini
Lo stesso crimine, cinque anni dopo. Nel dicembre 2009 accadde ad Auschwitz, ieri hanno colpito a Dachau. Criminali ignoti hanno divelto e rubato dal portone metallico d’ingresso del più antico ex campo di sterminio nazista, non lontano da Monaco di Baviera, la macabra scritta in metallo battuto “Arbeit macht frei” (il lavoro rende liberi, ndr), quella che per disprezzo verso le vittime designate della Shoah i nazisti avevano posto all’ingresso di ognuna delle loro fabbriche della morte e del genocidio. Sdegno e sgomento delle autorità e dei sopravvissuti si sono fatti sentire immediati, ma anche critiche all’insufficienza di vigilanza e controlli. La polizia indaga in ogni direzione, ma non è chiaro chi siano i profanatori del Luogo della Memoria: se cioè si tratti di neonazisti decisi a insultare le vittime dell’Olocausto e i sopravvissuti e a procurarsi un oggetto da “venerare”, oppure di criminali comuni che sperano di rivendere la targa a caro prezzo a qualche facoltoso collezionista maniaco di reliquie del Terzo Reich.
«E’ purtroppo una profanazione che segna da noi un’escalation nel livello del crimine contro la Memoria», ha detto sconvolta Gabriele Hammermann, direttrice del museo accanto all’ex Lager, che ne spiega l’atroce storia. «Sono indignato», ha incalzato Max Mannheimer, uno dei sopravvissuti. Le autorità bavaresi parlano di «atto ignobile » e promettono il massimo impegno nella caccia ai criminali. Ma Herr Mannheimer critica anche l’insufficienza della sorveglianza: Dachau, e specie il portone d’ingresso, sono vigilati da pattuglie che passano a turno 24 ore su 24, ma manca la videosorveglianza. «Si potrebbe fare di più, se pensiamo a quante centinaia di poliziotti vengono impegnati per controllare ogni manifestazione», ha osservato il 94enne superstite alla Shoah.
Probabilmente, i criminali hanno approfittato del tempo d’intervallo a disposizione tra un passaggio e l’altro delle pattuglie. Certo, dicono gli inquirenti, hanno agito da professionisti: hanno dovuto scalare la porta principale, poi tagliare l’iscrizione, ben pesante in ferro battuto e delle dimensioni di un metro per due, dal portone, poi evidentemente trovare il tempo di caricarla in tutta fretta su un furgone e portarla via. «Non sappiamo se siano neonazisti o collezionisti folli», dicono i portavoce della polizia, lanciando un appello a chiunque abbia visto persone o movimenti sospetti a farsi vivo, al numero d’emergenza 0049 8141 6120.
Dachau fu uno dei primi centri di detenzione nazista, fu aperto nel 1933 poco dopo l’arrivo di Hitler al potere. Vi furono assassinate oltre 40mila persone, in maggioranza ebrei. La profanazione ha un precedente in quella compiuta dal neonazista svedese Andreas Hoegstroem con alcuni camerati e complici locali ad Auschwitz, la fabbrica del genocidio costruita dal Terzo Reich nel territorio della Polonia occupata e dichiarata “governatorato”. Ma in soli tre giorni l’agenzia per la sicurezza interna polacca riuscì a individuare e catturare i colpevoli. Speravano, secondo le loro confessioni, di arricchirsi vendendo la targa di Auschwitz a qualche milionario collezionista. Gli agenti speciali guastarono loro la festa.
"Vogliono cancellare un simbolo, l'Europa protegga le minoranze"

Efraim Zuroff

«Quale che sia la loro motivazione, non riusciranno mai a cancellare la memoria della Shoah. Ma gli ebrei in Europa, e altre minoranze che furono perseguitate dai nazisti come i Rom, 70 anni dopo l’Olocausto hanno di nuovo paura». Così parla Efraim Zuroff, direttore del Centro Simon Wiesenthal, massimo cacciatore di criminali nazisti.
Dottor Zuroff, quanto è minaccioso il crimine di Dachau? «Molto dipende dal motivo. Se è ideologico è grave: vogliono far sparire un simbolo dell’Olocausto. Ma non riusciranno mai ad aumentare il numero dei negale zionisti. L’Olocausto è così noto al mondo che non basta un furto di una targa in un ex campo di sterminio nazista a negarlo, quei criminali, chiunque siano, vanno rinchiusi in un ospedale psichiatrico se pensano di riuscire in disegni di negazione od oblìo».
Ad Auschwitz i criminali erano neonazisti svedesi che volevano arricchirsi vendendo la targa a collezionisti… quanto è pericoloso questo mix criminale tra ideologia e voglia di denaro sporco? «Combinazione di due motivi criminali. Ma il futuro della Memoria della Shoah non dipende da un’iscrizione in un ex campo. Insisto, se il motivo è ideologico è grave. Anche se non lo è, la propensare fanazione di ieri a Dachau è comunque un tremendo insulto alle vittime, ai superstiti, all’umanità ».
Come reagiscono i superstiti a un tale crimine? «Sono ancora così tanti sparsi nel mondo che non è realistico che abbiano una reazione unica: si va dal senso di oltraggio al disprezzo per uno scherzo di pessimo gusto».
I luoghi della Memoria vanno sorvegliati meglio? «È un problema, la Germania soprattutto deve garantirlo. Ma conta ancor di più la sicurezza degli ebrei che vivono oggi in Europa. Per i criminali antisemiti in Europa il miglior mezzo per individuare i bersagli, gli ebrei, è vedere dov’è la polizia. È terribile: quasi ovunque in Europa è necessaria la protezione di polizia per sinagoghe e scuole ebraiche ».
Cioè la vigilanza è un segnale d’allarme? «Diventa purtroppo un segna- terribile della forza crescente dell’antisemitismo in Europa, nella maggioranza dei Paesi europei. Io guardo alla situazione, è diversa da un Paese all’altro. Ma in Paesi molto diversi, Francia, Norvegia, in parti della Svezia a Malmoe e attorno, all’Ungheria, il sentimento di paura è diffuso, è aumentato. È tremendo. In molti Paesi membri dell’Unione europea, settant’anni dopo l’Olocausto gli ebrei hanno di nuovo paura. Come altre minoranze, quali i Rom. Segnale agghiacciante: la Ue si presenta davvero male quanto a capacità di proteggere gli ebrei e le altre minoranze, 70 anni dopo».

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