Poche munizioni, sistema di comunicazioni carente, con ufficiali incapaci di affrontare battaglie di campo e senza contatti con le tribù locali anche perché in pochi parlano arabo: è il ritratto, spietato, della vulnerabilità dei peshmerga del Kurdistan iracheno, che spiega le recenti sconfitte subite da parte delle forze fondamentaliste di al-Baghdadi. « I peshmerga che hanno tenuto testa per oltre dieci anni a Saddam Hussein si sono dissolti quasi come neve al Sole davanti all’offensiva di fine luglio di Isis» riassume Joshua Landis, direttore del centro di studi sul Medio Oriente all’Università di Oklahoma. La genesi di tale sorpresa è descritta dall’analisi di Michael Knights, esperto di Iraq del Washington Institute, basata su documenti delle forze armate Usa. «Quando Isis il 1° agosto è andato all’attacco di Sinjar e Rabiyah, ovvero l’enclave della minoranza Yazidi, i peshmerga hanno svelato una carente disposizione sul territorio» sottolinea Knights, riferendosi al fatto che unità formatesi nelle operazioni di guerriglia anti-Saddam hanno un’idea «molto povera» di cosa significa difendere territori, confini e città.
In particolare, nelle province di Ninive e Diyala ciò che è mancato è stato il raccordo con le località tribù sunnite anch’esse minacciate da Isis. Essendo guidati da ufficiali che spesso parlano solo curdo e senza legami con le realtà locali, i peshmerga hanno subito l’iniziativa di Isis fino al punto da essere beffati nella sfida fra mezzi pesanti: tank, blindati e artiglieria. E qui c’è il vero tallone d’Achille dei pershmerga, ammesso dai portavoce del governo di Erbil, perché le forze curde si sentivano inattaccabili a causa del possesso di ingenti mezzi dell’ex esercito di Saddam. Ma alla prova del fuoco si è svelato che Isis aveva più munizioni. Il motivo probabilmente è nel fatto che i peshmerga non si sono mai curati di avere scorte di munizioni per combattere una campagna tradizionale mentre gli uomini di Al-Baghdadi sono reduci dal saccheggio delle basi militari di Saddam nel Nord dell’Iraq. «A ciò bisogna aggiungere la realtà di un cattivo addestramento – concordano Landis e Knights – che li rende vulnerabili agli attacchi di sorpresa, proprio come avvenuto per le forze irachene aggredite da Isis a Mosul in una sorta di campagna-lampo». Sono tali premesse a spiegare il tipo di raid militare scelto dal Pentagono: i caccia hanno bersagliato artiglierie e depositi di munizioni per privare Isis del maggiore vantaggio tattico. Tentando così di restituire sicurezza ai peshmerga chiamati, secondo il presidente del Kurdistan iracheno Mahmud Barzani, a «restare all’offensiva con una tattica diversa».

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