La risposta di Israele all'aggressione di Hamas: rassegna di commenti di Fiamma Nirenstein, Etgar Keret, Naor Gilon, Gian Micalessin, Carlo Panella, Pierluigi Magnaschi
Testata:fiammanirenstein.com - Corriere della Sera - Il Tempo - Il Giornale - Libero - Italia Oggi Autore: Fiamma Nirenstein - Etgar Keret - Naor Gilon - Gian Micalessin - Carlo Panella - Pierluigi Magnaschi Titolo: «Operazione Margine Protettivo - Dio non ci donerà la pace - Israele non si piega - Hamas punta sulle disgrazie del suo popolo - L' Onu bombarda Gerusalemme - Israele colpevole di volersi difendere»
Riprendiamo, dal sito FIAMMANIRENSTEIN:COM l'articolo di Fiamma Nirenstein di oggi, 11/07/2014, dal titolo "Operazione Margine Protettivo: alcuni punti da tenere ben chiari", dal CORRIERE della SERA di oggi 11/07/2014, l'articolo di Etgar Keret dal titolo "Dio non ci donerà la pace. Insegnerò a mio figlio la parola 'compromesso' ", dal TEMPO a pag.1, l'articolo di Naor Gilon, Ambasciatore d'Israele in Italia, dal titolo "Israele non si piega ai terroristi di Hamas", dal GIORNALE a pag. 13, l'articolo di Gian Micalessin dal titolo "Hamas punta sulle disgrazie del suo popolo" , da LIBERO, a pag.15, l'articolo di Carlo Panella dal titolo "L'Onu bombarda Gerusalemme e nicchia sul terrorismo di Hamas", da ITALIA OGGI, l'editoriale del direttore, Pierluigi Magnaschi, dal titolo "Israele, colpevole di volersi difendere".
Segnaliamo inoltre dal FOGLIO, a pag. 1, l'editoriale di Giuliano Ferrara dal titolo "I disperati di mezzo oriente", che critica l'articolo di David Grossman pubblicato da REPUBBLICA (in contemporanea con l'edizione ebraica di Haaretz) mercoledì 09/07/2014. Si veda la critica di Angelo Pezzana a Grossman nella "Lettera da Gerusalemme" dello stesso giorno http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=54132
Il sitema Iron Dome
FIAMMANIRENSTEIN.COM - Fiamma Nirenstein - 'Operazione Margine Protettivo: alcuni punti da tenere ben chiari'
Fiamma Nirenstein
1) L’intervento dell’aviazione israeliana su Gaza non ha assolutamente niente a che fare con il rapimento dei tre ragazzi purtroppo uccisi barbaramente. La polizia ricerca gli assassini, l’esercito cercò i ragazzi nella zona di Hevron, che non ha niente a che fare con Gaza, quando si pensava che fossero ancora vivi. Non c’è nessun "ciclo della violenza", ma un perdurante attacco missilistico da Gaza che Israele deve fermare per difendere i suoi cittadini. Non si tratta di nessuna “vendetta” o“rappresaglia” come seguitano a suggerire alcuni giornalisti e politici, inducendo un’analisi completamente falsata. SI tratta invece del tentativo di Israele di bloccare il lancio dicentinaiadi missili sulla sua popolazione civile, ovvero di difenderne la vita. E’ questo il compito essenziale di ogni Stati, difendere i suoi cittadini da attacchi mortali.
2) Immaginiamo che 35 milioni di italiani debbano correre nei rifugi per attacchi missilistici provenienti da una qualunque dei Paesi confinanti. Che cosa farebbe l’Italia, essendo uno stato normale? Cercherebbe in tutti i modi di fermare i missili.
