Fermare l'aggressore, ma come ? Papa Bergoglio non vuole le bombe, ma non indica un'alternativa Intervista di Gian Guido Vecchi
Testata: Corriere della Sera Data: 19 agosto 2014 Pagina: 2 Autore: Gian Guido Vecchi Titolo: «Il Papa: 'Se necessario sono pronto ad andare in Iraq'»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 19/08/2014, a pagg. 2-3, l'intervista di Gian Guido Vecchi a papa Bergoglio, dal titolo " Il Papa: 'Se necessario sono pronto ad andare in Iraq'"
Circa la persecuzione dei cristiani e di altre minoranze religiose in Iraq, Bergoglio chiede di fermare l'aggressore, ma precisa che ciò non significa un avvallo ai bombardamenti. Inoltre, si oppone a interventi unilaterali e chiede un intervento dell'Onu. Ci chiediamo quale contributo diano dichiarazioni che, mentre criticano ciò che viene fatto, non sugeriscono in alcun modo che cosa si dovrebbe fare in alternativa. In quanto all'Onu, Bergoglio dovrebbe raccomandare di aspettare il suo intervento direttamente alle migliaia di yazidi e caldei uccisi, schiavizzati o in fuga dallo Stato islamico.
Di seguito, l'articolo:
La conferenza stampa di Bergoglio prima dell'atterraggio a Ciampino
«Qualcuno mi ha detto: padre, siamo nella Terza guerra mondiale, ma fatta a pezzi, a capitoli». Il volo B777 è decollato a Seul da una mezz’ora e sta per sorvolare la Cina — «Se ci andrei? Ma sicuro, domani!» — quando Francesco raggiunge i settanta giornalisti che lo seguono da tutto il mondo. Si mostra sorridente e in forma, a dispetto dei cinque giorni di viaggio in Corea del Sud, sulla veste il fiocco giallo che ricorda il naufragio del traghetto Sewol, simbolo dei genitori che chiedono giustizia per i ragazzi morti: «Mi suggerivano: meglio toglierlo, ma con il dolore umano non si può essere neutrali». Come sempre il Papa risponde a tutte le domande, per un’ora, a cominciare dall’Iraq e dal terrore dell’Isis: «È lecito fermare l’aggressore ingiusto» ma «nessun Paese può giudicare da solo», avverte: la scelta spetta all’Onu. Intanto parla pure del successo continentale del San Lorenzo, la squadra del cuore («è una buona notizia, dopo il secondo posto in Brasile!»), racconta che in Vaticano «sono caduti i muri» e fa una vita normale senza più sentirsi prigioniero («prima il Papa non poteva prendere neanche l’ascensore da solo») e scherza perfino sulla propria morte, facendo oscillare la mano come chi fa segno di andarsene: «Ancora due o tre anni e via, si torna alla casa del Padre», ride sereno. Ma lo sguardo si oscura quando riflette sul conflitto diffuso e senza regole: «È un mondo in guerra dove si commettono crudeltà. Ora i bambini non contano! Una volta si parlava di guerra convenzionale, non dico che fosse una cosa buona ma oggi la bomba ammazza l’innocente con il colpevole, il bambino con la mamma, ammazza tutti. Ma vogliamo fermarci a pensare al livello di crudeltà a cui siamo arrivati? Crudeltà e tortura: oggi la tortura è uno dei mezzi direi quasi ordinari nel comportamento dei servizi di intelligence e in alcuni processi giudiziari. E questo ci deve spaventare. Non è per fare paura. Ma il livello di crudeltà dell’umanità in questo momento deve spaventare un po’». Santità, lei approva il bombardamento Usa sui terroristi in Iraq, per evitare il genocidio e tutelare le minoranze? «In questi casi, dove c’è un’aggressione ingiusta, soltanto posso dire che è lecito fermare l’aggressore ingiusto. Sottolineo il verbo: fermare. Non dico bombardare o fare la guerra, dico fermarlo. I mezzi con i quali si possono fermare dovranno essere valutati. Ma dobbiamo avere memoria, pure: quante volte, con la scusa di fermare l’aggressore ingiusto, le potenze si sono impadronite dei popoli e hanno fatto una bella guerra di conquista? Una sola nazione non può giudicare come si ferma un aggressore ingiusto. Dopo la Seconda guerra, sono state create le Nazioni Unite: là si deve decidere, come lo fermiamo? Solo questo, niente di più. Quanto alle minoranze, mi parlano dei cristiani che soffrono, dei martiri, ed è vero, ci sono tanti martiri. Ma qui ci sono uomini e donne, minoranze religiose non tutte cristiane, e tutte sono uguali davanti a Dio. Fermare l’aggressore ingiusto è un diritto che l’umanità ha. Ma c’è anche un diritto dell’aggressore ad essere fermato, perché non faccia del male». Sarebbe pronto a sostenere un intervento sul terreno per fermare gli