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La Stampa - Il Giorno Rassegna Stampa
13.07.2014 La risposta di Israele ad Hamas: analisi della situazione militare
di Maurizio Molinari, Giordano Stabile, Mario Arpino

Testata:La Stampa - Il Giorno
Autore: Maurizio Molinari - Giordano Stabile - Mario Arpino
Titolo: «'Pipistrelli' e parà. Gli eredi di Entebbe apriranno la strada - La trappola della Jihad. Una rete di cunicoli come quella dei vietcong - Dai Qassam fini ai temibili J-80. Due terzi degli israeliani a rischio - Pronto ? Stamo per bornardare»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 13/07/2014, a pag. 3, gli articoli di Maurizio Molinari intitolati " 'Pipistrelli' e parà. Gli eredi di Entebbe apriranno la strada' ", e " La trappola della Jihad. Una rete di cunicoli come quella dei vietcong", da pagina 2 l'articolo di Giordano Stabile dal titolo "Dai Qassam fini ai temibili J-80. Due terzi degli israeliani a rischio ", dal GIORNO a pag. 4 l'articolo di Mario Arpino dal titolo "Pronto ? Stamo per bornardare. Quelle telefonate prima dei raid", che spiega molto bene come Israele compia ogni sforzo per ridurre al minimo le vittime civili del conflitto, sia tra i suoi cittadini sia tra gli abitanti di Gaza, mentre Hamas persegue l'obbiettivo opposto: il massimo numero di vittime civili sia a Gaza che in Israele.



Soldati israeliani dell'unità Shayetet 13

Di seguito, gli articoli:


LA STAMPA - Maurizio Molinari: " 'Pipistrelli' e parà. Gli eredi di Entebbe apriranno la strada' "


Maurizio Molinari

A essere già operative nella Striscia di Gaza sono unità dei «pipistrelli» del mare, degli eredi dell’impresa di Entebbe o della lunga mano dell’aviazione: le truppe speciali d’Israele, create e addestrate per operare in territorio nemico, la cui importanza è cresciuta a seguito della «strategia del castello», la dottrina militare che lo Stato ebraico si è dato per affrontare le minacce jihadiste moltiplicatesi attorno ai propri confini. Si tratta di unità con caratteristiche diverse e complementari. La «Sayeret Matkal», che nel 1976 liberò gli ostaggi in Uganda, appartiene all’intelligence militare, dipende dal capo di stato maggiore e opera oltre le linee per raccogliere informazioni strategiche al fine di consentire all’esercito di essere sempre in grado di colpire gli avversari. «Shaldag» nasce da una costola della «Sayeret Matkal» ed esegue in particolare tale compito a sostegno dell’aviazione, raccogliendo dati per guidare aerei e droni sugli obiettivi. E poi vi sono i «pipistrelli del mare» ovvero la «Shayetet 13» (Flottiglia 13) i cui uomini sono addestrati per operare in acqua e hanno firmato negli ultimi anni la cattura delle navi Karine-A e Klos-C cariche di armi iraniane e siriane destinate a diversi gruppi della guerriglia palestinese. Sono queste tre unità su cui ricade la responsabilità di aprire la strada all’operazione di terra a Gaza, raccogliendo informazioni utili a guidare le truppe alla scoperta del reticolo di tunnel, bunker, nascondigli e trappole a cui Hamas si affida per respingere l’assalto.
Anche i paracadutisti hanno le loro truppe speciali – le unità Magellano e Duvdevan – così come le brigate Nahal, Givati e Kfir dispongono di unità incaricate di operare «in qualsiasi condizione» ma trattandosi di reparti combattenti il loro ruolo si sviluppa soprattutto dopo l’inizio delle operazioni.
Se l’uso delle truppe speciali per aprire la strada a un intervento di terra è un tassello ben noto della pianificazione militare – basti ricordare l’impiego di Delta Force americana e Sas britanniche in Iraq prima dell’attacco a Saddam Hussein del 2003 – la novità in questo caso è che si accompagna alla revisione della dottrina difensiva di Israele. A seguito dell’implosione della Siria, della decomposizione dell’Iraq e del proliferare di gruppi jihadisti dal Sinai al Libano, lo Stato ebraico si è infatti dato la «strategia del castello», come l’ha definita Yaakov Amidror, ex consigliere per la sicurezza nazionale di Benjamin Netanyahu ed ex generale dell’Intelligence militare. «Ci troviamo nel bel mezzo del collasso di un sistema storico degli Stati nazionali arabi – spiega Amidror – e dunque saremo sempre più circondati da terra di nessuno sulla quale operano gruppi a noi nemici, di pericolosità differenti». Da qui la necessità di difendersi «come un castello» ovvero «costruendo barriere fisiche protettive, raccogliendo intelligence dettagliata su cosa avviene nelle vicinanze dei confini e colpendo per prevenire minacce dirette». Da qui l’importanza crescente delle truppe speciali e anche lo scenario di Gaza come un test della nuova dottrina.