3) E’ vero che purtroppo capita che negli attacchi dall’aria ai terroristi e alle strutture di Hamas degli innocenti, anche dei bambini, vengano coinvolti e talora uccisi. Ma Israele non prende di mira i civili, al contrario prende di mira solo le strutture militari e i leader di Hamas. Cioè, tutto quello che è legato al lancio di missili. Ma Hamas piazza i missili e i suoi uomini quanto più intrecciati possibile con le case dei disgraziati palestinesi di Gaza, li usa quindi come scudi umani. Dunque Israele non ha scelta in questa guerra asimmetrica: o agisce per fermare i missili, o si lascia bombardare su tutto il territorio nazionale, ponendo fine alla sua vita normale, dato che tutti corrono di continuo (di continuo, ve lo dico per esperienza diretta) nei rifugi, el’economia, la cultura, il lavoro, le scuole etc non possono funzionare.
4) Israele seguita a fornire servizi umanitari e beni essenziali a Gaza per i malati e chiunque necessiti medicine e assistenza. Anche l’elettricità, l’acqua, la benzina seguitano a raggiungere la striscia. Si parla di crisi umanitaria, e certo essa esiste. Non si può tuttavia fare a meno di pensare, giudicando dal numero e dal tipo dei razzi, delle Katiushe, dei Kassam etc lanciati su Israele che i soldi degli aiuti internazionali, miliardi, siano andati per la gran parte in armamenti ad uso terroristico. Cibo per una prossima riflessione sull’uso del denaro pubblico.
5) Lo scopo di Israele è fermare i missili, quello di Hamas di uccidere quanti più ebrei possibili, e distruggere lo Stato d’Israele. Hamas non ha mai accettato le condizioni del Quartetto, il riconoscimento di Israele, la rinuncia al terrorismo, gli accordi raggiunti. E’ un’organizzazione terrorista estremista islamica, parte della fratellanza musulmana che insiste nel dare fuoco alle polveri per suscitareentusiasmodi tutti gli estremisti sunniti tagliateste che vediamo in azione in Siria e in Iraq, e anche per riceverel’aiuto dell’Iran e del Qatar, che infatti lo sostengono.
6) Israele sta facendo di tutto per evitare di entrare a piedi dentro Gaza, questo le costerebbe disapprovazione e anche criminalizzazione internazionale e vite dei soldati, e certamente esclude di occupare di nuovo la Striscia. Ma le si pone il problema di fermare Hamas, ed è un problema vitale e inevitabile, e tutto dipende dall'insistenza con cui Hamas seguiterà a bombardare Israele.
7) Non dimentichiamoci che Abu Mazen, di cui ora si parla come di un “buono” aperto alle trattative, pronto a condannare Israele con parole squilibrate fra le quali campeggia l’uso della memoria di Auschwitz, poche settimane fa aveva stretto un patto di governo proprio con Hamas, ignorando volutamente il suo giuramento di distruggere tutti gli ebrei e la sua reiterata scelta del terrorismo. Che convinca ora lui i suoi alleati a smettere di sparare.
CORRIERE della SERA - Etgar Keret: "Dio non ci donerà la pace. Insegnerò a mio figlio la parola 'compromesso' "
Etgar Keret
A essere sinceri ho cominciato a scrivere questo pezzo già qualche settimana fa, quando tre ragazzi israeliani, che ora sono sottoterra, ancora ridevano e scherzavano e un ragazzo palestinese di sedici anni, il cui corpo carbonizzato è stato pure seppellito nel frattempo, probabilmente se la spassava con i suoi amici. La richiesta mi è arrivata dal quotidiano Haaretz , che ha organizzato una Conferenza di pace in occasione della quale anche Abu Mazen ha scritto un pezzo molto interessante e persino il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha inviato un suo commovente contributo. Naturalmente anch’io ho accettato di scrivere qualcosa. In fin dei conti voglio la pace come tutti — e non da oggi — e in queste settimane aride, in cui un simile obiettivo sembra più lontano che mai dalle nostre vite, tutto ciò che resta è scrivere. Quando però ho provato a mettermi al computer ho scoperto che, a differenza di un tempo, quando riuscivo a comporre un pezzo su questo argomento a scadenza bimestrale per qualunque giornale straniero che volesse trasmettere ai suoi lettori un po’ di speranza per il futuro della regione, questa volta non mi veniva in mente niente. La situazione era calma all’apparenza anche se, dopo l’interruzione dei colloqui di pace e la diffusione di una generale