Opinioni a senso unico: tutte critiche verso Israele la gara a trovarle tra 'Corriere della Sera' e 'Repubblica'
Testata:Corriere della Sera - La Repubblica Autore: Don Futterman - Antonello Guerrera Titolo: «Quell'alibi del mio paese che spara senza piangere - Suad Amiry 'Questa guerra è contro i bambini. E il mondo tace'»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 31/07/2014, a pag. 13, l'articolo di Don Fuuterman dal titolo " Quell'alibi del mio paese che spara senza piangere" e da REPUBBLICA a pag. 15, l'intervista di Antonello Guerrera a Suad Amiry dal titolo "Suad Amiry 'Questa guerra è contro i bambini. E il mondo tace' ", preceduti dai nostri commenti.
Di seguito, gli articoli
Israele ha tutti i pregi delle vere democrazie realizzate. Chiunque può esprimere la propria opinione. Anche quando riflette posizioni di estrema minoranza come quella sostenuta nell'articolo di Don Futterman Stupisce però che in questa corsa a cercare opinioni critiche verso Israele il CORRIERE della SERA abbia superato REPUBBLICA. Un brutto segnale.
CORRIERE della SERA - Don Futterman: " Quell'alibi del mio paese che spara senza piangere"
Don Futterman
Ho assistito ai primi diciotto giorni di questa guerra sanguinosa dagli antipodi, in Australia. Dall’altro emisfero. Lontani dai pregiudizi dell’opinione pubblica mondiale e liberi dai vincoli di dover dimostrare a tutti i costi la loro superiorità morale, gli australiani hanno reagito come persone normali, dotate come ognuno di noi di raziocinio e sentimenti: nessuno deve vivere nel terrore di vedersi rapire e uccidere i propri figli; nessun civile deve sopportare ogni giorno una pioggia di razzi; nessun governo può tollerare un simile stato di cose senza reagire; e ancora, nessun esercito ha il diritto di massacrare intere famiglie e centinaia di civili nel tentativo di eliminare i militanti nemici. La tv australiana ha piazzato i suoi cronisti sia a Gaza che a Gerusalemme, e con il susseguirsi incessante di immagini di bambini morti e dilaniati dalle bombe con le loro famiglie decimate, il sentimento popolare ha preso un’altra piega. Il pendolo è passato dal deciso appoggio a Israele al disgusto davanti alla carneficina di Gaza. Proprio mentre il numero delle vittime a Gaza toccava le trecento unità, un aereo della Malaysia Airlines, diretto in Australia, è stato abbattuto da un missile in Ucraina. Per un attimo, tra irrealtà e sconcerto, le due notizie si sono accavallate, ciascuna con il suo carico di trecento morti. Mentre gli australiani reagivano con rabbia e sgomento davanti alla morte assurda dei loro concittadini, Gaza è finita in seconda fila, lontana dalle prime pagine, diventando una semplice notizia di transizione. Nel frattempo, a Gaza, il numero 300 si perdeva ormai nella lontananza. Tornato a casa, sono ripiombato in quella strana combinazione di ansia e calma, tristezza e smarrimento, sirene e funerali. Una volta, si sparava piangendo, cantava Si Heyman. Oggi uccidiamo e ci giustifichiamo. Ne abbiamo tutti i diritti. Hamas governa Gaza ma dirotta massicci finanziamenti nella costruzione di tunnel e nell’acquisto di razzi per cercare di colpire gli israeliani. Israele, di conseguenza, non ha altra scelta che tentare il tutto e per tutto per annientare i militanti di Hamas: continuano ad attaccarci, ma Israele si rifiuta di lasciarsi terrorizzare e visto che si tratta di una guerra a tutto campo, e non di una partita di calcio, a noi non interessano scontri equi né reazioni misurate. Eppure, non ci vuole certo un esperto militare per sapere che non stiamo facendo tutto quello che potremmo fare per evitare la strage dei civili a Gaza. In questo frangente, Israele opera in virtù di un nuova strategia morale, che ci assicura carta bianca anche in caso di «danni collaterali», consentendoci di sterminare tutti i palestinesi che vengono a trovarsi sulla linea di fuoco tra noi e i militanti di Hamas. Abbiamo