Dalla rottura della tregua agli scudi umani: le responsabilità di Hamas nascoste o minimizzate nelle cronache di Bernardo Valli e Cosimo Caridi
Testata:La Repubblica - Il Fatto Quotidiano Autore: Bernardo Valli - Cosimo Caridi Titolo: «Tregua finita a Gaza solo 3 giorni di pace - Gaza si torna a scuola, per nascondersi»
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 09/08/2014, a pagg. 1-14, l'articolo di Bernardo Valli dal titolo "Tregua finita a Gaza solo 3 giorni di pace " e dal FATTO QUOTIDIANO pag. 13, l'articolo di Cosimo Caridi dal titolo "Gaza si torna a scuola, per nascondersi "
Titoli e testi di questi articoli non chiariscono che la tregua è stata rotta da Hamas, non spiegano che le richieste dell'organizzazione islamista, tra le quali la riapertura di porti e aereoporti, faciliterebbero il suo riarmo e dunque una nuova guerra. Descrivono le sofferenze della popolazione di Gaza senza spiegarne il contesto, con il risultato che il lettore è portato a darne la colpa a Israele, mentre la conoscenza dei fatti consentirebbe di capire che la responsabilità è tutta di Hamas e delle sue scelte di guerra. Cosimo Caridi sul FATTO QUOTIDIANO collega l'interruzione della trattativa al fatto che "non c'è stata apertura alle principale volontà di Hamas: l'interruzione del blocco della Striscia, con l'apertura di un corridoio navale", senza spiegare le ragioni di questo rifiuto e alla "questione spinosa dei prigionieri politici palestinesi" cioé dei terroristi detenuti in Israele di cui Hamas vuole la liberazione. Bernardo Valli su REPUBBLICA si spinge ad ammettere che l'argomento israeliano dell'uso degli abitanti di Gaza come scudi umani da parte di Hamas "può non essere sempre infondato", ma diminuisce le responsabilità di Hamasaccogliendo la tesi per la quale condurre operazioni terroristiche da aree civili sarebbe inevitabile a Gaza a causa della densità di popolazione: " la condizione umana è soprattutto una realtà, anche se diventa uno strumento ". In realtà, come mostra la cartina che riproduciamo qui sotto, a Gaza solo alcune città hanno un'alta densità di popolazione, mentre vi sono aree poco popolate nelle quali Hamas avrebbe potuto collocare le sue infrastrutture "militari".
Di seguito, gli articoli:
LA REPUBBLICA - Bernardo Valli: " Tregua finita a Gaza solo 3 giorni di pace"
Bernardo Valli
GERUSALEMME - Non hanno neppure avuto bisogno di guardarsi negli occhi. Il rifiuto era deciso prima ancora che cominciasse la tregua di tre giorni. Era scontato che non venisse prolungata. O che non portasse a qualcosa di positivo. Dopo decenni di odio e un mese di massacro non ci si poteva dichiarare d’accordo troppo in fretta, sia pure per un altro effimero cessate-il-fuoco. Era il primo round. Una pausa di 72 ore era già un miracolo della terra non per niente tre volte santa. Un’altra manciata di morti e sarà possibile fare di più. L’intensa ripresa dello scontro tra razzi palestinesi e incursioni aeree israeliane non può durare a lungo. Le reazioni del mondo pesano. Le vittime lacerano la popolazione di Gaza; assumono un peso politico per Hamas; non esaltano la democrazia israeliana quando il numero di quelle palestinesi è sproporzionato. L’argomento della densità degli abitanti e il loro uso come scudi può non essere sempre infondato, ma la condizione umana è soprattutto una realtà, anche se diventa uno strumento. Almeno una pausa supplementare è dunque urgente. Niente pronostici. Farne sarebbe azzardato.
BERNARDO VALLI
AL Cairo, israeliani e palestinesi non si sono neppure incontrati faccia a faccia per trattare. Erano in camere separate e gli egiziani facevano la spola assecondati dagli americani. I primi, i padroni di casa, non amano Hamas, è la versione palestinese dei Fratelli Musulmani decimati l’anno scorso dal maresciallo Al Sisi, il nuovo raìs, e adesso il grande mediatore, sulle sponde del Nilo. I palestinesi non dovevano sentirsi tanto sicuri. Uno di loro cercava di muoversi tenendo sempre le spalle incollate al muro. L’hanno raccontato i cronisti andati ad ascoltare le dichiarazioni degli uomini di Hamas in un periferico albergo del Cairo, dopo essere stati minuziosamente identificati dai servizi di sicurezza egiziani.
