Contingenti di truppe speciali israeliane sono già all’opera nella Striscia di Gaza. Lo affermano fonti di sicurezza europee da Londra, spiegando che si tratta di missioni tese a preparare obiettivi per le truppe di terra in vista di un intervento che potrebbe iniziare in tempi brevi.
In particolare, le truppe speciali infiltrate a Gaza devono raccogliere dati sulla rete di cunicoli sotterranei dentro cui Hamas nasconde i propri leader politici, comandanti militari ed arsenali. Il precedente della guerra in Libano nel 2006, quando Hezbollah sorprese gli israeliani proprio grazie ai bunker realizzati nel terreno, spiega l’importanza della missione in corso.
A suggerire quanto sta avvenendo dentro Gaza c’è l’avvicinamento delle unità della Marina alla costa così come la distruzione da parte dei jet dei posti di frontiera di Hamas: le truppe israeliane stanno lentamente guadagnando terreno. Il capo di Stato Maggiore, Benny Gantz, in una conferenza stampa dichiara: «Siamo pronti all’intervento di terra, spetta ai leader politici il compito di dare l’ordine di esecuzione». Ovvero: le forze armate dispongono oramai di piani operativi aggiornati per una «rioccupazione temporale» mirata a smantellare la struttura militare di Hamas per poi ritirarsi e consegnare l’intera Striscia all’Anp di Abu Mazen, che sarebbe dunque il vincitore politico. È tuttavia un’operazione ad alto rischio: tanto per i soldati che dovranno stanare Hamas dai propri nascondigli quanto per la popolazione civile di Gaza, che rischia di trovarsi esposta ad un conflitto assai cruento. L’analista militare Ron Ben Ishai afferma che l’invasione di terra «è purtroppo necessaria» perché la «sicurezza dei cittadini non può essere garantita dalle batterie antimissile Iron Dome ma solo dall’eliminazione della minaccia».
Hamas: siamo pronti
Il ministero della Sanità dell’Autorità palestinese afferma che gli attacchi israeliani hanno già causato almeno 100 vittime e 670 feriti, «in gran parte vecchi, donne e bambini». L’incremento di vittime si è verificato nelle ultime 36 ore e per il premier israeliano Benjamin Netanyahu si deve «alla scelta di Hamas di usare i civili come scudi umani». In alcuni video girati a Gaza si vedono edifici raggiunti prima da colpi di mortaio e poi da bombe, causando vittime fra i civili. Il generale Gantz, rispondendo ad una domanda sull’intervento di terra, ha detto «sappiamo che a Gaza c’è una popolazione civile ostaggio di Hamas». Come dire: lo terremo presente. Per Navi Pillay, Alto commissario Onu sui diritti umani, «gli attacchi israeliani sollevano preoccupazioni sulla possibile massiccia violazione di diritti umani».
«Non volate su Tel Aviv»
Israele ha finora compiuto oltre 1100 raid su Gaza senza però riuscire a bloccare il lancio di razzi, che ieri hanno investito Tel Aviv, Hedera al Nord e le città del Sud venendo intercettati da Iron Dome. L’ala militare di Hamas, Izz al-Dn al-Qassam, ha lanciato quattro razzi contro l’aeroporto internazionale di Ben Gurion che per 10 minuti ha sospeso le operazioni. Hamas avverte le compagnie aeree internazionali: «Se avete intenzione di partire per le città sioniste, non fatelo. Nessun aeroporto può essere considerato sicuro». Hamas ha fatto sapere di «essere pronta a combattere per mesi».
Il fronte libanese
Ieri mattina tre razzi sono stai lanciati dal Libano a Metulla, città israeliana di confine. A rivendicare l’azione sono stati gruppi di palestinesi sostenitori di Hamas, rispondendo agli appelli «alla mobilitazione anti-Israele». Due di loro sono stati arrestati.
L’offerta di Obama
Con una telefonata al premier Netanyahu, il presidente americano Obama ha fatto conoscere la disponibilità di Washington di «contattare qualsiasi Paese» per scongiurare «un’invasione che nessuno vuole». L’ipotesi di contatti segreti fra Stati Uniti e Iran è smentita dall’intervento del presidente Mohammed Rohani in difesa dei «palestinesi coraggiosi». Alcuni giornali del Kuwait attribuiscono al premier Netanyahu la richiesta alla Turchia di mediare con Hamas sul cessate il fuoco «senza precondizioni». Il premier israeliano ha però respinto al mittente la richiesta internazionale di cessare le operazioni militari. Anche se dal Qatar arriva un’apertura al dialogo e al cessate il fuoco da Meshaal. Secondo una tv israeliana il leader di Hamas in esilio si sarebbe rivolto all’Egitto per verificare una nuova formula di cessate il fuoco.
LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Dimona la centrale dei segreti si ritrova di colpo in prima linea "
La centrale nucleare di Dimona
Tre mercoledì, uno ieri. Hamas ha lanciato quattro razzi in 48 ore su quest’angolo del deserto del Negev dove Israele custodisce i segreti più impenetrabili del proprio arsenale. I razzi adoperati sono gli M-75, gittata 80 km e fabbricati a Gaza, per sottolineare che il merito dell’exploit è solamente di Hamas. Impossibile ottenere commenti dai portavoce israeliani su razzi caduti da queste parti perché Dimona è un tabù per il governo sin dagli Anni Sessanta, quando David Ben Gurion e Shimon Peres acquistarono dalla Francia le componenti del reattore nucleare grazie al quale Israele possiede - secondo stime del Monterey Institute - fra 100 e 200 bombe atomiche.
Il «Centro di ricerche nucleari» si trova a 13 km dal centro città, ben visibile su una delle colline desertiche che la circondano, e rappresenta il vantaggio strategico di Israele sui propri vicini. Per questo il raiss iracheno Saddam Hussein cercò di colpirlo con gli Scud B durante la Guerra del Golfo del 1991, gli Hezbollah provarono a raggiungerlo con un drone iraniano nel 2013 e ora Hamas ripete il tentativo di bersagliarlo con i propri M-75 «made in Palestine».
«Siamo stati noi, abbiamo lanciato razzi contro l’impianto nucleare di Dimona, è una delle sorprese che abbiamo in serbo per il nemico sionista» afferma con evidente soddisfazione il portavoce di Hamas, Mushir Al Masri, rivendicando da Gaza l’attacco ad uno dei simboli della sicurezza dello Stato ebraico. È lo stesso motivo per cui Hamas lancia razzi contro Gerusalemme, Tel Aviv e l’aeroporto internazionale Ben Gurion: assieme a Dimona sono i luoghi-simbolo di Israele che il mondo conosce. Attaccarli significa dunque riuscire a sfidare a viso aperto il «nemico sionista», puntando a indebolirlo dal di dentro, dimostrando alla comunità internazionale che può essere sconfitto.
Nel mercato coperto all’angolo fra le strade Igal Allon e Hamapilim i razzi di Hamas sono un argomento di discussione per molti. Moshe, oltre 70 anni, è il titolare di una pescheria che vende solo prodotti congelati - siamo in mezzo al deserto - e dei primi tre M-75 sa quasi tutto: «Ci sono passati sulla testa, abbiamo avuto paura perché non ci aspettavamo l’allerta, poi sono stati intercettati dall’Iron Dome ma uno è riuscito a cadere in terra, conficcandosi poco lontano dal bordo della piscina comunale, dove in molti lo abbiamo visto». Nella vicina farmacia - con le scritte in cirillico per attirare la clientela dei nuovi immigrati russi - c’è una discussione animata fra chi considera i quattro M-75 una «sfida a cui rispondere» oppure «una dimostrazione di debolezza da ignorare».
Colpisce come gli immigrati russi - come anche quelli etiopi - siano i più duri, aspri nel linguaggio e nella sostanza, nei confronti di Hamas mentre nelle vesti di moderati-pacifisti ci sono i giovani israeliani di cui si sa solo che stanno per vestire la divisa. Il barbiere «Oren» è il negozio più affollato in un mercato che si svuota rapidamente - siamo alla vigilia del sabato, giorno ebraico del riposo - con le tv sempre accese attesa di annunci sui lanci e un rifugio antibomba è stato trasformato in night club, «perché vogliamo vivere, esorcizzando i pericoli», assicura il proprietario. Fra acquisti di frutta e pistacchi, ricevitorie del lotto aperte fino alla soglia dello Shabbat e badanti indiane alla ricerca di aromi, abitanti e commercianti di Dimona ammettono «la sorpresa per i razzi arrivati» pur confermando fiducia nelle forze armate.
In realtà il tabù della sicurezza di Dimona è caduto, chi ci vive non si sente più intoccabile e quella testa di ordigno conficcato «vicino alla piscina» è destinata a trasformarsi nel simbolo della precarietà in un luogo che si riteneva blindato, iperprotetto. Sono queste le «emergenze domestiche» di cui deve occuparsi il comandante Levy Itah, capo della «Allerta interna» delle forze armate, ovvero le difese civili e passive che aiutano i militari a lavorare meglio e in fretta se la necessità lo richiede. «Non fatemi parlare di Dimona, mi è proibito» dice Itah, preferendo soffermarsi su quanto sta avvenendo nel resto di Israele: «Gruppi di volontari organizzati dalle municipalità per aiutare malati e anziani, nuove radio per informare la popolazione sulle allerte-missili, numeri verdi per consentire ai cittadini di essere loro a farsi avanti, chiedendo aiuti per le esigenze più differenti». È una galassia di micro-iniziative locali che le forze armate si limitano a coordinare e razionalizzare puntando a rafforzare il «fronte interno», nella consapevolezza che potrebbe subire l’impatto più duro in caso di invasione a Gaza.