atmosfera di disperazione che ha contagiato persino gli ingenui Stati Uniti (i quali sembrano aver rinunciato all’idea di una soluzione politica per la regione), era chiaro che fosse solo questione di tempo prima che succedesse qualcosa di criminale e, nel clima afoso e deprimente di questi giorni, trovavo difficile scrivere della pace senza sentirmi un idiota, o per lo meno distaccato dalla realtà. Nel frattempo sono cominciate le vacanze estive e i Mondiali di calcio e, poco dopo, anche quella follia tanto nota da queste parti che riesce a essere al tempo stesso sconvolgente, inconcepibile e del tutto prevedibile. Mentre i cannoni tuonavano e i membri del governo israeliano si infiammavano è iniziata la Conferenza di pace israeliana e io ho avuto modo di ascoltare e leggere i discorsi di molte personalità eloquenti e determinate che continuano a parlare dell’agognata pace senza battere ciglio anche in momenti come questi, in cui la terra brucia sotto ai nostri piedi. Cosa c’è in questa pace sfuggente della quale tutti amano tanto parlare ma che nessuno riesce ad avvicinare neanche di un millimetro? Qualche mese fa mio figlio, di otto anni e mezzo, ha partecipato a scuola a una cerimonia in cui a ogni bambino è stata consegnata una copia della Torah. Al termine della cerimonia tutti gli alunni hanno cantato una canzone popolare che parlava del desiderio di pace. E, alla fine della canzone, hanno chiesto al buon Dio un unico, piccolo regalo: la pace sulla terra. Sulla strada di casa ho riflettuto su questa canzone. A differenza di altre che mio figlio canta in varie cerimonie e in cui ci si batte senza paura o si scaccia il buio con fiaccole ardenti, in questa la pace non viene conquistata con il sangue e col sudore, ma viene richiesta. E non solo: viene richiesta in dono. E questa, probabilmente, è la pace alla quale aneliamo. Un qualcosa che saremmo felicissimi di ricevere in dono senza dover pagare nessun prezzo e senza dare nulla in cambio. Ma, a differenza della nostra comprovata capacità di sopravvivenza, che dipende unicamente da noi, questa pace è nelle mani della Divina Provvidenza. Credo che mio figlio appartenga alla seconda se non alla terza generazione indottrinata a considerare il conflitto israelo-palestinese come una condanna del cielo. Qualcosa di cui, proprio come il brutto tempo, si può parlare, ci si può lamentare o scrivere canzoni, ma a proposito del quale non si può fare niente. Due anni fa, nell’ambito di un particolare progetto di Haaretz , intervistai il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e gli chiesi cosa stesse facendo per risolvere il conflitto in Medio Oriente. Lui parlò a lungo della minaccia iraniana e dell’instabilità degli altri regimi della regione ma quando, con un’ostinazione quasi infantile, io insistetti a volere una risposta alla mia domanda iniziale, Netanyahu ammise che non stava facendo niente per risolvere il conflitto, perché il conflitto non può essere risolto. A quanto pare anche Netanyahu, coraggioso ex ufficiale dell’esercito che non ha avuto paura ad affrontare situazioni impossibili sul campo di battaglia, sul tema della pace la pensa esattamente come mio figlio e i suoi compagni di classe. Non vorrei rovinare il buon umore al Primo ministro e a tutti i bambini della seconda elementare, ma ho la netta sensazione che Dio non ci darà nessuna pace e che saremo noi a dover fare uno sforzo per ottenerla. E se ci riusciremo né noi né i palestinesi l’avremo ricevuta in dono. La pace, per definizione, è un compromesso tra due parti e in un compromesso ogni parte deve pagare un prezzo concreto e pesante, non solo in termini di concessioni territoriali o economici ma anche di un effettivo cambiamento del proprio modo di vedere il mondo. Quindi, forse, come primo passo per costruire un clima di fiducia tra noi e questa vecchia e mai realizzata fantasia, si dovrebbe smettere di usare la parola «pace», che da tempo ha assunto sia per la sinistra che per la destra un significato trascendentale e persino messianico, e sostituirla con il termine «compromesso», forse meno entusiasmante ma che per lo meno ci ricorda, ogni volta che lo utilizziamo, che la soluzione a cui aneliamo non si trova nelle nostre preghiere ma nel perseverare in un faticoso e non sempre