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Corriere della Sera Rassegna Stampa
03.10.2014 Quando il Corriere è più anti-Israele del Manifesto
Commento di Francesco Battistini

Testata: Corriere della Sera
Data: 03 ottobre 2014
Pagina: 13
Autore: Francesco Battistini
Titolo: «Usa e Israele, il gelo cortese (e la carta Iran)»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 03/10/2014, a pag. 13, con il titolo "Usa e Israele, il gelo cortese (e la carta Iran)", il commento di Francesco Battistini.

C'era una volta un giornale credibile, il Corriere della Sera... dov'è finito oggi?
L'articolo di Battistini, che riportiamo, è una sequenza di informazioni parziali, e in alcuni casi false, su Israele e il colloquio che si è tenuto tra Netanyahu e Obama a Washington.
1) Partiamo dalle invenzioni belle e buone: le "ennesime 2.610 case illegali a Gerusalemme est". Non c'è molto da dire, dal momento che si tratta di una notizia semplicemente falsa, creata dalla penna di Battistini per gli ignari lettori del Corriere.
2) Il problema del nucleare in Iran non è una questione finora ignorata, quantomeno non da Israele e dal suo governo, che anzi già da anni ha denunciato all'Onu e in altri consessi internazionali la pericolosità di un Iran dotato di armi atomiche.
3) Secondo Battistini il governo di Israele non avrebbe interesse ad una pace con i palestinesi. Ci si chiede dunque come mai nessuno mai, da parte israeliana, ponga in dubbio la liceità teorica di uno Stato di Palestina, mentre dal versante arabo, e palestinese in primo luogo, il riconoscimento del diritto di Israele a esistere è una chimera lontana.
4) Netanyahu, attaccato direttamente dall'articolo, avrebbe una "linea tutta difesa e sicurezza". E' vero che l'esigenza della sicurezza è particolarmente importante in Israele, ma questo è un dato di fatto dovuto alla violenza del terrorismo palestinese. Quale alternativa propone il giornalista? Che gli israeliani si lascino massacrare in santa pace. Come sosteneva Golda Meir, preferiamo le vostre condanne alle vostre condoglianze.
PS: Se Battistini manda il Curriculum al Manifesto, lo assumono all'istante.

Ecco il pezzo:


Francesco Battistini


Barack Obama                      Benjamin Netanyahu

Fra appuntamenti all’Onu e alla Casa Bianca, l’altra sera il premier israeliano Bibi Netanyahu è andato a cena a Manhattan, ha scelto un ristorante non kosher con menù di maiale e ha fatto arrabbiare gli ebrei ultraortodossi. Non è stato quello, però, il boccone più amaro del suo viaggio americano: i 40 minuti con Obama, due leader che si detestano come pochi, sono difficili da far digerire secondo la trita formula dell’«incontro costruttivo». Ha scritto Haaretz che per Obama incontrare Netanyahu è come andare dal dentista: probabilmente, viceversa. Guardando l’espressione dei due — con Barack che chiedeva a Bibi delle ennesime 2.610 case illegali a Gerusalemme Est («si può sapere qual è la tua visione della pace?»), con Bibi che paragonava Hamas all’Isis e avvertiva di non sottovalutare certi pericoli («anche il vecchio Kissinger l’ha capito») —, l’appuntamento ha avuto il pregio di chiarire almeno due cose: che il presidente Usa non s’aspetta più nulla dal governo di Gerusalemme, per lui chiaramente disinteressato a risolvere la questione palestinese; che il premier israeliano è ormai a zero nella capacità d’influire sulle scelte mediorientali degli Stati Uniti. Il problema è d’entrambi. Perché l’uno non può fare a meno dell’altro e tutt’e due nelle prossime settimane dovranno affrontare una questione che ora non sembra centrale, ma lo è: il nucleare iraniano. Dopo infiniti negoziati, il cosiddetto 5+1 (Usa, Gran Bretagna, Francia, Cina, Russia e Germania) potrebbe decidere a novembre se le centrifughe di Teheran abbiano o meno scopi pacifici. La risposta non è scontata: Teheran è il possibile playmaker d’una guerra all’Isis e un alleggerimento delle sanzioni basterebbe a Obama per convincere gli sciiti recalcitranti a impegnarsi contro i sunniti del Califfato. Questo teme, Netanyahu, di nuovo prigioniero della sua linea tutta difesa e insediamenti, senza concessioni: che sarà in grado di garantire la sicurezza, di battere avversari inconsistenti come Abu Mazen o di schiacciare militarmente Hamas, ma nel nuovo Medio Oriente è inadatta ad andare oltre la sopravvivenza politica. «Vincere oggi una battaglia con l’Isis significa perdere domani la guerra con l’Iran», ha detto Bibi a Obama. L’altro però lo stava già accompagnando alla porta.

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lettere@corriere.it

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