La risposta di Israele all'aggressione di Hamas: cronache e analisi di Maurizio Molinari, Ian Bremmer, Davide Frattini, Fabio Scuto, Aldo Baquis
Testata:La Stampa - Corriere della Sera - La Repubblica - Il Giorno Autore: Maurizio Molinari - Paolo Mastrolilli - Davide Frattini - Fabio Scuto Titolo: «Ancora missili, paura a Gerusalemme - Nel super bunker di Ashkelon - 'Ma invadere la Striscia non conviene a nessuno' - Quei sei bambini uccisi da un missile. 'E' stato un errore' - 'Noi scudi umani tra Hamas e gli sms di Israele'»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 11/07/2014, a pagg. 1-2, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "Ancora missili, paura a Gerusalemme ", da pag. 3 l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "Nel super bunker di Ashkelon da dove parte la caccia ai razzi ", da pag 2, l'intervista di Paolo Mastrolilli all'analista Ian Bremer, dal titolo " 'Ma invadere la Striscia non conviene a nessuno' ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 14, l'articolo di davide Frattini dal titolo "Quei sei bambini uccisi da un missile. 'E' stato un errore' ", da REPUBBLICA a pagg. 1-16, l'articolo di Fabio Scuto dal titolo 'Noi scudi umani tra Hamas e gli sms di Israele' ", dal GIORNO a pag. 4 l'articolo di aldo Baquis dal titolo 'Scappare dalla morte'
Di seguito, gli articoli:
Corsa verso il rifugio al suono della sirena
LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Ancora missili, paura a Gerusalemme "
Maurizio Molinari
Hamas lancia razzi su Gerusalemme e Tel Aviv tentando di mettere a segno un colpo spettacolare contro Israele mentre nella Striscia di Gaza i droni vanno a caccia di miliziani e tunnel: entrata nel quarto giorno di combattimenti, la guerra aerea si intensifica su entrambi i fronti avvicinando la possibilità di un intervento di terra dello Stato ebraico. L’attacco a Gerusalemme avviene poco dopo le 17 locali, quando almeno quattro razzi M-75 raggiungono i cieli della città santa alle fedi monoteiste. Gli M-75 sono vettori costruiti da Hamas nelle fabbriche di Gaza, portano con sé diversi kg di esplosivo e sono dunque una sorta di bombe volanti. Quando gli anti-missili di Iron Dome ne intercettano due, l’esplosione è di tale intensità da risuonare nell’intera città. All’Hotel King David vi sono attimi di panico. Altri due, forse tre, razzi cadono in zone non popolate. È il più consistente attacco lanciato da Hamas contro Gerusalemme. Neanche il Raiss iracheno Saddam Hussein, durante la Guerra del Golfo del 1991, aveva osato tanto, soprattutto per il timore di colpire la popolazione araba, moschee incluse. Ma Hamas vuole mettere a segno un colpo spettacolare contro l’avversario. È lo stesso motivo per cui, al mattino, lancia razzi Grad su Tel Aviv e, alla sera, investe l’intero Sud - da Ashkelon fino a Dimona e al Mar Morto - con dozzine di razzi e colpi di mortaio. Il terzo giorno di «Protective Edge» si chiude con oltre 500 nuovi raid israeliani su Gaza e almeno 120 razzi di Hamas sullo Stato ebraico. Entrambe le parti intensificano la pressione militare e ciò avvicina la possibilità di un intervento di terra di Israele. Il capo di stato maggiore, Benny Gantz, assicura: «Useremo ogni nostra arma per riportare la quiete nel Sud». E il premier Benjamin Netanyahu ribadisce: «Le operazioni procedono come previsto ma saranno ampliate, se i civili vengono colpiti è perché Hamas li adopera come scudi». Sono già 20 mila i riservisti richiamati da Israele ed altrettanti sono in arrivo. «L’intervento di terra resta l’ultima opzione» assicura Peter Lerner, portavoce militare, e la decisone potrebbe essere presa entro 2-3 giorni, una volta ponderati i risultati dell’offensiva aerea. Entrare con le truppe significherebbe per Israele dare la caccia nella Striscia a leader politici, unità scelte e arsenali di Hamas celati in grotte, tunnel e bunker. Per ridurre Hamas al silenzio Israele deve smantellarne la città sotterranea creata in questi anni. Ma Jan Psaki, portavoce del Dipartimento di Stato, frena Gerusalemme: «L’intervento di terra non serve a nessuno». Dentro Gaza intanto il bilancio delle vittime civili dei raid aerei continua a crescere. Fonti palestinesi dell’ospedale di Gaza parlano di un bilancio complessivo fino ad ora di 78 vittime e 200 feriti. Fra i morti ve ne sono almeno 15 causati ieri da raid aerei su Khan Yunis e contro una platea di appassionati di calcio che stava guardando all’aperto il match Olanda-Argentina. «Defense of the Children International» aggiunge che «sono stati uccisi almeno 14 bambini sotto i cinque anni». Israele elimina tre colonnelli della Jihad islamica alleati di Hamas ma fallisce il raid contro Iman Siam, capo dell’unità che lancia i razzi. Fra i super ricercati ci sono anche Mahmud Dar, capo militare di Hamas, e Mahmud Abu Salameh, capo delle operazioni nell’area Sud. Tre miliziani della Jihad islamica eliminati dai droni.
LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Nel super bunker di Ashkelon da dove parte la caccia ai razzi "
Dietro la sede del Municipio, in un corridoio laterale c’è un’anonima porta grigiastra senza insegne da cui si accede al «Hamal». È questo l’acronimo di «Heder Milchamà» ovvero la «War Room» da dove il sindaco Itamar Shimoni coordina le difese civili di una città di 240 mila abitanti che in 72 ore è stata bersagliata da quasi 300 razzi lanciati dalla Striscia di Gaza. Ogni città d’Israele ha una «Hamal» perché la difesa civile del territorio è un pilastro strategico di quella militare, consentendo di suddividere le responsabilità, informare la cittadinanza e in ultima istanza ridurre i rischi. Da quando l’operazione «Protective Edge» è iniziata Ashkelon è - assieme a Sderot - la città più esposta agli attacchi di Hamas per ragioni geografiche: dista appena 8 km dal confine e 16 dal centro di Gaza. «Hamas spara i razzi contro di noi dal centro di Gaza - spiega Yosef Greenfield, capo della sicurezza civile cittadina - e ci arrivano in appena 15 secondi». È in questo ristretto arco di tempo che le batterie antimissili Iron Dome identificano i razzi e intercettano quelli più pericolosi - perché diretti verso zone densamente popolate - facendo scattare in contemporanea gli allarmi lì dove l’impatto può avvenire. È un sistema difensivo hi-tech che dalla «War Room» cittadina viene monitorato per essere pronti a intervenire in caso di danni a proprietà o persone. La sala blindata, due piani sottoterra, è circondata da altre stanze più piccole e corridoi dove dozzine di funzionari civili lavorano 24 ore su 24, 7 giorni su 7, per tenere d’occhio ogni dettaglio. Ci sono monitor, piantine della regione da Gaza ad Ashkelon, telecamere accese in movimento nelle zone più critiche e una cucina dove, nei momenti di pausa, chi non è di turno consuma Nescafè a volontà. «La difesa militare spetta all’esercito, noi qui ci occupiamo della sicurezza civile» spiega Avi, un avvocato che come riservista tiene i rapporti fra sindaco ed esercito. Significa «pensare agli oltre 1500 bambini che vivono in case vecchie, senza stanze protette perché da 72 ore sono chiusi dentro e potrebbero restarvi per settimane». Il sindaco Itamar Shimoni ha pensato di organizzare per loro concerti all’auditorium per «farli uscire da casa e tenerli al tempo stesso in un luogo protetto». Poi c’è il problema di malati, infermi e anziani impossibilitati a raggiungere i rifugi nei 15 secondi di tempo che vi sono dopo ogni sirena d’allarme. «Per loro abbiamo studiato un sistema basato su volontari li vanno a prendere per portarli all’aria aperta, lungo percorsi dove ci sono rifugi agibili facili da raggiungere» spiega Avi, secondo il quale però «il problema maggiore viene dai bambini piccoli». Ecco il motivo: «Sentono la sirena, intuiscono il pericolo incombente ma non riescono a capire di cosa si tratta». Da qui la necessità di dozzine di psicologi, spesso donne, che il Comune manda nelle case su richiesta dei genitori, per mettere in atto «comportamenti rassicuranti» basati sull’esperienza fatta dalle famiglie di Sderot, la città più colpita dai razzi sin dall’indomani del ritiro israeliano da Gaza nel 2005. «La collaborazione e i nervi saldi della popolazione sono fondamentali - spiega Greenfield, un ex generale con una figlia iscritta a Medicina all’ateneo di Torino - proprio come avveniva nella Gran Bretagna bersagliata dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale». Da qui i corsi a raffica, nelle scuole e sui posti di lavoro, con gli istruttori che ripetono in continuazione cosa fare per difendersi dai razzi: chi si trova a casa