Uno spera sempre, in questi casi, che le cose vadano meglio di quel che lascia intravedere la logica. Ieri, venerdì, quando si sono sentite le prime esplosioni siamo stati in tanti a essere delusi. Chi ha la vista buona ha persino seguito in cielo la striscia bianca, simile a una stella filante candida, che neutralizzava uno dei 33 razzi palestinesi lanciati, subito dopo la fine della tregua, tra le 8 e le 13, e atterrati nel Sud di Israele senza fare danni. Alcuni sono esplosi in aria colpiti per fortuna dalla Cupola d’acciaio (lo scudo antimissili Iron Dome), e così neutralizzati prima che cadessero sui tetti della città d’Ashkelon. I restanti sono finiti in zone deserte.
Era di primo mattino a Gaza, e per le strade la gente era tanta. Seppelliti i morti, restavano le macerie e la voglia di quiete dopo le sanguinose giornate di luglio. La decisa risposta israeliana al lancio dei razzi palestinesi ha segnato il ritorno a quella che sembrava diventata realtà quotidiana. Zuheir, 19 anni, racconterà poco dopo che il fratello Ibrahim, 10 anni, era rimasto ucciso sul sagrato della moschea nel quartiere Sheik Radwuan. A fine giornata, cinque le vittime tra i palestinesi.
Gli israeliani avrebbero prolungato il cessate- il-fuoco senza porre condizioni, a respingere la proposta è stata Hamas costretta a dimostrare di esistere ancora dopo i 29 giorni di sangue. Ha però detto di essere sempre disponibile alle trattative. Doveva tuttavia ottenere al Cairo qualche cosa di concreto. Era incalzata dalla sua componente armata e dai movimenti estremisti come la Jihad islamica, non a caso la prima a lanciare i razzi al fine di dimostrare la fine della tregua. Di concreto Hamas ha chiesto il ripristino del porto per ricevere aiuti e rilanciare un traffico marittimo. Ha chiesto altresì l’estensione della zona di pesca essenziale per la vita di molti abitanti. Ha chiesto il rilascio dei prigionieri. Ha chiesto la libertà degli abitanti di uscire dai confini della Striscia. In sostanza ha domandato la fine del blocco imposto dagli israeliani. È assai improbabile che ci sia stato il tempo per affrontare con chiarezza tutte questi argomenti. Il Cairo era un appuntamento in cui le parti non dovevano perdere la faccia. È dai risultati che si riconosce chi ha vinto una prova. E l’esito del conflitto di luglio è ancora incerto. Lo si deciderà la prossima volta forse con le trattative forse ancora con le armi.
Gli israeliani hanno avanzato soprattutto la proposta di smilitarizzare Gaza. Pare non si siano opposti all’estensione della zona di pesca o all’accesso alle zone agricole confinanti con Israele, ritenute di sicurezza e per questo abbandonate. Hamas non poteva partire dal Cairo a mani vuote e al tempo stesso impegnarsi in un altro cessate-il-fuoco. Israele non poteva fare concessioni, senza ottenere perlomeno l’avvio di una discussione sulla smilitarizzazione. In tal caso Hamas sarebbe uscita vincente dallo scontro di luglio, il terzo in cinque anni. Sintomo positivo è la smobilitazione parziale di Israele che ha dimezzato gli 82mila uomini in armi.
La questione essenziale resta la neutralizzazione di Hamas. Il suo disarmo vasto e lungo programma. A parte le emozioni del momento dovute ai 2mila morti, il movimento è classificato terrorista e ormai apertamente inviso a quasi tutti i regimi della regione: a Israele, ovviamente, ma anche all’Egitto, all’Arabia Saudita e a quasi tutti gli emirati del Golfo, con l’eccezione del ricco Qatar. L’appoggio dell’Iran un tempo aperto è adesso più sfumato. Teheran è impegnata in negoziati sul nucleare ed evita di appesantire la sua posizione. Di riflesso è diminuito il sostegno degli Hezbollah libanesi, sensibile ai richiami iraniani. Le carte mediorientali sono stata rimescolate. Al confronto sunniti-sciiti, si è aggiunto quello all’interno dei sunniti tra islamisti e anti-islamisti. L’isolamento di Hamas subisce questi mutamenti.
La sua comparsa sulla ribalta mediorientale risale al 14 dicembre 1987, quando fu pubblicato un documento in cui un quasi sconosciuto Movimento della resistenza islamica (Hamas) garantiva l’appoggio alla sollevazione palestinese (la seconda Intifada) appena cominciata. Parenti dei Fratelli musulmani egiziani, quelli di Hamas sono diventati nei due decenni successivi i protagonisti dell’opposizione alla presenza israeliana. Estranei ai grandi gruppi nazionalisti, piuttosto dediti all’assistenza sociale e sanitaria, con un’impronta islamica, i capi di Hamas sono stati a lungo osservati con indulgenza dagli israeliani allora preoccupati i dalle grandi formazioni nazionaliste, quali Al Fatah. È nel 1988 che avviene la svolta con un documento, reso pubblico in agosto, in cui alla netta impronta islamica e antiebraica si affianca la difesa di una visione integralista della Palestina. Frutto dell’imperialismo, Israele non ha alcuna legittimità per Hamas, la quale esclude quindi ogni possibile compromesso con lo Stato ebraico.