perfetto dialogo fra noi e l’altra parte. Quindi sì, è vero. È molto più difficile comporre canzoni sul compromesso che sulla pace, certamente più di quelle che mio figlio e altri bambini possano cantare con le loro voci angeliche. È difficile trovare rime adatte a questa parola o una sua rappresentazione grafica che faccia bella figura stampata su una maglietta. Ma contrariamente a «pace», un vocabolo morbido, che rotola bene in bocca e non pretende nulla da chi la usa, il termine «compromesso» richiede dei presupposti. Chiunque voglia utilizzarlo, infatti, deve essere disposto innanzi tutto a fare delle concessioni, e forse anche di più: ad accettare il fatto che, al di là della propria, assoluta verità, potrebbe essercene un’altra contraria. E nella realtà razzista e violenta in cui viviamo anche questo non è poco. (traduzione di Alessandra Shomroni )
Il TEMPO - Naor Gilon: "Israele non si piega ai terroristi di Hamas"
Naor Gilon
Lo Stato d'Israele si trova nuovamente di fronte alla necessità di reagire in modo fermo e deciso alla serie di continui e ininterrotti attacchi terroristici e lanci di missili contro la popolazione civile condotti da Hamas, riconosciuta come organizzazione terroristica dalla comunità internazionale, comprese Italia ed Europa. Nell'ultimo mese sono piovuti su Israele oltre 500 missili, anche su Tel Aviv e Gerusalemme. Circa 2/3 degli israeliani vivono attualmente sotto questa minaccia, e il tempo che hanno a disposizione per mettersi al riparo è di appena 15-60 secondi. Pochissimi secondi che possono fare la differenza fra la vita o la morte. Se centinaia di missili venissero lanciati oggi sulle maggiori città italiane, come Roma, Milano, Torino o Napoli - ovvero esattamente ciò che sta avvenendo in Israele - il governo italiano non sarebbe certamente disposto a tollerare una situazione del genere, e con fondate ragioni. I missili di Hamas sono puntati soltanto ed esclusivamente contro i civili, con l'obiettivo intenzionale di colpire persone innocenti. E soltanto grazie al sistema difensivo Iron Dome, alla prontezza e alla diligenza della popolazione civile israeliana che, finora, siamo riusciti fortunatamente a contenere il numero delle vittime. Del resto la condotta di Hamas non sorprende; basta leggere la sua carta costitutiva, che invoca la distruzione dello Stato d'Israele e l'uccisione degli ebrei, non riconosce l'esistenza d'Israele, e promuove la stessa ideologia di altre organizzazioni estremiste del Medio Oriente, come l'ISIS in Iraq. Mentre Israele fa tutto il possibile per evitare di colpire la popolazione civile a Gaza, Hamas non esita invece a nascondersi intenzionalmente in mezzo alla propria popolazione civile, dislocando all'interno di scuole ed edifici pubblici uomini, armi e postazioni da cui sono lanciati i missili. Il Ministero degli Interni di Hamas ha persino invitato apertamente i civili a fare da scudi umani recandosi appositamente all'interno o sui tetti di legittimi obiettivi militari. Che sia chiaro, è Hamas l'unica responsabile del coinvolgimento intenzionale di civili da entrambe le parti. Se sarà garantita la calma in Israele, allora ci sarà calma anche a Gaza. Il conflitto dimostra invece che il governo di unità nazionale palestinese tra Al-Fatah e Hamas è assolutamente fittizio e non conferisce ad Abu Mazen alcun potere di controllo su Gaza, né tantomeno alcuna capacità, sempre che ve ne sia la volontà, di fermare i lanci di missili contro Israele (...). Il conseguimento della pace fra Israele e i palestinesi non è per noi soltanto una questione politica, ma anche morale. La pace è da sempre una profonda aspirazione del popolo ebraico, e, in passato, Israele ha già dimostrato con i fatti di volere e potere fare la pace: con Egitto e Giordania. È tempo che la Comunità internazionale faccia rispettare le condizioni che essa stessa ha stabilito per Hamas, : riconoscimento di Israele e degli accordi precedenti e l'abbandono del terrorismo. È anche tempo che il Presidente dell'ANP rompa quest'alleanza con Hamas e ritorni al tavolo dei negoziati con Israele senza precondizioni. L'unica via per giungere a una soluzione concordata di due stati per due popoli passa attraverso l'unione degli elementi moderati contro quelli estremisti e attraverso il negoziato.