deciso di infliggere morte e distruzione alla popolazione di Gaza e di addossare la colpa al nemico per la nostra brutalità. E siccome un’elevata percentuale della popolazione di Gaza è composta da minori, questo significa che lo stato ebraico sta massacrando un gran numero di bambini. È un calcolo tremendo, un calcolo scandaloso e mortale, e noi non usciremo da questa guerra con la coscienza pulita. Per molti israeliani, le cataste di morti palestinesi non presentano alcun problema, oltre a una gestione di immagine: Hamas ci costringe a massacrare i civili, compresi i bambini, perché se ne serve come scudi umani, alzando di volta in volta la posta per attentare alla reputazione di Israele, sfidandoci a colpire i loro arsenali militari, interrati sotto scuole e ospedali. Per quanto preferirebbero evitare l’uccisione dei civili, i nostri soldati siamo noi — i nostri parenti e i nostri amici — e pertanto il primo dovere dell’esercito israeliano è quello di fare tutto il possibile per minimizzare le nostre perdite. Eppure, la maggior parte degli ebrei israeliani che io conosco trova molto difficile accettare questa realtà, e sporadicamente si riaccendono i sentimenti di empatia per i morti senza volto e senza nome dal lato nemico, anche se non abbastanza da reclamare la fine delle ostilità per motivi puramente morali. Il fatto è che non sappiamo se esiste un altro modo per proseguire la lotta contro Hamas, pur ammettendo l’atrocità di queste morti. Non penso che saremo mai in grado di confessare il nostro vero calcolo morale. Certo non lo faremo adesso, mentre corriamo nei rifugi per scampare ai razzi, mentre contiamo i nostri caduti, mentre chiunque si azzardi a esprimere sostegno ai palestinesi viene aggredito dai politici e dai social media. In guerra, il nazionalismo detta legge. Ma quando sarà tutto finito, ricorderemo l’attimo prima della conflagrazione: l’impotenza del presidente palestinese Abu Mazen; la strumentalizzazione da parte del governo israeliano del rapimento e uccisione dei tre ragazzi ebrei come pretesto per attaccare Hamas in Cisgiordania; l’impassibilità del nostro premier mentre gli ebrei davano la caccia agli arabi a Gerusalemme, che protestavano per la vendetta compiuta ai danni di un ragazzo palestinese innocente, rapito e trucidato anche lui. Hamas non ha nulla da offrire al popolo palestinese, tranne la sua strategia fallimentare di resistenza violenta. L’orgoglio di cui si fregia nella sfida lanciata a Israele è la gloria dei perdenti, tesa solo a edificare il mito disperato di una lotta a oltranza. Se i palestinesi vorranno restituire a Gaza un barlume di speranza, dovranno deporre Hamas. Ma se noi pretendiamo qualcosa di meglio della situazione di stallo prolungato anteriore al conflitto, anche noi avremo bisogno di leader capaci di una visione diversa. *Opinionista e direttore del Moriah Fund, fondazione per la democrazia e la società civile. (Traduzione di Rita Baldassarre)
Ci chiediamo perché Antonello Guerrera non senta l'opinione anche di scrittrici israeliane. Per esempio Naomi Ragen, scrittrice femminista, tra le più popolari in Israele, tradotta anche in italiano.
LA REPUBBLICA - Antonello Guerrera: "Suad Amiry 'Questa guerra è contro i bambini. E il mondo tace' "
Antonello Guerrera Suad Amiry
«A Gaza si è superato ogni limite umano». Di solito Suad Amiry, scrittrice palestinese e architetto, misura le parole. Stavolta, nonostante un passato da negoziatrice nella delegazione palestinese a Washington tra 1991 e 1993, non è così. Perché l’autrice del celebre Sharon e mia suocera (Feltrinelli) da Ramallah scaglia il suo j’accuse contro il governo israeliano e il premier Netanyahu, a 23 giorni dall’inizio dell’operazione “Margine protettitivo” che sinora a Gaza ha provocato quasi 1.400 morti. «Un quarto delle vittime sono bambini. Questa è una guerra contro i bambini. Bombardano ospedali, scuole, parchi giochi: non ci sono scuse».
