Omicidio di Mohammed Abu Khdeir: arrestati sei nazionalisti israeliani estremisti Cronache e analisi di Fiamma Nirenstein, Maurizio Molinari, Davide Frattini
Testata:Il Giornale - La Stampa - Corriere della Sera Autore: Fiamma Nirenstein - Maurizio Molinari - Davide Frattini Titolo: «'Arrestati gli assassini del giovane palestinese - 'Quei nazionalisti nutriti dall'odio sfuggiti al controllo di Netanyahu' - 'Tifo, fanatismo, razzismo. Quelle tracce che portano all'estrema destra ultrà»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 07/07/2014, a pag. 12, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo 'Arrestati gli assassini del giovane palestinese", dalla STAMPA, a pag. 12, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo 'Palestinese ucciso, Israele arresta sei estremisti ebrei' e l'articolo dal titolo 'Quei nazionalisti nutriti dall'odio sfuggiti al controllo di Netanyahu', dal CORRIERE della SERA, a pag. 13, l'articolo di Davide Frattini dal titolo 'Tifo, fanatismo, razzismo. Quelle tracce che portano all'estrema destra ultrà"
Il funerale di Mohammed Abu Khdeir
Di seguito, gli articoli:
Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein: 'Arrestati gli assassini del giovane palestinese'
Fiamma Nirenstein
«Non è possibile»: queste parole stupefatte sono state da ieri pomeriggio il leit motiv del senso comune israeliano. La peggiore delle ipotesi si è avverata. Il diciassettenne palestinese rapito e ucciso, Mohammed Abu Khdeir, sembra sia stato veramente ucciso da un gruppo di estremisti criminali israeliani. Si tratta di sei persone di varia età arrestate ieri di cui cinque confermati, forse in parte appartenenti alla stessa famiglia nella zona di Gerusalemme, nè coloni nè religiosi, si dice, ma semplicemente un gruppo di esaltati ignoranti e razzisti, con precedenti criminali. Nessun rabbino nè organizzazione cahanista (quella del rabbino Cahane, che fu espulso col suo partito razzista dal parlamento israeliano) sembra aver organizzato la spedizione assassina. Il gruppo è stato scoperto soprattutto tramite le macchine da presa che da Shuafat- Beit Hanina, cinque minuti di macchina da Gerusalemme, hanno identificato l'auto sulla quale era salito Mohammed. Sembrerebbe (ma ancora le notizie sono incerte) che si tratti di un gruppetto autonomo, che quando sono stati ritrovati i tre ragazzi israeliani uccisi, dopo ore di urla «morte agli arabi» in una manifestazione in Piazza Sion, ha deciso di fare la sua disgustosa bravata. È andata a Shuafat, ha caricato il primo che gli è capitato e ha infierito fino a bruciarlo vivo. È stato facile alla fine trovarli, perchè non hanno fatto nessuna delle cose che gli assassini normalmente fanno, tipo lasciare a casa i telefoni, o evitare di farsi notare. La polizia israeliana li ha cercati strenuamente, li ha trovati e portati (se sono loro) in prigione. I giudici adesso faranno il loro lavoro, l'opinione pubblica è orripilata e incredula: questo non ha a che fare con l'ebraismo nè con Israele, ripetono tutti. Ma l'Italia ha avuto le sue Brigate Rosse, la Germania la sua Rote Arme Fraction, gli USA il Ku Klux Klan e questo non ha cambiato il carattere nazionale: minoranze criminali da chiudere in galera. Ma niente del genere è avvenuto nell'Autonomia Palestinese: gli assassini dei tre teenagers sono ancora liberi e osannati da molti, e appartengono a Hamas, un'organizzazione parte del governo, armata, sovrana, che da Gaza lancia missili a catena. L'assassinio di Mohammad ha rovesciato il moto di simpatia per Israele dopo il rapimento e l'uccisione dei suoi ragazzi. Adesso, Abu Mazen sembra dire: siamo pari, e alimenta l'idea errata del «ciclo della violenza», una consumata chiave della propaganda palestinese. Ieri Abu Mazen ha inviato una lettera a Ban Ki-moon che sostiene che gli assassini sono un gruppo di «coloni estremisti» sollevando così fra le righe il tema dei territori, ha chiesto di chiamarli «organizzazioni terroristiche» e che «si indaghi contro i crimini e le violazioni contro il popolo palestinese». Abu Mazen si riferisce alle operazioni di ricerca dei tre rapiti nella zona di Hebron in cui hanno avuto luogo scontri e ci sono stati anche quattro morti. Incidenti involontari, ma Abu