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Corriere della Sera Rassegna Stampa
06.08.2014 La guerra Israele-Hamas vista da André Aciman
intervista di Viviana Mazza allo scrittore cacciato dall'Egitto perché ebreo

Testata: Corriere della Sera
Data: 06 agosto 2014
Pagina: 11
Autore: Viviana Mazza
Titolo: «Dico no al pessimismo facile. La gente ha bisogno di pace»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 06/08/2014, a pag. 11, l'intervista di Viviana Mazza allo scrittore André Aciman, dal titolo "Dico no al pessimismo facile. La gente ha bisogno di pace " 


Viviana Mazza           André Aciman

 «Essere pessimisti è la cosa più facile», dice al telefono da New York André Aciman, lo scrittore di «Ultima notte ad Alessandria» e di «Harvard Square» (Guanda). Come gli disse un tassista che nel 1995 lo portò a Bet-lemme appena consegnata all'Autorità palestinese, «ho fiducia nel processo di pace non perché io abbia fede in esso ma perché non ho nient'altro». «Quel che conta — spiega lo scrittore — è la volontà e la necessità di considerare la pace». E Aciman, ebreo di origini egiziane, costretto a lasciare il Paese sotto Nasser nel 1965, vissuto a Roma per tre anni, poi emigrato negli Stati Uniti, si chiede come debba essere quella «sindrome del lunedì mattina», dopo la «domenica» in cui i nemici si riconosceranno a vicenda. In America, l'opinione pubblica è profondamente divisa sul conflitto. Lei quale punto di vista condivide?
«C'è un punto di vista liberal pro-palestinese, che attraversa tutte le religioni, ed è condiviso da molti intellettuali e accademici ebrei e americani come me che, pur sostenendo il diritto di Israele ad esistere, riconosce che la violenza contro i palestinesi è inaccettabile. E c'è un altro punto di vista, che dice che Israele ha il diritto di difendersi ad ogni costo, e anch'esso è molto radicato. La ragione per cui posso parlare di entrambi è che li condivido entrambi. Paradossalmente, l'ultima cosa che leggo è sempre la più convincente. Per gli israeliani c'è il problema tangibile dei razzi e dei tunnel: sono stanchi della guerra, ma non possono vivere con la minaccia di gallerie designate unicamente ad attaccare i kibbutzim e a rapire i soldati. Intanto, se sei un arabo a Gaza, non hai cibo, non puoi pescare, devi aspettare per giorni in fila al confine per andare in ospedale, la vita è intollerabile».
Cessate il fuoco, tregue, e poi la guerra che torna come un déjà vu. E' possibile vedere in queste pause la chiave per una soluzione duratura?
«In tutta onestà quanto vale un pezzo di carta? Hamas ha violato le tregue, ma Israele aveva bisogno di distruggere i tunnel e quindi ha posto delle condizioni che agli occhi di Ha-mas sono inaccettabili. Allo stesso tempo Israele ha bisogno di approvare le tregue per ragioni di pubbliche relazioni. C'è stata una tregua informale nel 2012 e in qualche modo aveva funzionato ma la gente di Gaza è strangolata, ha vissuto in uno stato di assedio per tutto il tempo. Intanto Hamas ha costruito i tunnel. Intanto ogni volta lo spettro dell'antisemitismo si risveglia, com'è successo a Roma nei giorni scorsi. Il grosso errore che ha commesso Israele, il più grosso di tutti, di cui parlano pochissimi è che due mesi fa avrebbe dovuto appoggiare "l'unificazione" di Gaza e dell'Autorità palestinese: in quel modo la forza di Hamas avrebbe potuto essere diluita». Crede nello Stato palestinese?
«Uno Stato palestinese è inevitabile, così come lo è lo smantellamento delle colonie non strategiche. Non credo nel nazionalismo, credo che sia una perdita di tempo ma certo è più facile per me perché sono cresciuto in un ambiente fin troppo cosmopolita. Credo che la sola soluzione sia di incoraggiare la prosperità a Gaza come in Cisgiordania, di rendere prezioso quel pezzo di terra, di permettere alla gente di crescere i figli, di mandarli a scuola, di pagare i salari, che è un grosso problema per Hamas. Ma certo deve esserci qualcuno che monitori, e non mi fido dell'Onu, perché il loro punto di vista si appiattisce troppo su quello delle persone con cui vivono e che osservano».
Si fida della mediazione egiziana?
«Se vogliamo parlare dell'Egitto dobbiamo ripensare a Mubarak Mubarak era molto furbo: aveva un trattato di pace con Israele, ma allo stesso tempo ha incoraggiato e istituzionalizzato l'odio contro Israele, anche più che ai tempi di Nasser, per mantenere l'ordine e tenere al suo posto la Fratellanza Musulmana dicendo di odiare gli israeliani quanto loro. Di Morsi ho ascoltato un discorso in cui prometteva di liberare Gerusalemme, anche se sui media non ha trovato spazio. E ora c'è Sisi, che odia la Fratellanza musulmana e Hamas, e si è trovato a favorire Israele, ma se mi chiede quale sarà la sua posizione in sei mesi, non ne ho idea, e nel frattempo l'antisemitismo in Egitto è rampante».
E lei è più tornato in Egitto?
«Nel 1995, sono stato ad Alessandria per il New York Times. Avevo appena finito di rivivere la mia infanzia scrivendo "Ultima notte ad Alessandria". La città era uguale: dopo 3o anni non potevo perdermi, ma la gente era cambiata, non era più cosmopolita, mi avvicinava per chiedermi "Sei una spia?", forse sospettavano che fossi ebreo. Poi in taxi, ho cominciato a parlare in arabo. "Perché te ne sei andato?" mi ha chiesto il tassista. "Perché sono ebreo, mi avete cacciato". Ma lui non aveva memoria di questo: la memoria degli ebrei in Egitto è stata cancellata. Non ci tornerò mai più, a meno che le cose non cambino».

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