E' in uscita il libro di Simcha Rotem "Il passato che è in me", a cura di Anna Rolli, accompagnato da una postfazione di David Meghnagi.
Ecco la prefazione dell'autore:
IL PASSATO CHE È IN ME
PREFAZIONE
Nella Primavera del 1944, alcuni membri dello ŻOB (Organizzazione dei Combattenti Ebrei) si riunirono in un appartamento clandestino, nella parte ariana di Varsavia, per scrivere le nostre esperienze di guerra a partire dal 1939. Alcuni erano stati nascosti nell’appartamento ininterrottamente, altri che provenivano dal “di fuori” erano dirigenti sopravvissuti dell’organizzazione, ed erano stati dirigenti ebrei in Polonia anche prima della guerra. A quel tempo - tra la Rivolta del ghetto di Varsavia (aprile-maggio 1943) e la Rivolta polacca (agosto 1944) - una delle attività più importanti dello ŻOB consisteva nella raccolta di documentazione. I dirigenti nutrivano un profondo sentimento dell’importanza della Storia e sentivano di essere gli ultimi ebrei rimasti in vita. Di conseguenza si assunsero la responsabilità di salvare e riferire la storia degli ebrei polacchi durante “i giorni della distruzione e della rivolta”. In quell’appartamento dello ŻOB furono scritte molte pagine; Yitzhak Zuckerman, alias Antek, rappresentava la forza vitale del gruppo dedito alla raccolta dei resoconti. Lavoravo con Antek nella parte ariana e avevo otto o nove anni meno di lui. Quando si è sui vent’anni ciò rappresenta una grande differenza. Non condividevo i suoi contatti e i suoi legami con i vari movimenti politici ma partecipavo alle discussioni dello Stato Maggiore riguardo le operazioni dello ŻOB. Francamente non mi sentivo interessato a quali tracce il movimento o qualsiasi individuo avrebbero lasciato dietro di sè nella Storia. A me interessava l’azione. Non partecipavo ai dibattiti su che cosa andasse o non andasse scritto. La mia attività si focalizzava al di fuori dell’appartamento - lungo le strade e nella clandestinità. Antek, comunque, insisteva a starmi dietro perché scrivessi le mie memorie di combattente. Così, nella primavera del 1944, anch’io mi sedetti in via Panska n.5 e scrissi, in polacco, una specie di diario retrospettivo. Normalmente parlavo in polacco benché in casa usassimo anche lo yiddish. Il mio era il polacco del popolo, differente da quello dell’intellighentzia ebraica. Nel 1946, quando arrivai in Palestina, Melekh Neustadt che stava scrivendo il suo libro Distruzione e Rivolta degli ebrei di Varsavia, mi chiamò per mostrarmi la traduzione in ebraico del mio resoconto prima che fosse pubblicato con il titolo Diario di un combattente; da allora il diario è stato ristampato in molte edizioni e tradotto in varie lingue. Descrive eventi ai quali ho partecipato, dal primo giorno della Rivolta del ghetto di Varsavia all’esodo del gruppo dei combattenti attraverso le fogne di via Prosta. Sebbene con il passare del tempo Antek continuasse a spingermi a scrivere le mie memorie io continuavo a conservare in me stesso la gran parte dell’accaduto. Non cedetti fino al 1981 quando andai nel kibbutz Lohamei Ha-Gettaot e iniziai. Non funzionò. Allora Antek si rivolse a Tzvika Dror, un membro del kibbutz, perché scrivesse sotto mia dettatura. Non era facile giacché non sono un gran parlatore. Antek morì nel 1981 e in conseguenza del debito che sentivo di nutrire nei suoi confronti continuai a dettare. Attualmente vivo a Gerusalemme con mia moglie Ghina e i miei figli Itai e Eyal. Non ho mai parlato di queste cose con loro usando un linguaggio formale. Racconto mentre parlo normalmente, nel linguaggio di ogni giorno, quello che uso in casa, al lavoro e con i miei amici. Preferisco rimanere Kazik anche mentre scrivo. Racconto soltanto ciò che ricordo, senza riserve e senza tener conto dell’immagine della mia persona o dell’impressione che lascerò nella Storia. Il mio obiettivo era narrare i fatti come allora li vidi - e come li vedo ora - alla mia maniera e mi assumo la piena responsabilità per tutto ciò che è qui scritto. Di tanto in tanto il lettore noterà che il racconto non è consecutivo poiché ci sono delle lacune nella mia memoria. Non voglio “restaurare” le memorie, preferisco piuttosto lasciare dei “vuoti”. Nonostante ciò spero che potrà orientarsi tra queste pagine senza difficoltà.