LA STAMPA - Maurizio Molinari: "La trappola della Jihad. Una rete di cunicoli come quella dei vietcong "

Le brigate Al Quds della Jihad islamica annunciano il primo scontro con i soldati annunciano il primo scontro con i soldati israeliani dando inizio alla battaglia per la difesa di Gaza che Hamas è convinta di poter vincere giocando due carte: il network di tunnel sotto la Striscia e il sostegno attivo dei gruppi jihadisti in Egitto, Libano e West Bank. «Abbiamo intercettato truppe speciali israeliane che stavano avanzando dentro Gaza, vi sono stati scontri e hanno subito delle perdite» fa sapere il comando delle brigate Al Quds alla tv «Al Arabiya». L’intento è attestare la difesa di ogni centimetro della Striscia, dimostrando la capacità di scoprire ed impedire i movimenti israeliani. La somma fra i circa 8000 miliziani della Jihad islamica e gli oltre 10mila di Hamas garantisce a Muhammed Daf, capo delle operazioni militari a Gaza, una forza d’urto che ha le unità meglio preparate nelle brigate Izz ad-Din al Qassam. È il sito «Al-Majd Security», legato ad Hamas, a tratteggiare il piano difensivo di Daf spiegando che «sotto ogni strada c’è un tunnel» consentendo di contare su un network di bunker, passaggi sicuri, depositi e dormitori che permette di muovere uomini e armi senza mai uscire alla luce del sole. Per avere un’idea delle potenzialità di tale rete di bunker e tunnel, Hamas ha diffuso alcuni video in cui si vedono lanciatori di razzi apparire in un campo agricolo, far partire gli ordigni e sparire rientrando nel terreno. È una formula che ricorda da vicino la tattica con cui Hezbollah nel 2006 sorprese l’esercito israeliano in Libano del Sud, infliggendogli pesanti perdite e riuscendo a sfuggire ai raid grazie ad una mini-linea Maginot costruita nel ventre delle montagne. Non è un caso che Osama Hamdan, capo delle Relazioni internazionali di Hamas, parli di «stretto coordinamento» con Hezbollah malgrado il fatto di sostenere parti opposte nella guerra siriana. «La resistenza palestinese è alleata di quella libanese - dice Hamdan al quotidiano Assafir - perché abbiamo lo stesso nemico e anche le nostre tattiche sono le stesse, grazie a un coordinamento costante». Ciò che più «assimila Hamas e Hezbollah», dice Hamdan, è che «la resistenza è cresciuta, coinvolge e rappresenta la maggioranza della popolazione» e ciò le consente di avere «più opzioni nella difesa». Lo scopo di Hamas è attirare Israele in una «trappola simile dei vietcong per gli americani» come riassume l’analista Yossi Melman, ed a tal fine oltre ai tunnel di Gaza c’è il secondo tassello: gli attacchi da parte di altri gruppi jihadisti. Per avere un’idea di cosa si tratta bisogna guardare al Sinai, da dove Beit Maqqdis hanno annunciato «l’inizio del sostegno ai fratelli di Hamas» con il lancio di cinque razzi contro Israele. E poi c’è il Libano, dove i gruppi palestinesi più militanti - presenti nei campi profughi del Sud - potrebbero fare altrettanto, godendo del sostegno logistico di Hezbollah. Ma ciò in cui Hamas più spera sono è la West Bank: se le cellule esistenti riuscissero a mettere a segno attacchi-kamikaze contro Israele sarebbe il risultato più importante. Consentendo di attaccare il nemico su più fronti.