Il GIORNALE - Gian Micalessin: "Hamas punta sulle disgrazie del suo popolo"
Gian Micalessin
Il dado è tratto. Hamas s'affida alla sua ala militare, sceglie la strada del confronto diretto e punta ad attirare l'esercito israeliano nella trappola di Gaza. La prova più evidente sono quei 365 lanci di missili susseguitisi tra martedì e venerdì. Lanci proseguiti al ritmo - virtuale - di uno ogni dieci minuti anche dopo la minaccia del presidente israeliano Shimon Peres di dar il via ad un attacco di terra. Dal punto di vista occidentale sembrerebbe una strategia suicida. Nonostante il labirinto di tunnel scavato nel ventre di Gaza, il migliorato addestramento dei suoi miliziani e la possibilità di sfruttare come scudi umani i due milioni di palestinesi della Striscia, Hamas non può aver la meglio su una macchina da guerra israeliana militarmente e tecnologicamente superiore. Ma Hamas non punta a vincere, s'accontenta di mettere al sicuro la propria dirigenza e gli arsenali più importanti. Tutto il resto, lo faranno le bombe d'Israele, la diplomazia internazionale e la propaganda postbellica. Una strategia già sperimentata nel gennaio 2009 quando, all'indomani dell'operazione militare Piombo Fuso, costata la vita a 1300 civili palestinesi, i militanti di Hamas distribuirono caramelle nei campi profughi inneggiando alla vittoria sul «nemico sionista». Oggi, cinque anni dopo, l'organizzazione ha un disperato bisogno di nuove vittime da esibire sul palcoscenico della solidarietà internazionale. Un palcoscenico raffreddatosi non solo per l'uccisione a sangue freddo dei tre ragazzini israeliani sequestrati in Cisgiordania, ma anche in seguito alle strategie sbagliate degli ultimi anni. Dopo l'abdicazione dell'emiro Hamad Al Thani e la fine degli appoggi finanziari del Qatar, dopo la caduta dei fratelli musulmani del presidente egiziano Mohammed Morsi, il gruppo sconta l'ostilità di gran parte dei «fratelli arabi». Se l'Egitto del presidente Abdel Fattah al-Sisi lo considera un nemico e sigilla i tunnel usati per rifornire la Striscia, l'Arabia Saudita guarda con indifferenza alla sorte di una formazione troppo vicina a Teheran e la Siria assiste compiaciuta al destino di un ex protetto schieratosi con i ribelli anti-Assad. La situazione più drammatica è però quella interna. La mossa israeliana di ricatturare gran parte dei detenuti liberati in cambio del rilascio del soldato-ostaggio Gilad Shalit hanno scolorito l'unica vittoria di Hamas. Il problema più grosso sono però le difficoltà finanziarie. Il presidente dell'Anp Mahmoud Abbas rifiuta, anche dopo il sì al governo di unità nazionale, di trasferire a Gaza il denaro indispensabile per pagare i dipendenti pubblici. Così mentre la chiusura dei tunnel fa lievitare i prezzi moltiplicando le sofferenze dei civili Hamas sperimenta un calo di consensi senza precedenti. Paradossalmente in questo frangente l'unico evento in grado di risollevare il prestigio dell'organizzazione è un'invasione israeliana. Anche perché se Israele deve far i conti con un'opinione pubblica incapace d'accettare un conflitto prolungato e perdite elevate, Hamas punta su un alto numero di vittime palestinesi per invocare l'intervento internazionale. E mentre Israele non può spazzar via solo Hamas, ma deve - per non far i conti in futuro con nemici anche peggiori - ripulire Gaza da tutte le cellule jihadiste, a Hamas basta un missile nel centro di Tel Aviv o un attacco suicida ad una pattuglia di Tsahal per cantar vittoria. E così anche farsi mettere in ginocchio dal peggior nemico diventa, alla fine, l'opzione migliore.