deve andare nelle «stanze protette», create in ambienti senza finestre, o se possibile nei rifugi mentre chi ascolta la sirena mentre si trova all’aperto deve stendersi pancia a terra con la testa fra le mani. A spiegare il motivo è Avi, indicando i resti di alcuni razzi Qassam posizionati al centro della «War Room»: «Sono tubi di metallo, al cui interno mettono centinaia di biglie di ferro che l’esplosione trasforma in proiettili e possono generare schegge di altri materiali, a cominciare dall’asfalto perché cadendo in terra creano per reazione frammenti volanti roventi, capaci di perforare un corpo umano, fino a ucciderlo». Per evitare biglie e schegge bisogna aspettare, spiegano gli istruttori della «War Room», «almeno 10 minuti dal momento della sirena» per dare tempo all’Iron Dome di intercettare il razzo, farlo esplodere e far cadere in terra ogni suo singolo componente. «È fondamentale restare al coperto per 10 minuti» ripetono all’unisono i consiglieri del sindaco, che annotano su una particolare lavagna luminosa tutti i «missili pericolosi» che hanno minacciato la città negli ultimi giorni con le relative «misure adottare in risposta». L’avvocato Avi è un riservista di 38 anni mentre Yosef Greenfield è un generale in pensione e di anni ne ha 60: appartengono a generazioni diverse ma attorno al sindaco Shimoni lavorano in tandem, accomunati dalla volontà di «far passare questo periodo senza danni». Nella comune speranza che «la crisi a Gaza finisca presto e i lanci di razzi si interrompano» perché «il problema maggiore potrebbe venire da tempi lunghi, capaci di causare conseguenze economiche negative per l’impossibilità di lavorare in molte aziende e negozi».
LA STAMPA - Paolo Mastrolilli: " 'Ma invadere la Striscia non conviene a nessuno' "
Ian Bremmer
In quella regione un’escalation è sempre possibile, anche per errore, ma l’invasione di terra a Gaza non conviene a nessuno». Ian Bremmer, presidente e fondatore dell’Eurasia Group, azzarda la sua previsione mentre la violenza aumenta. Non crede all’invasione? «Intendiamoci: è sempre un’ipotesi plausibile. Netanyahu ha richiamato 40mila riservisti, i lanci di razzi da Gaza continuano, e un incidente potrebbe sempre scatenare la guerra. Detto questo, l’invasione non conviene al premier perché sarebbe costosa, farebbe vittime e avrebbe un prezzo politico. Essendo sotto attacco, deve parlare con durezza, ma non ha promesso la distruzione di Hamas o l’annullamento della sua forza militare: queste sarebbero parole in codice che renderebbero necessaria l’operazione di terra, ma Netanyahu ha fatto attenzione a non usarle». Hamas non avrebbe interesse a provocare un conflitto, aprendo un nuovo fronte oltre alla Siria e l’Iraq? «Non credo, perché è isolato come mai prima. In Egitto non ci sono più i Fratelli Musulmani, e gli altri paesi della regione hanno altri problemi». Assad ed Hezbollah spingono Hamas ad attaccare? «Mi pare che siano già abbastanza occupati dai loro problemi, non credo che stiano fomentando queste azioni». Gli attacchi sono frutto di una spaccatura dentro Hamas, fra chi è favorevole al governo con Fatah, e chi vuole abbatterlo? «Se chiedi agli israeliani, in via confidenziale ti rispondono che in realtà negli ultimi due anni Hamas è stato abbastanza responsabile nel cercare di evitare azioni che potrebbero provocare risposte dure come un’invasione di Gaza. Negli ultimi giorni questo atteggiamento è cambiato, e potrebbe essere frutto di dissidi interni, ma secondo me sono eventi separati da quanto sta accadendo in Iraq o nel resto della regione». Cosa si aspetta in Iraq? «Siamo in una fase di stallo. Isis ha proclamato il califfato per ragioni