Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 02/09/2014, a pag. 14, con il titolo "Usa con l'Iran e Turchia con i curdi: quelle strane alleanze contro il Califfo", l'articolo di Federico Rampini; dal FOGLIO, a pag. 1, con il titolo "Estreme alleanze", l'articolo di Daniele Rampini.
Barack Obama, Hassan Rohani
Di seguito gli articoli:
LA REPUBBLICA - Federico Rampini: "Usa con l'Iran e Turchia con i curdi: quelle strane alleanze contro il Califfo"
Federico Rampini
«Non possiamo usare la nostra U.S. Air Force come se fosse l’aviazione sciita». Il primo a lanciare l’allarme sulle “alleanze contro natura” è stato il generale americano David Petraeus, che fu uno dei più importanti strateghi della guerra in Iraq. Fa discutere l’operazione con cui Barack Obama ha ordinato, secondo il comunicato ufficiale della Casa Bianca, «attacchi aerei mirati per soccorrere migliaia di sciiti turcomanni assediati nella città di Amerli». Un’operazione congiunta a cui hanno partecipato aerei militari francesi, inglesi, australiani. Configura quella anomala convergenza che fa sobbalzare Petraeus e che il New York Times segnala così: «Stati Uniti e Iran improbabili alleati nella battaglia in Iraq».
Gli sciiti iracheni finora avevano avuto come referente estero l’Iran, principale potenza dell’area che si riconosce in quel ramo della religione islamica. Pur di contrastare il nuovo “nemico numero uno” dell’America, cioè quello Stato Islamico o Is che progetta il Grande Califfato, Obama si ritrova oggettivamente dalla parte dell’Iran. Ma non è l’unica delle alleanze contro natura, provocate dall’allarme per l’ascesa dell’Is. Tutti i tradizionali schieramenti del Medio Oriente sono in sommovimento. L’Is ha avuto l’effetto di un terremoto, costringendo ogni potenza dell’area a rivedere antiche strategie, accantonare inimicizie che sembravano insormontabili. Il Wall Street Journal a sua volta ricostruisce con un complesso grafico tutti gli spostamenti di alleanze che si stanno verificando. Iran e Arabia saudita erano nemici politicamente almeno dal 1979 (l’anno della rivoluzione islamica che cacciò lo Scià e portò al potere l’ayatollah Khomeini), religiosamente da sempre visto che gli sciiti dominano in Iran, mentre l’Arabia saudita è la patria dei sunniti per eccellenza. Oggi anche tra loro si è stabilita una tacita alleanza, contro l’Is. Per i sauditi infatti non c’è peggior pericolo: il progetto di Grande Califfato è una sfida diretta contro la loro autorità nel mondo sunnita; l’Is rivendica di essere il “vero” difensore degli interessi sunniti in Medio Oriente e della loro purezza religiosa.
Un rovesciamento analogo si è verificato nell’atteggiamento della Turchia verso i curdi. Ankara ha sempre osteggiato il progetto di un Kurdistan autonomo in Iraq, perché a sua volta ha una minoranza curda sul territorio turco, che potrebbe essere incoraggiata nelle sue rivendicazioni di autonomia. Ma improvvisamente è sbocciata una tregua: quando i peshmerga curdi legati al Pkk hanno salvato migliaia di yazidi minacciati dal genocidio, la Turchia ha approvato la loro azione. Anche per il leader turco Erdogan il Grande Califfato dell’Is è diventato un pericolo soverchiante che può destabilizzare l’intera area e per combattere il quale si possono seppellire antichi rancori.
Il caso estremo di convergenze innaturali è quello tra Usa e Russia. Nel teatro geostrategico europeo, la tensione è ai massimi livelli per l’invasione russa dell’Ucraina. Ma in Medio Oriente il quadro è diverso. Il ministro degli Esteri russo Lavrov ha rivendicato il merito di Putin nell’aver convinto Obama a non attaccare Assad: oggi il regime siriano è “oggettivamente” utile per contrastare l’Is, secondo la tesi di Mosca. Alla Casa Bianca non sono d’accordo, i consiglieri di Obama pensano al contrario che l’Is non sarebbe così potente se Assad non avesse schiacciato l’opposizione democratica, laica e liberale. E tuttavia il Pentagono caldeggia i bombardamenti sulle basi dell’Is in Siria che oggettivamente sarebbero un aiuto al regime di Damasco.
In questi rovesciamenti di alleanze, i rischi maggiori li corre l’America, perché dalla potenza leader dell’Occidente ci si attende qualche coerenza. Il pericolo immediato che spaventa Petraeus e non solo lui, è l’impatto sulla popolazione sunnita in Iraq. Se i raid della U.S. Air Force vengono percepiti come la prova di un’alleanza di fatto tra l’America e le milizie sciite filoiraniane, questo può ostacolare la ricerca di una soluzione politica alla frantumazione dell’Iraq e può perfino dare argomenti al proselitismo dell’Is tra i sunniti. Le incognite delle alleanze contro natura, vengono ignorate dal “coro dei guerrafondai”, l’offensiva dei neoconservatori come viene definita da Charles Blow sul New York Times. La pressione su Obama perché l’America torni a combattere in Iraq è fortissima. A costo di falsificare la storia: Fox News di Murdoch, per esempio, imputa a Obama la liberazione del capo dell’Is che invece avvenne sotto George Bush.
