Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 03/11/2014, a pag. 1-14, con il titolo "Iran, in carcere perché voleva vedere una partita di volley", il commento di Maurizio Molinari; dal CORRIERE della SERA, a pag. 13, con il titolo "'Insulta l'islam': arrestata avvocata che invitava le donne a guidare", la cronaca di Viviana Mazza.
Ghoncheh Ghavami, condannata in Iran perché voleva assistere a un incontro di pallavolo
LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Iran, in carcere perché voleva vedere una partita di volley"
Maurizio Molinari
Colpevole di essere andata a un match di pallavolo: un tribunale di Teheran ha condannato Ghoncheh Ghavami a un anno di prigione trasformandola nel nuovo simbolo della violazione dei diritti umani nella Repubblica Islamica.
Ghoncheh Ghavami, 25 anni, nata a Londra da madre britannica e padre iraniano, lo scorso 20 giugno assieme ad alcune amiche entra nello stadio Azadi di Teheran per assistere alla partita di pallavolo Iran-Italia. L’intenzione è divagarsi con lo sport ma la sicurezza iraniana identifica le giovani e le ferma, sulla base di una legge del 2012 che impedisce alle donne di mischiarsi al pubblico maschile sugli spalti durante le partite di pallavolo, estendendo il divieto già esistente per il calcio. Da quel momento Ghavami precipita in un incubo: arrestata, picchiata, brevemente rilasciata e poi riarrestata, 109 giorni di detenzione nel carcere di Evian - dove vengono imprigionati gli oppositori - di cui 41 in totale isolamento e 14 in sciopero della fame, fino all’annuncio di un processo che dura appena 90 minuti, affiancata dall’avvocato Alizadeh Tabatabaie incontrato solo 48 ore prima dell’udienza.
Il verdetto finale imputa solo lei, fra le ragazze fermate all’Azadi, per «propaganda contro il regime». A condanna decretata, Ghavami può rivedere i famigliari. «Dopo 109 giorni di attesa abbiamo avuto a disposizione 20 minuti - racconta la madre Susan - durante i quali mia figlia ha baciato senza interruzione il nonno, piangendo».
Laureata alla Scuola di Studi Orientali dell’Università di Londra, giunta in Iran come volontaria in un programma per combattere l’analfabetismo infantile e appassionata alla cultura d’origine del padre, Ghavami è per Amnesty International «un prigioniero di coscienza vittima di un verdetto-choc» che evidenzia «la discriminazione delle donne in Iran». Oltre 600 mila persone aderiscono alla petizione online, lanciata dal fratello Iman, per l’immediata liberazione. La sentenza scuote la Gran Bretagna e il Foreign Office parla di «inquietudini su procedimento penale e trattamento durante la detenzione» perché a Evian avrebbe subito minacce di morte. Il premier David Cameron aveva tentato di ottenerne la liberazione, chiedendo di persona un intervento al presidente Hassan Rohani durante il colloquio avuto in settembre a New York ai margini dell’Assemblea Generale dell’Onu. Ma l’effetto è stato nullo perché a prevalere, come recita la sentenza, è stata la necessità di «proteggere le donne dal comportamento lascivo dei tifosi maschi».
La condanna di Ghavami arriva a pochi giorni di distanza dall’esecuzione di Reyhaneh Jabbari, la donna iraniana condannata per aver ucciso l’uomo che voleva violentarla, attirando l’attenzione sulle violazioni dei diritti umani documentate nel rapporto sull’Iran presentato venerdì al Consiglio Onu dei Diritti Umani di Ginevra. È un testo di 28 pagine, redatto dall’inviato Onu Ahmed Shaheed, in cui si afferma che nell’ultimo anno in Iran sono state eseguite 852 condanne a morte - in almeno 8 casi di minorenni - con impiccagioni pubbliche a cui vengono invitati ad assistere i civili, inclusi i bambini in un quadro più generale che «vede perseguitati giornalisti, sindacalisti e insegnanti, bambine di 9 anni vengono obbligate a sposarsi e nessun cittadino si sente protetto dalle leggi».
CORRIERE della SERA - Viviana Mazza: "'Insulta l'islam': arrestata avvocata che invitava le donne a guidare"
Viviana Mazza Souad al-Shammary
Da tempo i conservatori sauditi chiedevano la testa di Souad al-Shammary. Ad esempio, lo sceicco Adel al-Kalbani, ex imam della grande moschea della Mecca, pregava mesi fa perché «diventasse cieca e perdesse l’uso di una mano» o fosse processata. L’altro ieri l’avvocata quarantottenne, una delle attiviste più note in Arabia Saudita per la difesa dei diritti civili e delle donne, è stata arrestata a Gedda con l’accusa di «insulto all’Islam». Aggirava la censura dei media locali scrivendo sui giornali libanesi e su Twitter. Di recente aveva pubblicato la foto di un uomo che baciava la mano a un religioso dalla lunga barba, commentandola così: «Notate come si pavoneggia, ha trovato uno schiavo che gli baci la mano» ed era stata definita immorale e infedele. È stata la prima donna avvocato a discutere i casi in tribunale durante sedute pubbliche ed è tra le sostenitrici della campagna delle saudite per il diritto a guidare l’auto (tra le imputazioni contro di lei: aver «invitato la gente a disobbedire descrivendo la società come maschilista» e «aver chiesto la liberazione delle donne e della società dal potere dei religiosi»). Laureata in diritto islamico, al-Shammary non si dichiara anticlericale di per sé ma ostile all’influenza della religione nella vita pubblica: insieme a Reif Baddawi ha fondato nel 2008 il gruppo (virtuale) per i diritti umani Rete Liberale Saudita, ma il sito è stato oscurato e Baddawi condannato a 7 anni di carcere e 600 frustate per insulto all’Islam. Ora il timore è che a Souad tocchi la stessa sorte.
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