Quale è il nemico più grande delle società democratiche occidentali ? L'Isis ? L'Iran ? Le opinioni divergono. Oggi, 06/09/2014, sulla STAMPA, Paolo Mastrolilli, a pag.1, riferisce i progetti di Barack Obama, l'Isis va sconfitto. Sul FOGLIO,a pag.1, Daniele Raineri riporta le dichiarazioni di Amos Yadlin, che ci ricorda l'Iran, da un po' di tempo ri-etichettato 'moderato' dai media occidentali. Mentre su LIBERO a pag.1, Carlo Panella sottovalutando la politica aggressiva della Russia di Putin, vede nell'Isis la vera minaccia.
Ci chiediamo quale significato dare alla presenza fra le forze anti-terroriste di Turchia e Qatar, due paesi destabilizzatori della regione mediorientale. E' sufficiente non essere d'accordo con i metodi dell'Isis, ed essere contemporaneamente sostenitori di Hamas, Hezbollah e Fratelli Musulmani ?
Ecco i servizi:
La Stampa-Paolo Mastrolilli: " Obama alza i toni 'L'Isis non va contenuto, va smantellato' "
Paolo Mastrolilli
«L'Isis non pub essere contenuto: va smantellato». Forte dell'appoggio «unanime» ricevuto durante il vertice Nato, e delle prime dieci adesioni formali alla coalizione promossa per fermare il gruppo terroristico in Iraq e in Siria, il presidente Obama ha cancellato gli ultimi dubbi. E ha spiegato la sua strategia, dove «degradare e distruggere» non sono in contraddizione, ma parte di uno stesso processo che richiede tempo, come era accaduto per Al Qaeda. Ieri il segretario di Stato Kerry ha tenuto una riunione con i rappresentanti di Gran Bretagna, Italia, Francia, Germania, Australia, Canada, Turchia, Polonia e Danimarca, che hanno accettato tutti di fare parte della coalizione. Sempre in Galles, il presidente Obama ha incontrato il re giordano Abdullah e il leader turco Erdogan, mentre oggi Kerry, il capo del Pentagono Hagel e il consigliere antiterrorismo Lisa Monaco partiranno per il Medio Oriente, per coinvolgere Arabia Saudita e Qatar. L'obiettivo è convincere gli Stati sunniti a combattere l'Isis, spingendo così anche le tribù sunnite in Iraq ad abbandonarlo. Ieri a sorpresa era arrivata anche l'adesione del leader supremo iraniano, Ali Khamenei, che aveva incaricato un suo rappresentante di parlare con gli Usa per coordinare gli sforzi contro i terroristi che minacciano il governo di Baghdad a maggioranza sciita. Poi, però, Teheran ha smentito. I dettagli di cosa offrirà ogni Paese verranno definiti entro il vertice di fine mese al-l'Onu, e varieranno dai raid aerei agli aiuti umanitari, all'intelligence. Obama ha spiegato che la strategia è simile a quella adottata con Al Qaeda: «Prima frenare l'Isis, poi ridurre il territorio controllato, e colpire la leadership, in modo da rendergli impossibile di agire». Le forze di terra in Iraq saranno l'esercito regolare e i peshmerga curdi, mentre in Siria bisognerà tornare ad armare e aiutare i moderati del Free Syrian Army.
Il Foglio-Daniele Raineri: " In Israele, questo panico da Stato islamico deve finire "
Daniele Raineri Amos Yadlin
Roma. Amos Yadlin è stato direttore dell'intelligence militare israeliana e ora è a capo di un think tank che si occupa di sicurezza a Tel Aviv. Due giorni fa ha scritto un editoriale sul quotidiano Yedioth Ahronoth per spiegare che per quanto riguarda Israele "il panico causato dallo Stato islamico deve finire. A dispetto della scia di orrori che si lascia dietro, quel gruppo opera a centinaia di chilometri dal nostro confine, e anche se fosse più vicino non sarebbe in grado di infliggere danni a Israele e ai suoi abitanti". Yadlin sostiene che in fondo "stiamo parlando di qualche migliaio di terroristi senza nessuno che li freni a bordo di pick-up, con Kalashnikov e mitragliatrici. Assieme ad altre milizie che si sono aggregate (e che potrebbero abbandonarli quando la loro offensiva si impantanerà) lo Stato islamico ha circa diecimila combattenti, la metà della forza militare di Hamas. E a differenza di Hamas, che invece confina con noi, lo Stato islamico non ha tunnel, non ha artiglieria, non ha la capacità di colpire strategicamente lo stato di Israele e non ha alleati che lo riforniscano di armi avanzate". Il generale spiega che il gruppo di Abu Bakr al Baghdadi è un'organizzazione jihadista globale che non è essenzialmente cosi diversa da al Qaida, una minaccia con cui Israele convive da più di un decennio. Se lo Stato islamico avesse concentrato i suoi sforzi su Israele invece che sull'Iraq, sarebbe diventato una preda facile per l'intelligence israeliana, per l'aviazione e per per le armi di precisione a disposizione delle nostre forze di terra, scrive Yadlin. Nel momento in cui inconterà un esercito modemo, il gruppo dovrà smontare dai suoi pick-up - e questo ridurrà ancora di più la sua capacità di muovere verso Israele. Allo stesso tempo, lo Stato islamico è impegnato con un'infinità di altri nemici, alcuni dei quali si frappongono "tra loro e noi: gli eserciti di Iraq, Giordania e Libano, e anche il suo nemico giurato sciita, Hezbollah". L'editoriale minimizza il rischio che l'ideologia dello Stato islamico si radichi tra i palestinesi - "E' troppo estrema persino per al Qaida, non dovrebbe essere vista con favore a Gaza o nella West Bank" - e riconosce al gruppo due risultati definiti "incredibili": "Ha unito una coalizione incredibilmente ampia contro di sé. Una lista breve comprende la Russia, la Turchia, l'Iran, le milizie curde, gli stati del Golfo, l'Arabia Saudita, la Giordania, l'esercito siriano, quello libanese, Hezbollah e Israele". Il secondo risultato è quello di avere "riportato l'esercito americano in Iraq durante il mandato dell'Amministrazione Obama". Per tutte queste ragioni, "possiamo togliere il dito dal bottone dell'allarme rosso. Lo Stato islamico non è una minaccia significativa per Israele nel prossimo Muro", e anzi, puo creare chance di cooperazione strategica con altri paesi. L'America, l'Europa, gli stati della regione guidati di sunniti moderati. "In fondo, stiamo tutti lottando contro l'estremismo islamico". Se un pericolo c'è, conclude il generale, è che l'attenzione del mondo sia deviata dal programma nucleare iraniano, che è "il vero pericolo strategico per la sicurezza del mondo e per la sicurezza di Israele. Dovremmo conservare un piano d'azione realistico e concentrarci sui problemi più importanti, anche se dalla Siria e dall'Iraq arrivano immagini orrende". Yadlin non aggiunge altro, ma è probabile che il governo israeliano stia seguendo attentamente il nuovo clima di collaborazione oggettiva fra Iran e America, entrambi finiti a combattere sullo stesso fronte iracheno nella guerra di contenimento contro lo Stato islamico.