jihadisti? Pensa di poter andare un giorno a pregare in Iraq o in Kurdistan? «Ho già dato la risposta: io sono d’accordo soltanto col fatto che, quando c’è un aggressore ingiusto, venga fermato. Quanto ad andare, ne abbiamo parlato, era una delle possibilità: se fosse necessario, ci dicevamo, dopo la Corea andiamo là. Sono disponibile. In questo momento non è la cosa migliore da fare, ma sono disposto ad andare». Lei è il primo Papa che abbia potuto sorvolare la Cina. Sono passi avanti di un dialogo possibile? E avrebbe desiderio di andarci? «All’andata, quando stavamo per entrare nello spazio aereo cinese, ero nella cabina di pilotaggio. Il pilota ha chiesto l’autorizzazione, una cosa normale, poi ha mandato il telegramma. Sono tornato al mio posto e ho pregato tanto per quel bello e nobile popolo cinese. Un popolo saggio: penso ai grandi saggi cinesi, una storia di scienza, di saggezza. Anche noi gesuiti abbiamo una storia, lì, con padre Matteo Ricci. Se ho voglia di andare in Cina? Ma sicuro, domani! Noi rispettiamo il popolo cinese, la Chiesa chiede soltanto libertà per il suo lavoro: nessun’altra condizione. Resta attuale la lettera fondamentale di Benedetto XVI ai cinesi. E la Santa Sede è sempre aperta ai contatti, sempre. Perché ha una stima vera per il popolo cinese». La preghiera per la pace con Peres e Abu Mazen è stata un fallimento? «Assolutamente no, io credo che la porta sia aperta. L’iniziativa è nata dai due presidenti, loro mi hanno fatto arrivare questa inquietudine. È stata aperta la porta della preghiera, perché la pace si merita con il nostro lavoro ma è un dono. Ciò che è arrivato dopo era congiunturale, la preghiera no. Ora il fumo delle bombe e della guerra non lascia veder la porta, ma la porta è rimasta aperta». Dove andrà nel 2015, dopo Sri Lanka e Filippine? «Vorrei andare a Filadelfia all’incontro delle famiglie, sono stato anche invitato dal presidente americano al congresso di Washington e dal segretario dell’Onu a New York. Forse andrò nelle tre città assieme. I messicani vorrebbero andassi alla Madonna di Guadalupe, si può approfittare di quel viaggio ma non è sicuro. Intanto quest’anno è prevista l’Albania, per due motivi importanti. Primo, perché sono riusciti a fare un governo di unità nazionale — ma pensiamo ai Balcani, eh? — tra islamici, ortodossi, cattolici, con un consiglio interreligioso che aiuta tanto, equilibrato e armonico, e questo va bene. La presenza del Papa vuole dire a tutti i popoli che si può lavorare assieme. Se poi pensiamo alla storia dell’Albania, è stato l’unico dei paesi comunisti ad avere l’ateismo pratico nella Costituzione: se andavi a messa era anticostituzionale! Sono state distrutte 1820 chiese, altre trasformate in cinema, teatri, sale da ballo...». Come vive la sua popolarità immensa? «La vivo come generosità del popolo, ringraziando il Signore che il suo popolo sia felice. Interiormente cerco di pensare ai miei peccati, ai miei sbagli, per non “credermela” («montarmi la testa», ndr ), perché io so che questo durerà come me, due o tre anni e poi via, alla casa del Padre!». I suoi rapporti con Benedetto XVI? «Ci vediamo, prima di partire sono andato a trovarlo, mi ha mandato un suo scritto interessante. Abbiamo un rapporto normale. Mi fa bene sentirlo, mi incoraggia. Forse l’idea non piace a qualche teologo, però io penso che il Papa emerito non sia una eccezione, ma già una istituzione. I secoli diranno se è così o no. La nostra vita si allunga e a una certa età la salute forse è buona ma non c’è più la forza di governare. Benedetto ha compiuto questa scelta nobile e umile. Io pregherò, ma se mi trovassi nella stessa situazione farei lo stesso». Lei ha una vita serrata. Poco riposo, niente vacanze. C’è da preoccuparsi? «Io passo le vacanze in casa. Una volta ho letto un libro interessante, s’intitolava “Rallegrati di essere nevrotico”! La mia nevrosi è che sono un po’ troppo legato al mio habitat. L’ultima volta che ho fatto vacanze fuori, con la comunità gesuita, è stato nel’ 75. Cosi faccio vacanza a casa, cambio ritmo: dormo di più, leggo cose che mi piacciono, sento musica, prego di più. E questo mi riposa, a luglio tante volte l’ho fatto. È vero, il pomeriggio che dovevo andare al Gemelli non ce la facevo. Erano giorni molto impegnativi. Adesso so che devo essere più prudente».
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