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La Repubblica Rassegna Stampa
07.09.2014 Un riassunto condito ancora con il senno di poi
l'analisi di Renzo Guolo

Testata: La Repubblica
Data: 07 settembre 2014
Pagina: 25
Autore: Renzo Guolo
Titolo: «Il ruolo dell'Iran nella guerra alla jihad»

Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 07/09/2014, a pag.25, con il titolo "Il ruolo dell'Iran nella guerra alla jihad" l'analisi di Renzo Guolo. Decisamente migliore delle precedenti (merito della nuova linea di Repubblica ?), ma pur sempre contrassegnata dal bisogno di confezionare un riassunto che dice tutto e niente, con ancora la sottovalutazione di Turchia e Iran. A quando affronterà il vero volto dell'Iran e la funzione destabilizzante del Medio Oriente messa in atto da Turchia e Qatar ?
Buona la domanda rivolta all'Italia nell'ultima riga.
Ecco il pezzo:


Renzo Guolo                  La bandiera dell'Isis

La decisione della Nato di far nascere una coalizione contro lo Stato Islamico era inevitabile: troppo grande il ri'chio prodotto dall'emergere di una realtà politica e ideologica destinata altrimenti a riscrivere la carta del Medioriente e a produrre problemi di sicurezza globali. Mal' altrettanto inevitabile scelta di fare una guerra dell'aria pone degli interrogativi. Dal momento che nessun conflitto può essere vinto senza mettere gli scarponi a terra, qualcuno quella guerra tra le sabbie deve pur combatterla. Tutti sanno che non basterannoi peshmerga curdi , pure ben armati. Dunque, altri dovranno marciare sul terreno: ma chi? Washington ritiene che l'Alleanza occidentale possa costruire una coalizione a geometriavariabile con i paesi sunniti interessati a mettere fine al radicamento neocaliffale. A partire dall'Arabia Saudita che pure ha svolto il ruolo di apprendista stregone con gli jihadisti impegnati in Siria e Iraq. Il Califfato mette, infatti, in discussione innanzitutto il rivendicato ruolo saudita di guida dell'Islam e custode dei luoghi santi. Oltre che la legittimitàdellamonarchiaquale braccio politico del wahhabismo. Un ruolo decisivo avrà anche la Turchia, membro nella Nato, che dopo il tramonto del sogno europeo vede nel nuovo potere in nero un ostacolo alla sua svolta neottomana. Peso rilevante avrà l'Egitto, che si pone ormai come naturale argine al fondamentalismo islamico in tutte le sue versioni. Ma turchi e sauditi sono in competizione per l'egemonia nel mondo sunnita, cosi come gli egiziani sono alleati dei sauditi e ostili ai turchi in nome della comune lotta contro i Fratelli Musulmani. I sauditi, poi, hanno un obiettivo che fa premio su tutto e li ha impegnati nella lunga proxy war di cui sono stati protagonisti dal 1979 a oggi: spezzare la corda tesa dell'arco sciita che va da Teheran alla Beirut degli Hezbollah passando per Damasco e ridare profondità strategica allapuntadi lancia sunnita. Conficcandola saldamente in Siria e Iraq. Pensare che i sauditi possano limitarsi a contenere o sconfiggere lo Stato Islamico sarebbe ingenuo: il Califfato è solo un incidente di percorso sulla strada della vera partita che conta, quella con l'Iran. Gli iraniani, e i loro alleati libanesi del Partito di Dio, sono però gli unici a avere già gli scarponi sul terreno in Siria e Iraq. E lo Stato Islamico può essere battuto solo se si aggredisce su quel duplice fronte. L'intervento di Hezbollah ha impedito che il regime di Assad, che oggi fa da barriera all'espansione del Califfato verso il Mediterraneo, crollasse; quello delle brigate Al Qods, corpo d' eli te dei Pasdaran, ha evitato che lo Stato islamico sfondasse nel Kurdistan e che il massacro di cristiani, turcomanni e yazidi, giungesse a compimento. In Iraq gli iraniani sono schierati per preservare i luoghi santi sciiti di Kerbala e Najaf dalla promessa distruzione dell'IS. Prospettiva che farebbe scattare, come minacciato dall'ayatollah Khamenei, il diretto e totale intervento iraniano nel conflitto. Insomma, difficile ignorare il peso dell'Iran nellaregione. Obamanon è ostile a questo riconoscimento, anche perché deciso a chiudere sullavicenda del nucleare, ma deve procedere con cautela: per l'opposizione della destra repubblicana e quella di Israele, oltre che per l'ostilità saudita. In ogni caso, Teheran non lascerà che l'alleanza sunnita metta in ombra l'agognato ruolo di potenza regionale decisa a dire la sua sul futurodellaMesopotamia. Lacollaborazione, sia pure non dichiarata, potrà avvenire solo se lo scambio politico non sarà unilaterale. La sconfitta di Al Baghdadi passa, dunque, per il coinvolgimento dell'Iran nel sistema, piùomenoinformale,di alleanze. Se cosi non fosse, la delega occidentale alle potenze regionali sunnite acombattere il conflitto sul terreno sarebbe destinata a produrre un'instabilità destinata a far impallidire le tensioni attuali. In quel caso dopo la fine del Califfato, l'emergenza sarebbe ben più problematica. È bene che il quadro sia chiaro anche all'Italia, coinvolta a pieno titolo nella coalizione. Perché l'ora delle scelte non lascerà spazio al senno di poi.

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