Condanne a priori e cattivi consigli a Israele la cronaca di Fabio Scuto, un'intervista a Mustafa Barghouti e un commento di Thomas L. Friedman
Testata: La Repubblica Data: 04 agosto 2014 Pagina: 12 Autore: Fabio Scuto - Vanna Vannuccini - Thomas L. Friedman Titolo: «Gaza, strage di civili ancora bombe sull’Onu 'È un attacco criminale' - 'Barghouti: Ora ci vuole l'intifada della non-violenza' - L'unico modo per finire la guerra»
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 04/08/2014, a pagg.12-13, l'articolo di Fabio Scuto dal titolo "Gaza, strage di civili ancora bombe sull’Onu 'È un attacco criminale' " e l'intervista di Vanna Vannuccini a Mustafa Barghouti dal titolo " 'Barghouti: Ora ci vuole l'intifada della non-violenza' " e da pag. 13 l'articolo di Thomas L. Friedman, ripreso da THE NEW YORK TIMES dal titolo " L'unico modo per finire la guerra".
Titolazione e testo dell'articolo di Scuto riprendono acriticamente la versione dei fatti di chi condanna Israele e non danno rilievo alle informazioni fornite da Tsahal, riportate per di più in modo impreciso. Mentre il portavoce dell'esercito ha dichiarato, come riporta Maurizio Molinari nella sua cronaca "Abbiamo sparato contro tre terroristi della Jihad islamica in moto, nei pressi della scuola dell’Unrwa a Rafah", per Scuto " i colpi sparati erano destinati — secondo la versione fatta circolare dall’esercito israeliano — a tre “sospetti” che si aggiravano in moto nella zona".
L'intervista a Mustafa Barghouti è un campionario di propaganda antisraeliana, dall'affermazione che Israele avrebbe compiuto "razzie" in Cisgiordania (cioé arresti di terroristi di Hamas), alla tesi per la quale una guerra che il governo di Netanyahu, in realtà, ha fatto il possibile per evitare attuerebbe un piano preordinato per riconquistare Gaza, fino alla giustificazione del terrorismo come "difesa" dei palestinesi dall'"occupazione", quando è noto che i palestinesi hanno sempre rifiutato ogni occasione di ottenere uno stato e di porre fine allo guerra permanente con Israele.
L'analisi di Thomas L. Friedman propone come soluzione al problema Hamas il governo palestinese unitario, che dovrebbe permettere ad Abu Mazen di prendere il controllo di Gaza. E' chiaro invece che la storia e l'ideologia di Hamas, e il vasto consenso di cui gode tra i palestinesi fanatizzati dalla propaganda antisraeliana, rendono molto più plausibile l'ipotesi opposta: che il governo di "unità nazionale" sarebbe il mezzo con il quale il gruppo islamista prenderebbe il controllo del West Bank, accrescendo enormemente la minaccia che ora proviene a Israele da Gaza. Che diventerebbe tale anche da Giudea e Samaria.
"Che tutto il mondo veda: gli israeliani stanno attaccando le nostre donne e i nostri bambini !!"
Di seguito, l'articolo di Fabio Scuto:
Fabio Scuto
Si fermano le operazioni terresti ma la guerra continua, e fa ancora vittime. Quasi cento morti ieri nella Striscia dove se i militari si sono ritirati dal terreno di Gaza, droni, caccia F-16 e navi hanno proseguito nel tiro al bersaglio. Per la terza volta in dieci giorni un’altra strage si è consumata in una scuola dell’Unrwa a Rafah, trasformata in alloggio per oltre tremila sfollati, che riempivano ogni possibile spazio vitale. Il mattonato della scuola con la bandiera blu dell’Onu già di prima mattina era una pozzanghera di sangue, stracci, vestiti e materassi abbandonati. I soccorritori che si affannavano per evacuare i feriti, davanti a una folla attonita, smarrita di fronte a quell’orrore con decine di bambini tra le braccia. «Nessuno ci protegge», urla tra le lacrime una donna sola mentre si percuote il petto. Alcuni dei feriti, tra i quali i bambini con bende testa insanguinata, sono stati trasportati in un ospedale kuwaitiano a Rafah e altri venivano trattati in quello che sembrava essere una clinica improvvisata sotto una tenda. Diversi cadaveri, avvolti in un panno bianco, erano allineati sul pavimento. Una strage di dieci innocenti che il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha definito uno scandalo dal punto di vista morale e «un atto criminale, una chiara violazione del diritto umanitario internazionale», senza mai nominare espressamente