LIBERO - Carlo Panella: "L'Onu bombarda Gerusalemme e nicchia sul terrorismo di Hamas"
Carlo Panella
Nulla di fatto, come da copione, nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu convocato su istanza della Lega Araba a fronte della crisi di Gaza. Il segretario generale Ban Ki Moon si è fatto interprete dell'ambiguità e dell'ignavia delle Nazioni Unite rifiutandosi di addossare ad Hamas, come è lampante, la responsabilità di avere iniziato questa crisi - avallando il rapimento dei tre ragazzi ebrei e bersagliando di razzi Israele - e ha assunto l'abituale, cinica posizione equanime: «Israele ha legittime preoccupazioni di sicurezza ma io sono preoccupato anche dei molti morti e feriti palestinesi come risultato delle operazioni israeliane. Ancora una volta sono i civili a pagare il prezzo per il conflitto in corso». Ban Ki Moon ha etichettato come «intollerabile l'uso eccessivo della forza» da parte dello Stato ebraico. Sostanziale silenzio della Casa Bianca, che ormai ha deciso per la latitanza da qualsiasi crisi in Medio Oriente, cosi come dall'Europa. Peraltro, il Vecchio Continente continua a far finta di non avere inserito ormai da più di 10 anni Hamas nella lista delle organizzazioni terroristiche, e quindi si attesta - quando lo fa - su inutili appelli alla tregua, con ciò nobilitando la stessa Hamas come interlocutore di Israele (tesi cara a Massimo D'Alema quando era ministro degli Esteri), chiudendo gli occhi sulle palesi responsabilità della stessa Hamas per il lancio di razzi contro civili e anche per l'appoggio ai terroristi islamici che seminano morte nel Sinai egiziano. Paradossalmente oggi nei confronti di Hamas i Paesi arabi mostrano di avere le idee più chiare e di non volersi compromettere nemmeno con una solidarietà di facciata. Il loro clamoroso silenzio (fatta eccezione per una Giordania i cui cittadini al 60% sono palestinesi) accoglie le notizie della crisi di Gaza. Una svolta epocale: al Cairo come a Ryad è ben chiaro che Hamas accentua oggi volutamente la crisi perché è rimasta l'unica sezione nazionale dei Fratelli Musulmani ancora in piedi. E i Fratelli Musulmani - al Cairo come a Ryad - sono oggi considerati il principale pericolo per la stabilità dell'area, forse addirittura più dell'Isil di al Baghdadi. E quindi ormai evidente che l'egiziano al Sissi, cosi come il saudita re Abdullah, in cuor loro - anche se mai lo affermeranno apertamente - sarebbero ben lieti se Israele decidesse di "schiacciare la testa del serpente", infliggendo ad Hamas una dura punizione con una operazione di terra più decisa e definitiva di quelle di 2 e 4 anni fa. D'altronde, la follia dei lanci di missili iraniani sulla centrale atomica israeliana di Dimona (se esplodesse i primi a morire sarebbero gli abitanti di Gaza), come dei missili lanciati ieri dal Jihad Islamico (organizzazione legata all'Iran) addirittura sul cielo della Città Sa- cm di Gerusalemme, cosi come i 550 missili lanciati su Tel Aviv e le città del Negev, mostrano chiaramente l'avventurismo omicida di Hamas. Se non funzionasse lo scudo di Iron Dome, i morti civili israeliani supererebbero di centinaia, migliaia di unità i morti civili di Gaza. Infine, va considerata la grande pmdenza che Israele continua a dispiegare. L'invasione da terra di Gaza, apertamente minacciata anche da un Shi-mon Peres reduce dall'inutile preghiera a fianco di Abu Mazen e Papa