LA STAMPA - Giordano Stabile: "Dai Qassam fini ai temibili J-80. Due terzi degli israeliani a rischio "


Giordano Stabile

La differenza con le precedenti guerre fra Hamas e Israele (2008-2009 e 2012) è soprattutto nella capacità degli islamisti di colpire quasi tutto il territorio dello Stato ebraico. Lo dimostrano i lanci su Tel Aviv e la pioggia di razzi caduta sulle aree centrale di Israele. Il sito Debka Files ha calcolato che 5 degli 8 milioni di abitanti sono potenziali bersagli.
Hamas è salito al terzo gradino nel potenziamento del suo arsenale. Il primo erano i razzi Qassam, dal combattente palestinese Izz al-Din al-Qassam, sviluppati dal 2000 al 2007. Fatti in casa, a partire da tubi in acciaio, portata massima 40 chilometri. Questi razzi rudimentali hanno fatto però una dozzina di vittime, perché il sistema anti-missile israeliano, l’Iron Dome, non era stato ancora sviluppato.
I Qassam, ma soprattutto l’arrivo nella Striscia dei primi missili iraniani, spingono Israele a svilupparlo. Con la presa totale di Gaza da parte di Hamas nel 2007 cominciano le forniture dall’estero. I Fajr-3 e soprattutto i Fajr-5 iraniani, gittata di 80 chilometri, fanno il loro debutto nell’operazione Nuvole d’autunno nel 2012. Per la prima volta Gerusalemme e Tel Aviv sono a portata, ma l’Iron Dome, molto più efficace ed elastico dei progenitori Patriots, si rivela invalicabile.
Con la guerra civile siriana, la cacciata di Hamas da Damasco, la rottura con Hezbollah e poi con il nuovo Egitto di Al Sisi, Gaza si ritrova isolata. Ma dall’arsenale siriano, o forse ancora dall’Iran secondo l’Intelligence israeliana, arrivano ordigni più potenti. Sono gli M-302 Khaibar, derivati dai cinesi WS-1 e sviluppati in Siria. Sarebbero giunti via Sudan e poi attraverso i tunnel con l’Egitto. I Khaibar hanno una gittata di 120-150 chilometri e possono portare fino a 175 chili di esplosivo, rispetto ai 90 dei Fajr-5. Ultimi arrivati, ieri, i J-80, probabile rielaborazione casalinga dei Fajr-5.

Il GIORNO - Mario Arpino: "
Pronto ? Stamo per bombardare. Quelle telefonate prima dei raid "



Mario Arpino

Tecnologia e intelligence hanno due aspetti: servono a distruggere, ma anche a salvare. Le vittime civili delle ritorsioni israeliane su Gaza sono tante, troppe, ma sarebbero molte di più senza gli avvisi che vengono inviati capillarmente agli abitanti dei palazzi nel mirino degli degli F-16. Sarebbero invece molte di meno se i basamenti dei palazzi non venissero usati come comandi operativi o depositi di testate. In altre parole: Israele tenta di proteggere i propri cittadini, mentre Hamas li mette consapevolmente a rischio. Altoparlanti al confine, volantini, segnalazioni luminose dei droni, sms agli abitanti e trasmissioni radio in arabo sono i metodi più usati per favorire le evacuazioni. Ma i miliziani che fiancheggiano Hamas, una sorta di polizia politico-religiosa, già nel 2009 accusavano di disfattismo i cittadini che davano retta agli avvisi. Le conseguenze, tragicamente brutali, sono ben documentate. Con ogni probabilità, oggi a Gaza le condizioni non sono diverse, sebbene gli obiettivi degli F-16 non siano certo le donne e i bambini che ci fanno vedere in televisione. Israele, viceversa, ha imparato a proteggere anche i civili. D'altro canto, lo fa da circa 65 anni. Il sistema missilistico di difesa Iron Dome, ora perfezionato, sta facendo egregiamente il suo lavoro. Contro i missili di maggiore portata il suo compito è più facile: con una triangolazione all'infrarosso della vampa del lancio da parte dei droni o dei satelliti, il sistema fa tre cose contemporaneamente: individua il sito di origine e lo passa agli F-16, rileva la traiettoria e fornisce alle centrali il tempo mancante all'impatto (dai 20 ai 90 secondi) nell'area dell'obiettivo. Da ultimo, distrugge la testata offensiva mentre è ancora in volo. L'esercito dispone anche di piccole ma precise apparecchiature radar, con le quali è in grado di individuare persino l'origine del fuoco dei mortai. Per le comunicazioni in arabo oltre confine, nessun problema: i Drusi del versante israeliano del monte Hermon prestano servizio nell'esercito e cooperano volentieri. I numeri dei cellulari, che localizzano anche i palazzi, si ottengono con la monitorizzazione continua delle celle. Niente di nuovo: in quanto a intercettazioni telefoniche, siamo espertissimi anche noi.

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