Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 07/09/2014, a pag.29, con il titolo " Non amo gli eroi. L'unica leader è stata mia madre", l'intervento di Lizzie Doron in occasione della maifestazione milanese Jewish and the City.
Lizzie Doron
Quando mi è stato chiesto di parlare ii della leadership delle donne, mi sono domandata se sia attuale parlarne come una questione di genere. La mia mente ha iniziato a visualizzare personaggi celebri. Ha snocciolato gente come Churchill, Roosevelt, Stalin, Clinton, Ben Gurion, Golda Meir e Angela Merkel. Sono apparsi anche militari, guerrieri come Achille, Patton, Annibale, Montgomery e Rommel, e poi si sono fatti vivi i filosofi, leader a loro modo, con Heiddeger, Adorno, Popper, Sholem. Ho sorriso a tutti questi volti che spuntavano dalla mia memoria, persone che hanno influenzato così tanti, hanno allevato discepoli, frapposto credenti e avversari, indicato a tutti noi le vie del bene e del male. Mi sono resa conto che ieri come oggi la maggior parte dei leader sono uomini e che la «questione di genere» anche in questo campo è una discussione da affrontare. Ma la mia mente si è posta un'altra domanda: chi è il tuo leader, Lizzie. La lista che da poco si era creata è svanita, come spazzata via, e un solo volto si è materializzato, il volto di colei che ha costruito per me un mondo in cui vivere, mia madre, Helena. E in un battito di ciglia sono tornata ad essere la bambina cresciuta in un piccolo quartiere di Tel Aviv, un quartiere dove tutti gli abitanti erano sopravvissuti alla Shoah. Erano tutti vittime di grandi leader, politici e militari, e anche vittime dei filosofi, responsabili anch'essi di aver pavimentato la strada che ha portato mia madre e la sua generazione negli abissi di polvere e oscurità. E queste persone ora dovevano riportare la vita dentro se stessi. E se mi guardo indietro, sono state le donne a intraprendere il cammino, a sostenere la rinascita e fondare una nuova esistenza. Gli uomini accanto a loro forse mantenevano le proprie famiglie, ma spesso dentro erano spezzati, privi di energie, come morti. Posso condividere con voi la via scelta da mia madre Helena, una di quelle donne. Mi viene in mente la lettera che mandò al preside delle elementari comunicando che non sarei andata a scuola alla cerimonia in ricordo di Trumpeldor. Dovete sapere che il signor Trumpeldor è stato un eroe che scelse come ultime parole prima di morire in battaglia «E bello morire per il nostro paese». Ií suo eroismo e sacrificio scaldavano i cuori nell'Israele degli anni Sessanta e agli studenti si insegnava che il suo esempio era quello da seguire. E solo mia madre si infuriava e urlava che a sua figlia, nata dopo la guerra, bisogna insegnare solo ad amare la vita e se a combattere allora solo se obbligati, e anche allora solo per vivere e non certo perché è bello morire. E, mentre tutti i miei compagni partecipavano alla cerimonia, io me ne stavo a casa. In questo modo, già da bambina ho imparato che non bisogna farsi ingannare da un leader o uno slogan. Mia madre mi ha insegnato a dubitare, commentare, e a non idolatrare un uomo o un'opinione. Non si faceva impressionare nemmeno dalla leadership militare. Nei giorni in cui lo Stato d'Israele sottolineava la necessità della sicurezza e Moshé Dayan e Arik Sharon erano gli eroi a cui molti guardavano con ammirazione, lei mi ripeteva continuamente che nelle guerre non ci sono vincitori, solo feriti e morti. Erano parole che lei pronunciava in un periodo in cui l'eroismo era una forma di linfa esistenziale per un paese nato dopo la guerra. Ma mia madre era coraggiosa, critica, non aveva paura di esprimere un'idea diversa e nemmeno nella vita di tutti i giorni rinunciava ai suoi principi, a partire dalla sensibilità verso il prossimo e i suoi bisogni. E così, a soli sette anni e un grande desiderio di avere lo smalto sulle unghie, mia madre, in modo del tutto inaspettato mi diede il permesso di comprare dello smalto rosso da Leah, la manicurista del quartiere. La gioia che provai nell'applicarlo alle unghie svanì a scuola quando le mie compagne e la maestra mi presero in giro. Tornai a casa in lacrime. Mia madre rimase tranquilla e mi disse di non preoccuparmi perché avevo fatto una mitzvà. Leah era da poco rimasta vedova e ora aveva bisogno di sostegno: meglio comprarle lo smalto che farle la carità. Credo di aver capito, grazie a lei, che la vera leadership non la si trova nei parlamenti, sui campi di battaglia o all'interno di importanti saggi. E ho capito di aver avuto una leader casalinga, una donna che mi ha insegnato che devo essere Mensch ogni singolo giorno della mia vita. E una parola in yiddish, unica, significa essere una persona che conduce una vita etica fino in fondo, un essere umano. E mia madre aggiungeva che non basta essere Mensch nella vita di tutti i giorni, perché ci sono anche momenti che trascendono la vita di tutti i giorni, e in questi frangenti drammatici dobbiamo diventare giusti tra le nazioni. Ed era questo, per lei, il più alto livello di umanità al mondo: essere un giusto tra le nazioni. Per lei essere un leader non dipendeva certo dal genere, per lei era un modo di comportarsi, un sentimento di solidarietà, era sensibilità verso il prossimo. I capi di governo, i generali, i filosofi, per lei erano solo persone che esercitavano una professione — quasi sempre per elevare solo se stessi, commentava. Vorrei concludere con un'informazione che ho ricevuto dopo la morte di mia madre. A quanto pare, a salvarle la vita quando era malata in campo di concentramento, era stato un medico nazista poi condannato a morte. Nonostante tutte le difficoltà pratiche e psicologiche partì per andare a testimoniare in suo favore e là affermò, tra le altre cose, che, come insegna la tradizione dei suoi padri, chi salva una vita salva il mondo intero. E quell'uomo non fu ucciso. Allora chi è un leader? Quali le caratteristiche? Uomo o donna? Sono tornata al punto di partenza. Forse semplicemente una persona buona, capace di migliorare le cose, per te e per gli altri. La mia leader è mia madre. E quindi, riguardo ai capi di governo, ai generali e ai filosofi che chiedono di essere seguiti dalle persone, ho il profondo obbligo di controllare, preoccuparmi, studiare se essi meritino di essere i miei leader di oggi. Uomini o donne che siano.
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