Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 02/10/2014, a pag. 13, con il titolo "La rivolta del popolo sunnita: così le tribù si battono con l'Isis", l'analisi di Lorenzo Cremonesi.
Lorenzo Cremonesi
In arancione le città controllate dall'Isis
Sono ormai trascorsi diei giorni dall'inizio dei raid alleati guidati dagli americani in Siria e quasi due mesi dall'avvio di quelli in Iraq. Ma i risultati sembrano scarni. Come si spiega che lo Stato islamico riesca a tenere botta e persino a rilanciare le proprie offensive su larga parte dei fronti? La domanda viene spontanea osservando le scene della battaglia tra milizie curde siriane e guerriglia jihadista sunnita dalle colline in territorio turco di fronte alla cittadina siriana di Kobane. «Attaccano ancora per il semplice motivo che manca coordinamento tra noi curdi siriani e comandi americani», rispondevano sino a due giorni fa i combattenti dello Ypg (la milizia curda).
leri però per la prima volta i raid Usa hanno colpito le colonne dello Stato islamico: si contano almeno 87 dei loro uomini morti e una decina di mezzi distrutti. Eppure, l'attacco continua. Il pericolo che Kobane cada resta reale. Tanto che i comandi turchi spostano nuove unità corazzate sulla frontiera e studiano la fattibilità di «zone cuscinetto» in Siria. Una spiegazione più convincente alle capacità di tenuta dello Stato islamico viene dai militanti dei vecchi gruppi della resistenza siriana contro la dittatura di Bashar Assad conosciuti due anni fa nella regione di Aleppo e che oggi vivacchiano di espedienti tra i campi profughi e le cittadine turche a ridosso del confine. «La forza degli estremisti sunniti viene dalla debolezza dei loro avversari. Ma, soprattutto, nasce dalle radici profonde della rabbia popolare sunnita. Una rabbia esplosa contro gli americani dopo l'invasione dell'Iraq nel 2003. In seguito alimentata in modo differente, ma speculare, in Siria e Iraq. Da una parte, la repressione terrificante della dittatura di Damasco contro la sua gente ha portato acqua al mulino dello Stato islamico. Dall'altra, il settarismo del regime sciita a Bagdad ha metodicamente estromesso i sunniti, dicono a Gaziantep nella sede dei «Jesh al Mujaheddin», una delle poche milizie non radicali ancora attive. «Voi occidentali sbagliate quando pensate che lo Stato islamico sia solo un gruppo di estremisti tagliagole aiutato dai volontari folli che arrivano dall'estero. Il suo consenso principale viene piuttosto dai sunniti. I confini della sua forza corrispondono con la geografia della demografia mediorientale», sostiene Nahel Ghadri, che fu uno dei leader dei comitati della rivolta popolare nella cittadina di Ariha (a ovest di Aleppo). «Ci sentiamo traditi. Speravamo negli americani. Ma non solo non ci hanno mai aiutato a defenestrare quel criminale di Assad, come avevano promesso con la storiella delle linee rosse nel caso avesse usato le armi chimiche, soprattutto adesso con i loro blitz aiutano direttamente lo stesso regime fascista che pure dicevano di voler abbattere. Viene da impazzire!», esclama Mohammad Khader, ex portavoce di una delle brigate di Jebel Zawya (la regione collinosa presso Homs).
A seguire gli eventi sul terreno le loro parole appaiono illuminanti. In Siria i jihadisti cambiano strategie di combattimento per evitare i raid aerei, si nascondono tra i civili, ma non si ritirano. In Iraq le loro colonne continuano ad avanzare verso Bagdad. Negli ultimi due mesi hanno circondato e ucciso migliaia di soldati regolari iracheni: battaglioni interi sono stati abbandonati alla loro sorte, privi di cibo, acqua e munizioni. Guarda caso, i punti di forza dello Stato islamico stanno nelle regioni sunnite di Ramadi e Falluja. Le maggiori tribù sono con loro: forniscono uomini, cibo, logistica e legittimità popolare. Ormai sono a una quindicina di chilometri dalla capitale e mirano ai suoi quartieri occidentali, dove la maggioranza della popolazione è sunnita. I media locali dipingono scenari da incubo per il neo-premier sciita Haider al Abadi. L'esercito non sembra aver imparato dalle recenti sconfitte. Gli ufficiali corrotti restano quasi tutti al loro posto. Gli odi settari imperano. I soldati che avevano disertato in massa tornano a ricomporre le loro vecchie unità, come nulla fosse stato. Ma loro teste di punta restano le milizie estremiste sciite, spesso legate a filo doppio ai pasdaran iraniani, le stesse che massacrarono decine di sunniti dopo la conquista della cittadina di Amerli (grazie alla copertura aerea Usa) un mese fa. Unico fronte alleato che segna qualche vittoria tangibile è quello dei curdi iracheni, i soli ad avere ottimi rapporti con i comandi americani. Ma anche qui le loro avanzate seguono linee demografiche. La liberazione della cittadina di Rabia due giorni fa è stata aiutata dal fatto che nel settore sono situati antichi villaggi yazidi e curdi. E Mosul, città a maggioranza sunnita per eccellenza, resta saldamente nelle mani dello Stato islamico.
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