Mazen ha l'opportunità di paragonare Hamas ai «coloni». Si è anche indotta una enorme confusione fra le operazioni di ricerca, chiamate senza ragione di rappresaglia, e l'eliminazione a Gaza dei lanciamissili di Hamas. Due cose diverse. I missili seguitano a piovere sul sud d'Israele rendendo impossibile la vita dei cittadini e l'esercito cerca di fermarli. Il governo al momento, compie il minimo (Netanyahu è deciso a tenere una linea moderata finchè sia possibile) delle azioni di contenimento. Ma l'eco di Gaza e quello delle vicende di Gerusalemme si sommano nelle strade in cui i giovani palestinesi gridano «Intifada Intifada». Lanciano pietre e bottiglie molotov. L'impressione della vicenda è così forte da oscurare l'arresto, sempre ieri, del guidatore di taxi arabo Hussein Khalifa, sospettato di un terribile delitto antisraeliano, quello della 19enne Shelly Dadon, colpevole di aver preso due mesi fa il taxi per andare a un colloquio di lavoro. Khalifa l'ha pugnalata a morte.
LA STAMPA - Maurizio Molinari: "'Palestinese ucciso, Israele arresta sei estremisti ebrei' "
Maurizio Molinari
Almeno sei estremisti ebrei sono stati arrestati dalla polizia israeliana per l’omicidio del giovane palestinese Mohammed Abu Khdeir, bruciato vivo. Sono considerati terroristi e in quanto tali per dieci giorni saranno detenuti senza poter incontrare un legale. La loro identità non viene divulgata perché l’intento della polizia è arrivare a sgominare l’intero network di complicità che ha consentito, giovedì scorso, di rapire Abu Khdeir mentre andava alla moschea di Shuafat, dopo aver tentato di sequestrare un altro bambino il giorno precedente. Uno degli arrestati - secondo quanto rivelano fonti del quotidiano on line Ynet – avrebbe confessato di aver partecipato all’omicidio e accusato i propri compagni. «Gli autori di questo crimine orrendo devono essere condannati con i termini più duri - ha commentato il premier Benjamin Netanyahu - e subiranno il potente impatto della legge perché nella società israeliana non c’è spazio per gli assassini, ebrei o arabi». Poche ore prime era stato il presidente di Israele, Shimon Pers, a dire da Sderot: «Non c’è differenza fra sangue e sangue, un killer è un killer e sarà punito con la forza della legge perché siamo uno Stato di diritto». Gli apparati di sicurezza si preparano ad una stretta contro gli estremisti che giovedì scorso, all’indomani della sepoltura a Modiin delle salme dei tre ragazzi ebrei rapiti in Cisgiordania, avevano manifestato a Gerusalemme simulando una «caccia all’arabo». «L’assassinio di Abu Khdeir è stato un atto malato - afferma Yithak Aharonovitch, ministro della Pubblica sicurezza - e non ci fermeremo finché tutti i responsabili non avranno pagato davanti alla legge». Alla vigilia degli arresti era stato il capo del Mossad, Tamir Pardo, a far sapere dalle colonne di «Haaretz» la propria opinione sui disordini a Gerusalemme Est seguiti all’uccisione di Abu Khdeir: «Il problema palestinese è una minaccia esistenziale per Israele più seria del nucleare dell’Iran». Saranno le prossime ore a dire se le proteste di palestinesi e arabo-israeliani si placheranno dopo gli arresti. La madre del ragazzo ucciso, Suha Abu Khdeir, non mostre fiducia nella giustizia israeliana: «Faranno loro qualche domanda e poi li manderanno a casa, dovrebbero distruggere le case come fanno con i nostri». La rabbia della famiglia Khdeir si deve anche a quanto avvenuto a Tariq, 15enne cugino della vittima, picchiato con forza dagli agenti durante i disordini a Shuafat sollevando una richiesta di «chiarimenti» da Washington, in ragione del fatto che è cittadino americano. Il presidente dell’Anp, Abu Mazen, ha chiamato il Segretario generale dell’Onu Ban Ki moon chiedendo «un’inchiesta sui crimini commessi da Israele». La replica di Netanyahu è stata immediata: «Noi processiamo i killer, i palestinesi ne esaltano le gesta nelle scuole». Intanto a Hebron, l’esercito ha arrestato Hassam Dopash considerato un fiancheggiatore dei sequestratori dei tre ragazzi uccisi. Le indagini su rapimenti e delitti spingono Netanyahu a dare tempo ai mediatori egiziani affinché negozino una tregua con Hamas a Gaza: «Serve contenimento davanti agli attacchi».