LA REPUBBLICA - Fabio Scuto: "Le bandiere dell'Isis ai funerali a Gaza e i miliziani in arrivo dal Sinai "
GERUSALEMME Quelle bandiere dell’Isis — il Califfato islamico dell’Iraq e del Levante — comparse giovedì al funerale di un boss della Jihad islamica ucciso a Gaza da un bombardamento mirato, hanno confermato all’Aman — il servizio segreto militare israeliano — che la penetrazione nella Striscia di nuovi gruppi jihadisti sta crescendo.Penetrazione rilanciata dalle “vittorie” in Siria e in Iraq e ha messo radici nel Sinai e nella debole Giordania. Ma ci sono anche cellule dormienti — come quella sgominata a Hebron in Cisgiordania un paio di anni fa. Il messaggio salafita percorre anche la Palestina, come un fiume carsico, facendo breccia nelle giovani generazioni che hanno conosciuto soltanto l’occupazione militare.
Il Medio Oriente è sempre più preda di un Islam estremista, che bussa anche alle nostre porte», ha denunciato ieri il premier israeliano Netanyahu dalla “Kyriat” di Tel Aviv, la cittadella della Difesa dove c’è il comando delle operazioni militari a Gaza. Per far fronte a questa minaccia, ha aggiunto, «dobbiamo prenderci cura di Hamas a Gaza, e lo facciamo. Ma non basta ». I rapporti dell’intelligence sulla sua scrivania descrivono infatti un oscuro scenario futuro, perché tra i gruppi filo-Isis nella Striscia e quelli del Sinai c’è ormai un’unità di azione, come dimostrano in questi giorni di guerra i quattro missili sparati contro il sud di Israele. Provenivano dalla penisola egiziana dove — nonostante la repressione del nuovo Egitto del presidente Al Sisi — decine di gruppi integralisti armati controllano vaste zone, specie quelle al confine con Israele. Una fonte della sicurezza israeliana spiega che un gruppo che era prima affiliato ad Al Qaeda — Ansar al Bayt Maqdis, protagonista degli attacchi terroristici più sanguinosi in Egitto e contro Israele — è passato adesso “armi e bagagli” con gli uomini del nuovo califfo Abu Bakr Al Baghdadi. Per i tunnel del contrabbando — secondo l’Aman israeliano — sono passati migliaia di combattenti da un lato e dall’altro, flusso che si è interrotto qualche mese fa, ma che è ripreso se soltanto la settimana scorsa la sicurezza egiziana ha arrestato 15 miliziani dell’Isis che dal Sinai stavano entrando a Gaza.
«La Striscia di Gaza non è più solo una minaccia per Israele ma anche per l’Egitto e l’unico modo per affrontare questa minac- cia è attraverso la cooperazione », spiega Khaled Abu Tomeh del Gatestone Institute, «nonostante le smentite di Hamas ci sono moltissime evidenze che l’Isis o il “califfato islamico” ha delle sue katiba (le unità di combattimento) che hanno iniziato a operare nella Striscia». Non ufficialmente, anche i servizi segreti del Presidente Abu Mazen pensano che i seguaci dell’Isis siano i responsabili di alcuni degli attacchi missilistici contro Israele in questi giorni.
Da quando ha assunto il controllo di Gaza nel 2007 Hamas ha visto un costante declino nel suo sostegno popolare e la nascita di altri gruppi terroristici islamisti come la Jihad islamica e le formazioni salafite. Meno di due mesi fa, sull’onda delle vittorie in Iraq e in Siria, i leader delle fazioni salafite della Striscia riuniti nella Al Quds Mujahiddin Shura hanno giurato fedeltà allo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante e al suo califfo Al Baghdadi. «La presenza dell’Isis sta crescendo a Gaza e molti seguaci del salafismo radicale forniscono il supporto logistico e organizzativo», spiega Rafi Green del Middle East Media Research Institute, «il loro account Twitter ha decine di migliaia di seguaci».
Per Israele l’ascesa dei gruppi del jihadismo globale a Gaza e l’isolamento di Hamas nel mondo arabo crea un insieme diverso di problemi da affrontare. «Dobbiamo capire se è nell’interesse di Israele indebolire o distruggere Hamas con l’Operazione Protective Edge», dice Johanthan Schanzer — analista di Counterterrorism della Hebrew Univesity e consulente dell’Amministrazione Usa per il terrorismo islamico. Se Hamas uscirà gravemente indebolito da questa operazione militare, gruppi salafiti e jihadisti potrebbero prendere il controllo della Striscia. «Se le operazioni israeliane creeranno un vuoto, questo sarà occupato da altri gruppi jihadisti che sarebbero peggio di Hamas», spiega ancora Schanzer, per questo il premier Netanyahu e il ministro della Difesa Yaalon non hanno indicato nella distruzione di Hamas l’obiettivo delle operazioni militari in corso. Israele si sta concentrando sulla minaccia immediata di mettere fine al lancio dei missili da Gaza. Operazione per la quale «potrebbero essere necessari mesi».
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