Libero-Carlo Panella: " La Nato dura con Putin, ma la vera minaccia è l'Isis"
Carlo Panella Putin in una caricatura
Al di là diogni vergogna e onore la Nato continua a fare finta di voler fare la guerra alla Russia di Putin (sorvolando sul fatto che il suo alleato, il governo di Kiev l’ha appena persa) mentre adotta contro la “terribileminaccia” del Califfato dell’Isis una strategia che potremmo definire “del SorTecoppa”.Come si sa, il motto di Tecoppa nel duello era surreale: «Stai fermo, non ti muovere, se no, come ti infilzo?». E surreale è stata la conclusione del vertice Nato di Newport. Proprio nel giorno in cui il governo di Kiev è stato costretto a siglare a Minsk un cessate i fuoco perdente, dopo avere subito una serie di irreparabili rovesci militari, i Paesi Nato hanno alzato i toni al calor bianco contro la Russia. Solo i toni, però,perché le nuove sanzioni sono sospese proprio a causa della tregua, il battaglione di intervento rapido di stanza nell’Est è una mossa di teatro (nel senso di avanspettacolo) e Obama non è riuscito a far impegnare un solo Paese europeo che fosse uno a investire di più nella Difesa, tanto che sul puntosi sono sfiorate le male parole.
Pronti a far finta di partire per una guerra che è già finita, quanto alla controffensiva contro il Califfato dell’Isis, i Paesi Nato, seguendo come un sol uomo la strategia di Barack Obama, candidato al premio per il peggior presidente americano della storia, hanno deciso di dare vita a una Grande Coalizione «per distruggerlo».Una tragicommedia perché, come un sol uomo, escludono drasticamente «ogni impegno dei paesi Nato in operazioni di terra in Iraq». E qui interviene Tecoppa, anche dal punto di vista tecnico. L'impiego dell’aviazione contro il Califfato, infatti, dà risultati solo se l'avversario sta fermo. Le due piccolissime vittorie conseguite contro il Califfato facendo riprendere agli peshmerga la diga di Mosul e interrompendo l'assedio dei Turcomanni di Amerli, sono dovute proprio al fatto che i miliziani dell’Isis erano facilissimi obiettivi delle bombe aeree Usa, allo scoperto. Ma il Califfato ormai è radicato in metropoli come Mosul, in città come Raqqa (in Siria) e Tikrit in Iraq),ha appena conquistato lo strategico aeroporto militare di Tabqa difeso da centinaia di miliziani di Assad (trucidati) ed è evidente anche ad un bambino che il solo intervento aereo (vedi Gaza) è insufficiente e solo un consistente intervento di terra sarebbe determinante. Intervento che l’esercito iracheno - dissolto - non può sviluppare e che non può essere delegato né a Teheran, né a Ryad che non possono tollerare che il sanguinario avversario storico - i wahabiti sauditi e gli iraniani sciiti si scannano da due secoli e mezzo - possa così allargare la sua influenza sull'Iraq. Così la Nato sviluppa la sua politica dei pannicelli caldi, ben simboleggiata dal carico di armi vecchie di 20 anni - e senza pezzi di ricambio - che l'Italia consegna agli pashmerga.
Il Califfato non ha quindi motivo di preoccuparsi di una Nato che ha ormai per motto “Armiamoci e partite!”. Concetto ribadito anche da Matteo Renzi: «L’Italia è parte della coalizione internazionale contro l’autoproclamato stato islamico (Isis). Qualora la coalizione,dovesse agire militarmente contro le milizie dell’Isis non farà naturalmente un intervento di terra». Nebbia fitta, naturalmente, nelle roboanti dichiarazioni di Obama, di Cameron, Hollande e Renzi su chi debba infine incaricarsi di questo intervento di terra.
Quanto alla Libia... Non pervenuta! Pure, Renzi da mesi si dice preoccupatissimo per il caos libico e ha annunciato che la Nato avrebbe preso una posizione forte proprio a Newport. Probabilmente è accaduto che la Nato si è resa conto che l'unica soluzione è un suo intervento - anche di terra - e quindi, semplicemente, non ne ha parlato. La Nato è ormai uno struzzo che mette la testa sotto la sabbia, in omaggio alllo stemma araldico della presidenza Obama.
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