LA STAMPA - Maurizio Molinari: " 'Quei nazionalisti nutriti dall'odio sfuggiti al controllo di Netanyahu'"
Amos Oz li paragona ai neonazisti, l’ex leader degli insediamenti Dany Dayan li definisce «un disastro morale», i grandi rabbini di Israele li hanno messi all’indice e il Dipartimento di Stato Usa li ha inseriti nel rapporto annuale sul terrorismo, ma il governo Netanyahu non è riuscito a debellare gli estremisti ebrei di «Price Tag» e l’omicidio del giovane Mohammed Abu Khdeir dimostra che sono diventati una minaccia per la sicurezza interna. La definizione di «Price Tag» risale al 2005, quando alcuni gruppi contrari al ritiro dalla Striscia di Gaza ordinato dal premier Ariel Sharon scelsero di «far pagare agli arabi» la demolizione di insediamenti illegali come quello di Amona. In quello stesso anno due soldati - residenti a Sharfam e Shiloh - fecero fuoco su gruppi di palestinesi uccidendone 8 e ferendone altri 20. «Ogni volta che un insediamento viene evacuato risponderemo» disse Itay Zar, residente nei caravan illegali di Havat Gilad, per spiegare la politica del «Price Tag» cresciuta di dimensioni fino a far registrare nel 2013 - secondo il rapporto del Dipartimento di Stato sul terrorismo nel mondo - 399 attacchi contro «individui e proprietà arabe» tanto cristiane che musulmane. Dagli agguati personali allo sradicamento di ulivi, dai sabotaggi di auto alle scritte offensive su moschee e chiese simili a quelle che il Vaticano denunciò come «odiose» alla vigilia della visita di Papa Francesco. Lo «Shin Bet», il servizio di sicurezza interna, stima che gli individui coinvolti siano «fra diverse centinaia e 3000» con la roccaforte nell’insediamento di Yizhar, dove la scuola religiosa Od Yosef Chai è stata individuata come «fonte di propagazione di odio». Il governo Netanyahu si è occupato degli estremisti di «Price Tag» nel giugno del 2013 definendoli «organizzazione proibita», ma le misure adottate non si sono dimostrate efficaci, come il Segretario di Stato Usa John Kerry ha fatto presente al premier israeliano nella telefonata avvenuta dopo la scoperta della morte di Mohammed Abu Khdeir. La violenza dell’estremismo nazionalista ebraico segnò Israele a metà degli anni Novanta: nel 1994 con la strage di 29 palestinesi nella Tomba dei Patriarchi di Hebron firmata da Baruch Goldstein e poi, l’anno seguente, con l’uccisione del premier Yitzhak Rabin da parte di Yigal Amir. Ma se allora si trattò di singoli - al pari dei due soldati-killer nel 2005 - ora Abu Khdeir è stato ucciso da un gruppo, rivelando l’esistenza di cellule «che si sono formate grazie all’incitamento all’odio accumulato e ora si spingono fino agli assassinii» riassume uno stretto collaboratore del presidente Shimon Peres, chiedendo l’anonimato. Le organizzazioni clandestine estremiste ebraiche degli anni Ottanta - come i Gush Emunim che attaccarono con bombe due sindaci in Cisgiordania - furono sgominate prima di essere in grado di realizzare i piani più pericolosi, mentre la cellula che ha rapito e ucciso il ragazzo di Shuafat ha beffato la sorveglianza dello «Shin Bet». Amoz Oz li paragona ai «neonazisti europei» perché «proliferano nell’odio per il prossimo» e Alef Beth Yehoshua aggiunge: «Sono una disgrazia per il popolo ebraico». Resta da vedere quali misure il governo adotterà ora per sradicarli anche perché, secondo indiscrezioni, gli arrestati avrebbero alle spalle non solo l’estremismo di «Price Tag» ma quello degli hooligan del «Beit Har», la squadra di Gerusalemme.