Da qui la condanna degli accordi di Oslo del 1993 (tra l’Olp e Israele) e l’avvio di un’attività terroristica che per due anni, tra il 1994 e il 1996, farà numerose vittime israeliane con gli attentati dei kamikaze. Questi ultimi assumeranno un ritmo intenso dalla primavera del 2001, a opera delle Brigate Ezzedine al-Qassam. La strepitosa vittoria di Hamas nel 2006 alle elezioni del Consiglio legislativo palestinese, non fu tanto dovuta a una svolta islamista della popolazione, quanto al rifiuto della corruzione dei vecchi movimenti nazionalisti, quali Al Fatah. Messo al bando come movimento terrorista, nonostante la vittoria elettorale, Hamas si lanciò un anno dopo in un atto di forza e decise la secessione di Gaza dal resto della Palestina. È a quegli avvenimenti che si riallaccia il progetto di riportare la Striscia, sull’orlo del fallimento finanziario e semidistrutto dalle reazioni israeliane, sotto il controllo della moderata Autorità palestinese alla quale si è parzialmente ricongiunta da alcuni mesi. Rinsavire Hamas, le sue componenti armate e terroriste, e i suoi concorrenti estremisti, non è tuttavia un’operazione agevole.
Il FATTO QUOTIDIANO - Cosimo Caridi " Gaza, si torna a scuola: per nascondersi"
Cosimo Caridi
Trattativa sospesa Tel Aviv non ha ceduto sul rilascio di centinaia di prigionieri e sulla sospensione del blocco della Striscia di Cosimo Caridi Striscia di Gaza Gran sorriso, vestiti puliti e capelli appena tagliati, per Ahmed, sette anni, potrebbe essere il primo giorno di scuola, invece sotto il banco, dove ora è seduto, condividerà le prossime notti con i fratelli. La sua famiglia vive ad Atatra, un villaggio al confine nord della Striscia "siamo andati a casa quando è iniziata la tregua — spiega il padre - poi ieri siamo tornati qui alla scuola dell'Onu". La loro casa è ancora in piedi "qualche buco sulla facciata, ma non siamo al sicuro se l'esercito israeliano entrerà di nuovo". Sono state decine di migliaia i gazawi che nei tre giorni di tregua sono tornati alle loro case, chi le ha trovate distrutte ha allestito sulle macerie delle piccole tende. Poi ieri mattina alle otto, con una puntualità che solitamente non è un segno distintivo di questo angolo di Mediterraneo, sono riprese le bombe e in molti sono stati nuovamente costretti a lasciare le proprie case. Hamas ha lanciato una ventina di razzi poi ha risposto l'aviazione israeliana. Viene colpito duramente il campo profughi di Jabalia: subito arriva il primo morto: Jibrahim, 10 anni giocava in un parco accanto a una moschea. Yamin ha 12 anni, anche lui vive a Jabalia. Ieri mattina è tornato con la famiglia in una scuola dell'Onu. Corre giù per le scale e con un gruppetto di coetanei si mette in posa per una foto. LE BOTTIGLIE d'acqua che stanno andando a riempire alla cisterna, diventano delle pistole. "Le scuole dovrebbero essere il luogo dove educano i nostri bambini — dice Muna, mamma trentenne di Yamin e altri cinque figli - ma noi non abbiamo altro posto dove andare. Siamo stati a casa nostra tre giorni, senza acqua ne elettricità, ma almeno non abbiamo dormito in questa classe". Durante la tregua, secondo le Nazioni Unite 100 dei 260mila sfollati in questo mese di guerra avevano preso la via di casa, abbandonando, le 90 scuole dell'Unwra che erano state il rifugio per tutti. Fonti governative stimano in circa 450mila sfollati in tutta la Striscia. Per l'Unicef oltre a 370mila minori hanno bisogno di assistenza psicologica per i traumi di guerra. Ma questi sono dati ancora provvisori, infatti le trattative per un cessate il fuoco duraturo si sono arenate. Israele in un primo momento ha chiesto che Hamas venga disarmato, richiesta irricevibile per il movimento islamico, che si dipinge come la resistenza del popolo palestinese. Con l'andare avanti dei colloqui questa proposta è stata accantonata, ma non c'è stata apertura alle principale volontà di Hamas: l'interruzione del blocco della Striscia, con l'apertura di un corridoio navale: Tel Aviv sembra non voler cedere. Poi rimane la questione spinosa dei prigionieri politici palestinesi. Più di 500 persone sono state fermate dopo l'assassinio dei tre coloni israeliani, inoltre c'è una "porzione" di prigionieri, arrestati prima del 1993, che dovevano essere rilasciati a giugno, ma che Israele detiene ancora nelle sue prigioni.
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