Israele ma sottolineando che l’Idf è al corrente delle coordinate di tutti gli impianti Onu nella Striscia. Gli Stati Uniti lo hanno definito un bombardamento «vergognoso e oltraggioso». I colpi sparati erano destinati — secondo la versione fatta circolare dall’esercito israeliano — a tre “sospetti” che si aggiravano in moto nella zona, ma si è schiantato sul cancello devastando con la sua forza esplosiva e le sue schegge il cortile dove si trovavano in quel momento centinaia di persone. Per Rafah, dove l’inferno di fuoco non si è mai interrotto da venerdì scorso, non era ancora finita. Un altro missile ha colpito in pieno la casa della famiglia Al-Ghul, decimando i presenti, nove membri della famiglia sono rimasti sotto le macerie. Questa città del sud estesa e traboccante verso l’Egitto è sotto gli attacchi aerei e il bombardamento dell’artiglieria da quando, venerdì scorso, tre soldati israeliani sono stati uccisi nei combattimenti di terra e il cessate- il-fuoco annunciato da John Kerry è sfumato nello spazio di 90 minuti. Da allora a oggi, solo a Rafah sono morte 200 persone, tutti civili. Una tragica contabilità che porta a oltre 1.800 il numero dei palestinesi uccisi e quasi novemila i feriti. E stando ai rapporti dell’Onu il 74% delle vittime sono civili. In Israele sono 64 i militari caduti, e tre i civili uccisi. «Questa follia deve finire», ha detto il segretario generale delle Nazioni Unite, mentre gli appelli per una «tregua umanitaria» della comunità internazionale cadono nel vuoto. Questa è la terza volta in dieci giorni che un bombardamento colpisce una scuola dell’Unrwa facendo vittime. Trenta palestinesi sono stati uccisi fra coloro che avevano cercato protezione sotto la bandiera dell’Onu negli attacchi contro le scuole di Beit Hanoun il 24 luglio e il 31 luglio a Jabaliya, centinaia i feriti. Mentre i bombardamenti proseguivano, erano ben visibili per le fontane di sabbia che sollevano, un centinaio di carri armati israeliani ed altri veicoli cingolati mentre viaggiavano verso il confine della Striscia, percorrendo in senso inverso le piste che a gran velocità avevano percorso lo scorso 17 luglio, quando l’operazione “Confine protettivo” si era trasformata in una vasta operazione di terra. Ufficialmente l’esercito israeliano ha confermato solo ieri per la prima volta che ha iniziato a ritirare un certo numero di truppe. «Ritiriamo i reparti, cambiamo un po’ la dislocazione sul territorio, la missione è in corso», annuncia il portavoce dell’esercito, Peter Lerner. Nella Striscia esplode la catastrofe umanitaria. La “cessazione delle ostilità” in alcune aree e l’invito dell’esercito israeliano a rientrare nei villaggi a nord della Striscia, come Beit Hanoun e Beit Lahiya, non hanno avuto nessun effetto. La popolazione è terrorizzata da una ripresa dei bombardamenti. Qui, anche ieri droni e caccia F-16 hanno proseguito i loro raid. Dalle scuole dell’Unrwa non c’è stato un controesodo. Sono ormai 270 mila gli sfollati accampati e sotto la bandiera dell’Onu non c’è più posto. Come ha scoperto Ahmad Abu Amsha, capofamiglia di un clan numeroso. E trovare posto a Gaza per una famiglia allargata di 56 persone non è un esercizio semplice. Dopo aver vagato da una scuola all’altra ha deciso di “occupare” pacificamente tre magazzini vuoti. Ahmad gesticola e nemmeno più lui riesce a contare i parenti che si accalcano su materassi e coperti stesi sul pavimento. Abitavano tutti a Beit Hanoun, che è solo un chilometro più avanti, da dove sono scappati a gruppetti di due-tre sotto un diluvio di fuoco a metà luglio. I tre magazzini — dove sono stipati in più di cento — servono solo per dormire e stare durante il giorno, racconta Ahmad, «per il cibo c’è l’aiuto e la solidarietà dei vicini, per lavarci e magari una doccia andiamo alla moschea che ha l’acqua ma anche il generatore per caricare il cellulare. Lo so che è un rischio, perché bombardano pure le moschee ma dobbiamo pur lavarci, dobbiamo restare umani»
Di seguito, l'intervista di Vanna Vannuccini a Mustafa Barghouti:
Vanna Vannuccini Mustafa Barghouti