IL FOGLIO - Daniele Raineri: "Estreme alleanze"
Daniele Raineri
Roma. Domenica un misto di peshmerga curdi, di soldati iracheni e di miliziani sciiti ha rotto l'assedio durato undici settimane della città di Amerli - a metà strada circa tra Mosul e Baghdad - e ha spinto verso nord i combattenti dello Stato islamico. Gli aerei americani hanno aperto la strada agli iracheni con quattro bombardamenti - che rappresentano una percentuale minima sul totale (ci sono stati 120 raid aerei a partire dall'8 agosto). L'inviato speciale di Obama in Iraq, Brett McGurk, ha definito l'operazione "heartening", rincuorante. E' il primo, limitato successo militare ascrivibile anche al governo iracheno, e non soltanto ai curdi, contro il gruppo sunnita di Abu Bakr al Baghdadi. Sul campo sventolano le bandiere delle milizie fanatiche sciite che durante l'ultima guerra (tra il 2005 e il 2011) sono state finanziate e armate dall'Iran per combattere gli americani. Si tratta di gruppi che ora appoggiano l'esercito regolare e hanno un'ideologia fortemente anti-sunnita: la Brigata Badr, le brigate Hezbollah (da non confondere con quelle libanesi, anche se il modello è lo stesso), la Lega dei giusti (Asaib al Haq) e la brigata del Giorno promesso (Liwa al Youm al Mawud, con riferimento all'Apocalisse). Negli anni della guerriglia erano chiamate tutte con lo stesso nome, per comodità: "Gruppi speciali". Molti degli uomini di queste brigate sciite sono appena tornati dalla Siria dove combattevano a fianco dei soldati del presidente Bashar el Assad, scrive il Guardian che ha mandato un inviato tra loro. Quando esattamente un anno fa l'Amministrazione Obama minacciò di bombardare la Siria dopo il massacro chimico compiuto dall'esercito alla periferia di Damasco, i gruppi speciali iracheni annunciarono attentati contro l'America per rappresaglia. Ieri il primo ministro uscente Nomi al Maliki è arrivato ad Amerli a festeggiare la vittoria tra queste milizie. Maliki è stato costretto ad abbandonare l'incarico il mese scorso perché è considerato troppo divisivo e troppo sbilanciato a favore degli sciiti e contro i sunniti, ma non ha rinunciato ai toni incendiari davanti alla telecamera di Iraqia tv. Il primo ministro (quasi ex) ha detto che Amerli è stata una "seconda Karbala", che è un riferimento esplicito alla battaglia fondante del culto sciita nel Settimo secolo, quando Hussein affrontò in combattimento un esercito più numeroso del suo. Poi ha aggiunto: "L'Iraq sarà tutto un cimitero per lo Stato islamico". Attorno a lui la folla cantava: "Sacrificheremo tutto per te, o Hussein!". L'Amministrazione Obama aveva accettato di intervenire in aiuto del governo di Baghdad a condizione che Maliki fosse rimosso, proprio per evitare questo genere controproducente di retorica anti sunnita - già pronta per finire nel prossimo video di reclutamento dello Stato islamico. Il caso di Amerli era però disperato e richiedeva appoggio aereo urgente, non era possibile aspettare la scadenza ufficiale del 9 settembre, giorno entro cui sarà annunciata la nuova squadra di governo a Baghdad. I raid americani su Amerli, inoltre, sono ormai ingiustificabili soltanto con la spiegazione ufficiale del governo americano, che autorizza le operazioni in Iraq per la necessità di proteggere la vita del personale americano (Amerli è lontana e isolata nella provincia di Salaheddin). A luglio, durante una conferenza a Londra, l'ex generale David H. Petraeus - il più rispettato comandante militare americano quando si parla di Iraq - aveva ammonito: "Non possiamo diventare l'aviazione delle milizie sciite". "Se l'America interverrà in Iraq, dovrà essere per appoggiare un governo che lotta contro gli estremisti, non una delle due parti in una guerra civile fra sciiti e sunniti". Petraeus a luglio non negava del tutto la possibilità di raid aerei americani, ma diceva che il governo di Maliki non soddisfaceva le condizioni necessarie per intervenire. Il capo di una delle milizie più pericolose - la Lega dei giusti - è Qais al Khazali. Una volta disse nella prima intervista a un media non iracheno (il giornale al Akhbar) che il suo gruppo, assieme ad altre fazioni della "resistenza", ha "sconfitto gli americani, ne ha ucciso centinaia e li ha distrutti dal punto di vista del morale, costringendoli a una ritirata graduale per salvare la faccia". "Abbiamo fatto 6.035 operazioni durante gli anni dell'occupazione americana. Persino il comandante delle loro forze, il generale Ray Odierno, ha detto che il 73 per cento delle sue perdite è stato causato da milizie sciite" (vero, ma soltanto a un certo punto della guerra: il resto delle perdite fu inflitto dai gruppi sunniti precursori dello Stato islamico). Altre risposte nell'intervista erano dedicate a distruggere l'illusione di una indipendenza curda o di una maggiore libertà per i sunniti. Khazali parlava così nel gennaio 2012.
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