propagandistiche, raccogliere consenso, soldi e reclute. Però non è in grado di gestire uno stato o avanzare verso Baghdad. Il premier Maliki non sembra intenzionato a formare un governo inclusivo, e le sue truppe hanno cominciato la controffensiva in città simbolo come Tikrit. I curdi si sono presi un 40% in più di territorio, e non lo molleranno presto. In sostanza c’è una nuova realtà sul terreno, che lascia presagire un conflitto lungo». Gli Usa cosa possono fare? «Poco. In Israele e Gaza hanno lanciato appelli alle teste più fredde, ma dopo due anni di frustrazioni Kerry non ha alcun interesse a farsi coinvolgere ancora. Punta soprattutto sui paesi vicini per evitare la guerra: il nuovo governo egiziano sta lavorando alla tregua, e sarebbe un successo importante se riuscisse a ottenerla. In Iraq Washington non sosterrà Maliki, ma ha mandato i militari perché fa sul serio: vuole capire quanto è forte Isis e lanciare operazioni anti terrorismo, per difendere i suoi interessi qualunque cosa accada al governo centrale».
CORRIERE della SERA - Davide Frattini: "Quei sei bambini uccisi da un missile. 'E' stato un errore' "
Davide Frattini
GERUSALEMME — Il primo avvertimento arriva alle 13.30. «Avete cinque minuti per scappare, prendete i bambini», dice la voce al telefono. A Gaza tutti sanno che cosa significhino quelle parole, sono le stesse pronunciate nella guerra del 2009 e negli otto giorni di offensiva due anni fa. Passa più di un’ora e un drone lascia cadere un razzo sul tetto: non esplode, non deve, è un altro colpo di avviso. La casa è su tre piani, sette appartamenti, i Kaware vivono tutti insieme, ci abita anche Odeh, uno dei figli del capofamiglia Ahmad. Sarebbe lui l’obiettivo perché è un miliziano delle brigate di Hamas. Escono dall’edificio e pochi minuti dopo rientrano, salgono le scale per arrivare in cima al cubo grigio di cemento e cercare di fermare il bombardamento. È troppo tardi, il missile è partito, muoiono in otto, tra loro sei bambini. Adesso l’aviazione israeliana dice che la strage di martedì a Khan Younis, nel sud della Striscia, è stata un errore. «Non c’è stato niente da fare — spiega una fonte al quotidiano Haaretz —, il missile era già in volo e non c’è stato modo di deviarlo. Nel video si vedono i famigliari ritornare di corsa , a quel punto era troppo tardi». I palestinesi raccontano che non tutti i Kaware avevano lasciato il palazzotto, le vittime erano rimaste dentro. «Gli israeliani hanno sparato lo stesso». B’Tselem, organizzazione di Gerusalemme per i diritti umani, ha raccolto le testimonianze e ricorda che le case dei civili non sono obiettivi militari legittimi, «anche se non ci fossero vittime collaterali». L’esercito risponde che Odeh è il comandante militare dell’area: «Da eliminare». Non è rimasto ucciso, forse non era neppure in casa. Le Brigate Ezzedin Al Qassam l’hanno ribattezzato nei loro proclami «il massacro dei bambini di Khan Younis»: «È stata superata una linea rossa, consideriamo tutti gli israeliani come bersagli». Non che prima evitassero i tiri indiscriminati sulle città. Le ruspe scavano la sabbia e quel che resta del Fun Time Beach, un locale sulla spiaggia dove in molti erano usciti mercoledì sera per vedere la partita tra Olanda e Argentina. Negli appartamenti l’elettricità va e viene, qui c’era un generatore e lo schermo gigante. Il colpo potrebbe essere partito dalle navi che in quella notte hanno bombardato la Striscia: i morti sono nove. «Avrebbe dovuto essere una serata normale», dice un poliziotto locale all’agenzia France Presse . «I ragazzi erano venuti per rilassarsi, l’aria è più fresca in riva al mare. Invece gli ebrei hanno vinto 9 a 0».