GERUSALEMME «Eravamo venuti al Cairo per il negoziato. Ma le trattative non sono l’unica strategia, esistono strategie alternative. Che per me sono fatte di due cose: l’unità del movimento — un governo unitario come quello raggiunto con l’accordo con Hamas; e una grande resistenza popolare, una Intifada non violenta come quelle di Martin Luther King o di Gandhi». Mustafa Barghouti, l’ex candidato alla presidenza dell’Autorità nazionale palestinese, battuto da Abu Mazen nel 2005, parla dal Cairo dove sono arrivate le delegazioni di Hamas e Fatah, ma non quella israeliana. Che cosa si aspetta da questo incontro? «Ovviamente non sarà un negoziato, visto che Israele si è rifiutata di venire. Questo rifiuto è una prova ulteriore che l’obiettivo di Netanyahu non è mai stato il cessate-il-fuoco. Ha preso in giro il modo dicendo che accettava la proposta egiziana. Per me è incredibile come l’Occidente — tutti, i politici, i media — accettino la narrativa israeliana senza batter ciglio: Israele ha diritto a difendersi, si dice, ed è vero, ma non si tiene in alcun conto che anche il popolo palestinese ha il diritto di difendersi contro l’occupazione. Un altro esempio: Hamas ha dato inizio alla guerra, si dice, con i terroristi nel tunnel. Ma la guerra è cominciata prima, con le razzie in Cisgiordania, 27 palestinesi morti in due settimane, centinaia di arrestati. Chiaramente tutto questo era stato programmato». Con quale obiettivo avrebbe programmato questa guerra il governo israeliano? «Io credo che l’obiettivo di Netanyahu fosse quello formulato dal ministro Steinitz all’inizio: rioccupare Gaza e sradicare Hamas. Nella Striscia oggi la situazione è devastante. Anche in queste ultime ore ci sono state altre decine di morti. Ma Israele non ha vinto. I due obbiettivi sono falliti e c’è stata inoltre una incredibile défaillance dell’intelligence». Intende la sorpresa per l’esistenza di un sistema così esteso di tunnel? «I tunnel sono stati presentati come una minaccia esistenziale per Israele, ma in realtà sono soprattutto un modo di resistere contro il blocco totale che dura da otto anni. Non sono mai stati usati contro i civili. Nessun civile è stato ucciso attraverso i tunnel, solo soldati». Che ruolo può svolgere ora l’Autorità nazionale palestinese? «Noi, come governo unificato, vogliamo prima di tutto il cessate-il-fuoco e la revoca del blocco della Striscia. Poi dobbiamo rimuovere le cause di questa situazione. Israe- le ha dovuto constatare che la volontà politica dei palestinesi è più forte di quanto pensasse. E le assicuro che cresce in tutta la Palestina la resistenza, non solo come solidarietà verso la gente di Gaza, ma contro l’occupazione, per la libertà. Siamo vissuti tutta la vita sotto un’occupazione, anche quando c’è l’illusione di esercitare un potere. L’esercito israeliano può entrare dappertutto e uccidere, l’Autorità palestinese non può proteggere i propri cittadini. C’è un disagio crescente, che prende forme diverse dal passato. Un’Intifada non violenta. Credo che anche in Palestina ci muoviamo verso forme di politica più moderna. Perché appunto la libertà è pura illusione: sarebbe come dire che Gaza è libera, perché gli israeliani se ne sono andati. Assediata da terra, mare e cielo, che libertà è questa?» Che cosa si aspetta dal resto del mondo? «Neanche dopo i morti di Gaza si è spezzato il sostegno politico che i governi europei e americano danno a Israele, ma è diventato sempre più schizofrenico, perché i governi sono sempre più divisi dalle loro opinioni pubbliche. La gente non ne può più di vedere questa disumanizzazione dei palestinesi. Oltre 1.800 morti, 9000 feriti, l’80 per cento donne e bambini. Gli stessi governi sono sempre più indotti a riflettere, guardi come hanno votato la risoluzione di condanna della Commissione dell’Onu per i Diritti Umani». Le prospettive quali solo? quella dei due Stati è ancora possibile? «Netanyahu non vuole né la soluzione dei due Stati, nè quella di uno Stato. Vuole continuare l’occupazione. Ma dovrà decidere, perché può essere già tardi per i due Stati e la responsabilità è di chi non ha fermato i coloni. Ma se la soluzione dei due Stati fallisce si consolida l’apartheid, visto che Israele vuole la supremazia e non l’integrazione. E questo porterà a una nuova lotta per la parità dei diritti ».