Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 02/11/2014, a pag.37, con il titolo "Io, ostaggio della cucina yiddish", un delizioso pezzo di Federico Rampini sulla sua esperienza da Katz Delicatessen, un appuntamento newyorkese che nessun visitatore della Grande Mela può ignorare. La scampata disavventura di Rampini, raccontata con affettuosa memoria, sarà utile a chi entrerà da Katz - uno degli ultimi luoghi dove sentirsi parte di un mondo che va scomparendo - per mangiare autentica cucina yiddish. Con la dovuta attenzione a non dimenticare l'importanza - come ci ricorda Rampini - di conservare quel bigliettino che ci verrà consegnato all'ingresso.. senza magari averne capito bene la funzione...
Ecco il pezzo:
Federico Rampini
Non è vero che tutto il mondo è ormai piatto, che la globalizzazione ha cancellato le differenze, che i sapori sono fusi in una contaminazione indistinta. Laboratorio multietnico per eccellenza, luogo di tutti gli incroci, New York riesce tuttavia a coltivare anche dei riti antichi, dei mondi isolati e immutabili.
Da Katz's Delicatessen, per non avere rispettato queste tradizioni, io ho rischiato di subire un sequestro di persona. Accadde anni fa in una delle mie prime visite a questo tempio della cucina yiddish, quando dopo una lunga fila d'attesa mi venne infilato in mano, quasi distrattamente, un minuscolo ticket numerato che assomiglia ai biglietti d'ingresso nei nostri cinematografi di una volta. Un pezzetto di carta unto e bisunto, del quale sottovalutai la funzione con gravi conseguenze. Quel ticket conteneva un numero, poi registrato dal brusco cameriere che prendeva le mie ordinazioni ( corned beef, pastrami, più maxi-cetrioloni sottaceto, da insaporire con tanta senape). Solo all'uscita lo sguardo cadde sul vetusto e ingiallito avviso: chi non conserva quel biglietto numerato — dal quale la cassiera deduce il conto finale—deve pagare una somma vertiginosa, l'equivalente dell'aver consumato tre volte tutto il menu.
È un po' come se perdi il biglietto d'ingresso sull'Autosole, presumo ti facciano pagare la massima tratta, forse Napoli-Milano.
Alle mie proteste intervennero due robusti uscieri-buttafuori afroamericani (la proprietà di Katz's è rigorosamenteJewish ma il personale è multietnico) che m'impedivano l'uscita. Per fortuna ero con una coppia di amici ebrei newyorchesi, lui l'economista Steve Cohen conosciuto a Berkeley. Ci volle una lunga trattativa diplomatica, condotta a regola d'arte, per ottenere la liberazione dell'ostaggio italiano che aveva buttato il ticket ( ormai introvabile) in un cestino. Usanze, riti e tradizioni, fanno di Katz's un luogo dove le ricette della cucina yiddish, pur semplici e perfino grossolane, ti riportano in luoghi antichi: l'Europa centrale fra le due guerre, il "mondo di ieri' raccontato con struggente malinconia da Stefan Zweig, poi l'esodo verso il Nuovo Mondo, le atmosfere di Saul Bellow, Philip Roth e Isaac Bashevi Singer. Non tutto, non dappertutto, sopravvive all'implacabile rullo compressore della storia.
Che ne sarà, ad esempio, del Waldorf Astoria, acquisito da una compagnia assicurativa cinese il cui top manager è nipote di Deng Xiaoping? Un covo di spie, l'hotel dei presidenti americani? Ma soprattutto: che succederà in cucina?
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