CORRIERE della SERA - Davide Frattini: "Tifo, fanatismo e razzismo, quelle tracce che portano all'estrema destra ultrà"
Davide Frattini
GERUSALEMME — Il custode dello stadio aveva passato gli ultimi vent’anni a raccogliere magliette autografate, trofei, palloni, coccarde, sciarpe con il sudore del tifo. I ricordi e il museo non ufficiale sono stati inceneriti una notte da due ultrà, l’8 febbraio del 2013: non potevano tollerare che la loro squadra avesse acquistato due giocatori ceceni, musulmani, e avevano deciso di distruggere gli uffici del club. Poche sere prima il settore della curva occupato da La Familia, il gruppo più violento e razzista, aveva esposto lo striscione «Beitar puro per sempre». Jan Talesnikov, il viceallenatore della squadra di Gerusalemme, aveva commentato: «Danno fuoco agli edifici, prima o poi bruceranno la gente». Adesso quelle parole sembrano una profezia atroce. I sei sospettati di essere coinvolti nell’omicidio di Mohammed Abu Khudair si sono dati appuntamento a una manifestazione organizzata da La Familia, prima di trasformare gli slogan urlati per le strade («Morte agli arabi») in un raid che è finito con il corpo del giovane palestinese lasciato carbonizzato tra gli alberi della foresta attorno alla città. In questi anni il razzismo dei tifosi estremisti ha estraniato quelli che nella squadra nata dal movimento conservatore creato da Zeev Jabotinsky avevano fuso passione sportiva e ideologia politica. Ehud Olmert, l’ex premier e sindaco di Gerusalemme condannato per corruzione, aveva il suo palco speciale allo stadio Teddy Kollek e provava a non perdere una partita delle maglie giallo-nere che ha cominciato ad amare da bambino. Fino all’anno scorso, quando ha annunciato che non avrebbe più assistito: «Queste squadracce devono essere rimosse dal nostro campo o diventeremo loro complici». Gli sputi ai calciatori ceceni, i richiami alla purezza della razza, le minacce contro gli avversari arabo-israeliani del Bnei Sakhnin sono stati condannati anche da Rueven Rivlin, neoeletto presidente dello Stato e in passato tra i manager delle squadra. Il quotidiano Yedioth Ahronoth , il più venduto nel Paese, aveva paragonato gli hooligan ai «fondamentalisti palestinesi di Hamas». Il Beitar è stato fondato nel 1936 e da allora nessun giocatore arabo ha mai indossato i suoi colori: i presidenti sono cambiati ma sono sempre rimasti in ostaggio degli oltranzisti. Nel 2004 un nigeriano musulmano è stato costretto ad andarsene per gli attacchi durante le partite e gli allenamenti. Un anno fa i militanti de La Familia hanno assaltato un centro commerciale vicino allo stadio e dato la caccia ai lavoratori arabi per picchiarli. «In passato gli israeliani hanno sempre reagito bollando gli ultrà come estremisti, un modo per superare l’imbarazzo, per considerarli ai margini — aveva spiegato Moshe Zimmermann, storico dell’università ebraica di Gerusalemme e specialista di sport, al New York Times —. La realtà è che tutto il Paese sta diventando più etnocentrico». Il quotidiano liberal Haaretz aveva lanciato un appello perché il governo (come altri politici della destra anche il premier Benjamin Netanyahu è un tifoso del Beitar) intervenisse contro le frange più violente: «Questi facinorosi, anche se rappresentano una minoranza delle persone che vanno allo stadio, sono ormai terroristi che hanno adottato le caratteristiche dei gruppi fascisti e neonazisti. Il rischio è che restino impuniti perché troppe persone pensano che siano solo un problema della squadra o del calcio. Invece affrontarli è un test per tutta la nazione». Per esprimere la propria opinione a Giornale, Stampa e Corriere della Sera, telefonare ai numeri seguenti o cliccare sulle e-mail sottostanti