Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 06/08/2014, a pag. 11, l'articolo di Gian Micalessin dal titolo "Fine del sermone: espulso dall'Italia l'imam antisemita ", dal CORRIERE della SERA a pag. 12, l'articolo di Roberto Tottoli dal titolo " Islam e Potere, il Doppio Linguaggio".
Il commento di Roberto Tottoli, invece di affrontare l'evidenza dell'estremismo, dell'antisemitismo e del sostegno al terrorismo nell'islam italiano, sviluppa una disquisizione lessicale sul "califfato'.
Sul quale, al posto, degli articoli di Tottoli, sarebbe più istruttivo leggere i libri di Bat Ye'or, la prima a denunciare il piano per la sua restaurazione e per la sottomissione dell'Occidente.
Di seguito, gli articoli:
Il video del sermone è visibile nella home page di IC, in alto a destra
Il GIORNALE - Gian Micalessin: " Fine del sermone: espulso dall'Italia l'imam antisemita"
Gian MicalessinIeri mattina il ministro dell'interno Angelino Alfano s'è letto Il Giornale e ha deciso che Raoudi Albdelbar, l'imam marocchino della moschea di San Donà che invocava lo sterminio degli ebrei, non poteva restare nel Belpaese. E ne ha disposto l'espulsione per turbamento dell'ordine pubblico, minaccia alla sicurezza nazionale e discriminazione per motivi religiosi. «Non è accettabile venga pronunciata un'orazione di chiaro tenore antisemita, contenente espliciti incitamenti alla violenza e all'odio religioso - ha detto il ministro augurandosi che il tutto valga da monito per chiunque pensi di poter predicare odio».
Sapere che il ministro ci legge con attenzione fa piacere. Ma fa anche un po' specie. La questione della predicazione nelle moschee e dell'incitamento all'odio non è argomento di dirompente imprevedibilità. I precedenti di viale Jenner a Milano, per non parlare della moschea Al Qud di Amburgo dove si formò il capo dei kamikaze dell'11 settembre, qualcosa dovrebbero aver insegnato. Invece, 13 anni dopo, tutto sembra come prima. La vigilanza sulle prediche di un imam marocchino in Veneto restano affidate a un think tank di Washington e a un quotidiano italiano pronto a pubblicarne le segnalazioni. Cosa sarebbe successo se Il Giornale non ne avesse scritto? Il presidente della provincia di Venezia Francesca Zaccariotto, sindaco di San Donà di Piave dal 2003 al 2013, ha raccontato che la «presenza di elementi radicali era stata più volte segnalata» anche con esposti ai Carabinieri, segnalazioni rimaste lettera morta. Negligenza non irrilevante visto che nel 2012 la Digos di Venezia aveva arrestato il siriano Ahmad Chaddad, ex imam della stessa moschea fino al 2009, con l'accusa di estorsione ai danni degli immigrati della zona. Sotto la superficie dell'indagine ribollivano i sospetti sul trasferimento in Medioriente di oltre un milione e mezzo di euro serviti - si ipotizzava - a finanziare attività eversive. Un sospetto rafforzato dalle pregresse relazioni di Chaddad con Abu Imad, l'omologo della moschea milanese di viale Jenner, condannato per favoreggiamento del terrorismo. Contatti a cui s'aggiungevano quelli con il «collega» di Como Ben Hassine Mohamed Senoussi, espulso dall'Italia per presunto proselitismo illegale.
Se la distrazione delle autorità è sconfortante l'acquiescente indifferenza di quanti all'interno delle comunità islamiche ignorano incitazioni all'odio e gravi degenerazioni ideologiche è assolutamente inquietante. Nonostante le follie jihadiste di Iraq e Siria molti musulmani continuano a considerare gli estremisti alla stregua di «fratelli che sbagliano» e preferiscono non denunciarli alle autorità di uno stato «infedele». Ieri Bouchaib Tanji, presidente della Federazione Islamica del Veneto ha appoggiato l'espulsione dell'imam ricordando che l'Islam è una religione di pace e ricordando la necessità di «cacciare chi predica la morte». Ma queste adesioni solidaristiche arrivano sempre a posteriori. Come mai chi vive nelle moschee non allontana gli imam estremisti? Domande non proprio illogiche visto che lunedì un imbarazzato Kamel Layachi, imam di San Donà prima dell'arrivo di Raoudi Albdelbar, spiegava a Il Giornale che le invettive del suo successore «riflettono lo stato d'animo, di disagio e di rabbia delle Comunità musulmane d'Italia circa i crimini quotidiani d'Israele perpetrati nei confronti del popolo Palestinese». Come dire che per punire uno Stato (Israele) è giusto invocare lo sterminio di un popolo.
CORRIERE della SERA - Roberto Tottoli: " Islam e Potere, il Doppio Linguaggio"
Roberto TottoliMai come in queste settimane termini e concetti musulmani invadono giornali. L’annuncio dell’espulsione dell’Imam di San Donà di Piave sottolinea che la parola imam è entrata ormai nel vocabolario di tanti italiani. Come l’onnipresente jihad, oppure come altri termini usati ormai con disinvoltura, anche dai nostri politici. Roberto Maroni, a inizio 2012, accennando a qualche contrasto interno al suo partito, parlò di una fatwa incomprensibile lanciata contro di lui. Solo lo scorso novembre l’allora presidente del consiglio Enrico Letta si sfogava contro i richiami europei all’Italia, ad opera di quelli che definiva Ayatollah del rigore.
Questa profusione di terminologia islamica non tocca solo l’occidente, ma anche lo stesso mondo musulmano, per ragioni diverse. Jihadisti e nuove entità nate dalle crisi in atto stanno riportando agli onori delle cronache i termini califfo e califfato, emiro ed emirato. Ma non sono termini complementari, anzi, riflettono tendenze opposte e contrastanti. Da un lato un Califfo, come quello di Mosul, che pretende il titolo della massima autorità sunnita, da decenni cancellata e per cui sono richiesti requisiti particolari, qualità e un consenso che per ora mancano. Dall’altro emirati jihadisti, dalla Libia alla Siria, che utilizzano un termine come quello di emiro, dall’arabo amir, che significa «comandante», per richiamare un’autorità circoscritta, di valenza religiosa prudentemente minore. Molti sono gli emiri, insomma, che possono comandare, mentre un califfo, questo il senso di questi titoli che si inseguono, è un’altra cosa e andrebbe scelto diversamente.
Questi richiami continui a califfi o emiri segnano una cesura netta nell’immaginario dell’islam politico. Le guerre civili e la dissoluzione di stati dopo le primavere arabe hanno aperto la strada non solo a scontri di ogni genere ma anche al confronto ideologico a colpi di immaginario religioso. E così, mentre il vocabolario occidentale conosce e usa sempre più termini islamici, il mondo musulmano assiste alla riproposizione di termini antichi, al fine di sostanziare pretese contrastate e contrapposizioni polemiche.
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