Anche Hamas, però, ricorre spesso agli “scudi umani”. Non è allo stesso modo responsabile di questa strage di bambini?
«Io credo innanzitutto che Israele abbia perso il senso della realtà: il suo esercito dice di essere il migliore e il più preciso del mondo, ma qui si stanno attaccando deliberatamente i civili. Anche l’Onu ha condannato i bombardamenti contro le scuole. A Gaza ci sono due milioni di persone sotto assedio, stritolate in una prigione a cielo aperto. E poi ci stupiamo dei morti. È agghiacciante. Questo, sinora, nel silenzio criminale della comunità internazionale. Stati Uniti ed Europa devono saper dire basta a questi crimini di guerra».
Secondo lei la pace è possibile con in gioco un gruppo “terrorista”, a detta di Usa e Ue, che continua con il lancio dei razzi?
«Sia chiaro: io non ho mai sostenuto Hamas. Ma il suo è un governo eletto democraticamente e Israele deve rispettare il voto popolare, soprattutto per poter affrontare meglio la realtà. Dopo decenni di occupazione contro ogni legge internazionale, il blocco totale della Striscia e le offensive degli anni passati, cosa voglia che facciano gli abitanti di Gaza, lanciare fiori a chi li opprime? Quello di Netanyahu è il governo più razzista e di destra che Israele abbia mai avuto».
Israele però ha anche il diritto di difendersi, soprattutto nei confronti di chi ha più volte invocato la sua distruzione, non crede?
«Questo non giustifica un’offensiva così devastante a Gaza nei confronti dei civili. Netanyahu sostiene che il problema siano i “tunnel del terrore”. Ma l’Egitto ha lo stesso problema e non invade la Striscia. Il punto è un altro».
Quale?
«Israele non vuole la pace, né l’unione tra Hamas e Fatah. Cerca sempre un pretesto per conservare lo status quo, accentuare la divisione del popolo palestinese e non restituire i territori occupati, come ha confermato lo stesso Netanyahu due settimane fa. Prima per Israele il presidente palestinese Abu Mazen non era un interlocutore opportuno perché non rappresentava Gaza. Poi, dopo l’ultima alleanza tra Fatah e Hamas, sono stati creati altri pretesti. In 23 anni di negoziati i pa- lestinesi hanno perso sempre più terra. È un governo di bugiardi. Israele oggi ha paura dei moderati come Abu Mazen».
Ma la guerra e gli estremismi fanno comodo anche ad Hamas, non trova?
«È ovvio che negli ultimi tempi Hamas fosse in crisi di consenso a Gaza, anche perché ha perso il sostegno dell’Egitto. Non a caso, di recente ha stretto nuovamente un’alleanza con Abu Mazen. Ma la reazione militare di Israele è immorale. E non funzionerà, affatto. Perché genererà sempre più estremismi, purtroppo».
Anche nella più moderata Cisgiordania, dove lei vive?
«Assolutamente sì. E questo è inquietante. Qui la stragrande maggioranza dei giovani oramai è per la resistenza di Hamas e per rompere il blocco di Gaza che dura dal 2007. Fino a qualche anno fa non era così. Anche perché, dopo Sharon e i muri costruiti negli anni, i due popoli non si conoscono più. E così i cittadini, di entrambe le parti, sono estremamente manipolabili dai governi».
C’è ancora uno spiraglio per la pace in Medio Oriente?
«Israele deve capire che non può tenere i palestinesi sotto assedio per sempre. Noi non ce ne andremo mai da qui. Quindi, l’unica soluzione è arrivare a un accordo tra noi e gli israeliani. Ma l’accordo presuppone un do ut des. Purtroppo, però, Israele sinora ha dimostrato di non voler trattare. L’Olp nel 1993 ha riconosciuto il diritto di esistenza dello Stato di Israele. Israele non ha fatto ancora lo stesso nei confronti della Palestina».
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