LA REPUBBLICA - Fabio Scuto: " 'Noi scudi umani tra Hamas e gli sms di Israele' "
GERUSALEMME La chiamata sul cellulare è arrivata alle tre del mattino, una voce incisa diceva in arabo: hai 5 minuti per lasciare la casa che sta per essere bombardata », racconta Khaldun Rami di Beit Hanun, «come fai a raccogliere l’essenziale e scappare in 5 minuti con moglie e tre figli che dormono? ». Khaldun ce l’ha fatta. Due figli appesi al collo, uno piccolo in braccio alla moglie Safa e giù per tre piani di scale a perdifiato e per correre il più lontano possibile. «Vivevamo lì in tre famiglie e loro volevano uccidere un uomo solo».
«Hanno sparato contro l’edificio comunque. Cinque minuti dopo un missile l’ha polverizzato ». Sul posto è rimasto un enorme cratere, mezzo pieno di detriti, lamiere e mobili frantumati, il terreno intorno è disseminato di palme e ulivi sradicati. Il “bersaglio” Hafez Hammad, un leader della jihad islamica che abitava lì, non ha ricevuto nessun avviso e nessun messaggino sul cellulare: è morto insieme a cinque membri della sua famiglia, tra loro due donne e una figlia di 16 anni.
A casa della famiglia Kaware a Khan Younis, nel sud della Striscia, è arrivato invece un sms sul cellulare della nuora di Salah, il capofamiglia. Un testo breve e semplice: fuori in 5 minuti o morirai. Poi un ulteriore avvertimento è arrivato mentre i residenti uscivano: un drone ha sparato un missile sul tetto — «ha bussato», dicono a Gaza — della casa di quattro piani. A quel punto, racconta sempre Salah, sono accorsi i vicini di casa «come per formare uno scudo umano, qualcuno è salito sul tetto per cercare di evitare l’attacco, altri erano per le scale quando la casa è stata bombardata qualche minuto dopo». Un caccia F-16 a volo radente ha sparato un missile che ha trasformato la palazzina in una nuvola di polvere uccidendo 7 persone e ferendone altre 25.
Nel tentativo di contenere il numero dei civili palestinesi uccisi nei raid contro Hamas l’esercito israeliano ha adottato da anni diverse misure di “avviso” per evitare le accuse di uccisioni indiscriminate o quella di crimini di guerra. Ma intanto al terzo giorno di operazioni militari, degli 80 morti palestinesi la metà sono donne e bambini. Già durante l’operazione “Piombo Fuso” nel 2009, gli israeliani hanno usato telefonate e volantini per avvisare la gente di prima di colpire Ma spesso, come nel caso di Khan Yunis, le persone muoiono in ogni caso perché ignorano o sfidano l’avviso, oppure lasciano la casa troppo tardi. I bombardamenti non sono mai chirurgici e i missili talvolta non colpiscono l’edificio a cui sono destinati. Arye Shalicar, portavoce dell’Esercito, spiega che le forze israeliane hanno fatto tutto il possibile per evitare vittime civili innocenti, che hanno aspettato che la casa fosse abbandonata ma poi alcune persone sono ritornate poco prima dell’attacco, quando non era più possibile fermare il raid.