Francesco nei giardini del Vaticano, continua a essere procrastinata. A fronte del palese disinteresse sul punto espresso dall'egiziano al Sissi, Netanyahu sta facendo pressioni sul Qatar (unico Stato arabo a sostenere apertamente Hamas e i Fratelli Musulmani) perché induca Hamas alla ragione. L'ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, Ron Prosor, al Consiglio di Sicurezza è stato esplicito: «L'obiettivo di Israele non è un cessate il fuoco ma smantellare le infrastrutture di Hamas per il lancio di razzi. Mentre stiamo qui a parlare, cinque razzi sono stati lanciati da Gaza verso Israele, e uno di essi ha colpito una casa. Hamas si nasconde dietro i civili palestinesi e ci ha trascinati in questa operazione». Prosor ha anche denunciato l'inviato della Palestina al-l'Onu l'ambasciatore palestinese che «non ha detto neanche una parola sui razzi sparati contro Israele: è il portavoce di Hamas!».
ITALIA OGGI - Pierluigi Magnaschi: "Israele, colpevole di volersi difendere"
Pierluigi Magnaschi
Quando scoppia una guerra fra due paesi, spesso le colpe sono di tutti. Ma, quasi sempre, c'è un paese che ha più colpe dell'altro. E capire chi ha meno colpa significa anche valutare politicamente la natura del conflitto. Da questo punto di vista, però, i media italiani non contribuiscono certo a far chiarezza. Anzi, spesso, intorbidiscono le acque. Basta una parola, ad esempio, per confondere tutto. Dai tg italiani si sente ogni giorno che Hamas ha lanciato dei «razzi» dalla Striscia di Gaza su Israele. Se le parole italiane hanno ancora un significato, i «razzi» sono delle simpatiche quisquiglie che si sparano in occasione di una festività patronale per stupire gli spiriti semplici con botti fragorosi ma anche inoffensivi e una cascata di luci policrome nel blu delle notti profonde. Quelli lanciati dalla Striscia di Gaza non sono quindi dei «razzi» ma dei «missili» veri e propri. Per di più, a lunga gittata (essi sono arrivati, per la prima volta, fino a Tel Aviv) e sono armati di testate esplosive concepite per uccidere e distruggere. Hamas, con i suoi missili, si sta proponendo addirittura di distruggere la centrale nucleare israeliana di Dimona (che, se colpita, provocherebbe effetti collaterali impressionanti). Su questa centrale, Hamas, in sole 24 ore, ha sparato ben sette missili. Per fortuna questi ultimi sono stati intercettati e distrutti in volo dal sistema antimissili israeliano. Non hanno quindi provocato problemi di disseminazione nucleare (Chernobyl dice qualcosa?), non perché Hamas non si ponesse questo obiettivo, ma solo perché il sistema antimissilistico israeliano, questa volta, ha funzionato. Un grande (e moderato) quotidiano italiano ha scritto ieri, nel suo fondo, che questi scontri sono stati fatti divampare dal «sequestro e uccisione di tre studenti israeliani cui ha fatto da contraltare l'orrendo assassinio di un adolescente palestinese». Avendo definito «orrendo» (il che è verissimo) «l'assassinio dell'adolescente palestinese» come mai è senza qualificazione la precedente «uccisione di tre studenti israeliani»? Senza contare che gli israeliani hanno già arrestato i cinque israeliani che si presume abbiano ucciso il giovane palestinese mentre l'autorità palestinese non ha mosso un dito per individuare i «non obbrobriosi» assassini dei tre giovani israeliani.
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