Gli “scudi umani” sono la strategia difesa di Hamas: che piazza adesso le sue batterie in mezzo ai centri abitati per evitare la rappresaglia (che però puntualmente arriva), e che anche se non è convinto che sia un deterrente per gli israeliani comunque alza il numero delle vittime civili facendo il gioco degli integralisti. E forse non tutti lo fanno davvero spontaneamente. Uno dei loro boss è andato addirittura in tv per elogiare e sollecitare altri “martiri”. «Chiediamo a tutto il popolo di Gaza di seguire questa pratica», ha detto dagli schermi di Al Aqsa, la rete controllata da Hamas. Ieri pomeriggio il “rinato” ministero dell’Interno di Hamas ha diramato un comunicato a tutti i cittadini della Striscia invitandoli «a ignorare questi avvertimenti del nemico, a non lasciare le proprie abitazioni collaborando così con gli israeliani ». Avvisi minacciosi che però sono stati ignorati dagli abitanti di Beit Hanoun e Beit Laya — le due cittadine a ridosso del confine — che a cen- tinaia stanno lasciando le loro case, mentre l’Unrwa (l’agenzia Onu che si occupa dei profughi) ha dato disposizione di aprire le “sue” 259 scuole per ospitarli. Gli israeliani stanno lanciando in questi giorni decine di migliaia di volantini su Gaza che invitano a non cooperare con il terrorismo e di stare lontano dalle zone di confine dove è più frequente uno scambio di colpi, avvertimenti che per Human Rights Watch non esonerano le forze armate israeliane, che devono invece «assicurarsi che le avvertenze siano efficaci e non consentono attacchi vietati dal diritto internazionale ». Gli israeliani non sempre però lanciano avvertimenti, naturalmente. Come nel caso delle “eliminazioni mirate”: ieri sono state centrate tre auto con a bordo miliziani e una motocicletta guidata da un capo della jihad islamica. Non erano né di Hamas né della jihad, invece, gli appassionati di calcio che mercoledì nonostante i bombardamenti seguivano (dalla tv israeliana piratata) la semifinale Olanda-Argentina, in un chiosco sulla spiaggia davanti al campo profughi di Khan Yunis. Forse speravano nella “tregua olimpica” come avvenne per i Mondiali 2006. Sette di loro non sapranno mai com’è finita. Un missile di un caccia israeliano ha centrato il chiosco durante i rigori. Anche ai venti feriti gravi, adesso, non importa più
Il GIORNO - Aldo Baquis: 'Scappare dalla morte'
Aldo Baquis
Quindici secondi, magari venti. Questo nel Sud di Israele, a ridosso di Gaza, il tempo massimo a disposizione per cercare il primo rifugio possibile quando le sirene cominciano a ululare nell'imminenza di un nuovo attacco di razzi palestinesi. Nelle cittadine di Sderot. Ashqelon e più a nord di Ashdod, non ci sono facilitazioni per alcuno, bebè e anziani inclusi. Tutti devono mantenere i riflessi ben pronti: che siano sotto la doccia: o a fare la spesa. alla spiaggia o magari in auto. Le persone, in queste località flagellate da anni dai razzi di Hamas e della Jihad, hanno maturato esperienza e occhio clinico: individuano al volo il muretto buono di protezione, o si lanciano a ridosso di un'auto in sosta senza il timore di rovinare il vestito buono. Anche se hanno una certa età magari anche qualche chilo di troppo, devono immedesimarsi con gli eroi dell'atletica leggera e tentare di coprire 200 metri in 20 secondi. Perché ne potrebbe andare della loro vita. Adesso che Hamas dispone di razzi più potenti, anche gli abitanti di Gerusalemme e Tel Aviv cominciano a provare in prima persona questo genere di brivido. Data la maggiore distanza da Gaza, hanno a disposizione almeno un minuto. Le prime volte c'è imbarazzo nello schizzare via dal tavolino del caffè al suono delle sirene o quando il cellulare ti avverte che nel posto dove ti trovi dovrebbe esplodere un missile. Se l'attacco avviene di notte, nelle case sprovviste delle 'stanze protette' da muri di cemento rafforzato, agli inquilini è consigliato di raccogliersi nelle rampe delle scale: è il luogo più protetto del loro palazzo. Finora Hamas ha sparato centinaia di razzi: ma i consigli del Comando delle retrovie sembrano funzionare, anche perché Israele dispone di Iron Dome, un sistema di difesa avanguardistico. Ma quando torna la calma, quando si riprendono in mano il giornale e il caffè lasciato a metà è il momento della riflessione. Ed è peggio ancora Perché negli arsenali di lHamas, dicono i militari, ci sono 6.000 razzi, e in quelli della Jihad islamica 5500. In Libano gli Hezbollah ne possiedono molte decine di migliaia. Oltre l'orizzonte Israele scorge un Medio Oriente caotico che pare determinato a trascinare nel vortice anche lo Stato ebraico. E' quella è l'ora in cui si rischia di cedere allo sconforto.
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